ALESSIA DRO – La prospettiva interculturale nel pensiero dell’ultima Luce Irigaray

Tesi di laurea triennale in: Filosofia interculturale contemporanea
Relatore: professor Giuseppe Cognetti
Università degli Studi di Siena – Facoltà di Filosofia A.A. 2011-2012

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ABSTRACT

“Non abbiamo ancora iniziato ad accogliere l’altro, a corrispondere al suo appello. Al massimo, rinviamo l’appello in un altro mondo, trascurando così di curarci della nostra dimensione più umana: la relazione all’altro in quanto altro, ossia nel rispetto delle nostre differenze.”

Con queste parole è in via di conclusione il capitolo di un libro di Luce Irigaray significativamente chiamato Condividere il mondo.

Si può già intuire dunque il tentativo sotteso di problematizzazione dell’alterità e di nominazione della differenza e delle differenze in un netto richiamo alla possibilità di coesistenza pacifica nel mondo che la produzione intellettuale dell’ultima Luce Irigaray pone come una sfida filosofica quanto mai necessaria e radicale.

E’ proprio questa sfida affascinante che ha permesso in questa dissertazione di rintracciare le linee del nucleo centrale del pensiero della differenza sessuale, conducenti poi all’analisi dei termini e delle modalità di un’apertura interculturale proclamata dall’autrice, che, in un nuovo ed inedito esperimento, mette alla luce metodologie comparative dalle quali emergono però dei limiti notevoli di cui si è voluto dar conto attraverso gli insegnamenti e gli autorevoli studiosi della filosofia interculturale contemporanea, tenendo in considerazione principalmente le visioni di Raimon Panikkar e le osservazioni di Giangiorgio Pasqualotto.

L’espressione della volontà di rifondazione della singolarità e della comunità umana con la ripartenza dal respiro, primo e allo stesso tempo ultimo gesto della vita, ha permesso  la focalizzazione, oltre che sugli insegnamenti e le suggestioni della tradizione yogica orientale, anche sulla critica della marcata ed indiscussa prospettiva monosessuale del pensiero occidentale, dovuta, secondo l’autrice, all’oblio del materno (avvento ancora più arcaico del famoso parricidio platonico nei confronti di Parmenide), elemento alla base delle compensazioni di un rimosso maschile e alla base dell’esclusione del femminile dalla storia del pensiero. La dimenticanza del binomio materno-matrice ed il suo disconoscimento implica la mancata percezione di un’originaria differenziazione collegata a quello che l’uomo non ha, in ambito occidentale, imparato a pensare e di cui la tradizione orientale può raccontarci in modo arricchente, cioè il corpo. E’ sul tema del corpo e sulle precomprensioni occidentali in merito ad esso che si svolge nel terzo capitolo il confronto con la filosofia di Schopenhauer e con i malintesi  di cui egli si  fa portavoce nell’utilizzare, decontestualizzandole, nozioni d’origine orientale.

Dopo aver esaminato sotto un aspetto generale il problema filosofico dell’altro in quanto altro, collegandolo al rapporto dell’ Uno con il Molteplice si è arrivati a definire nello specifico il problema dell’alterità e del pluralismo come il vero interrogativo pratico e non teoretico della coesistenza umana su questo pianeta, indicando le motivazioni della volontà di apertura ad un orizzonte interculturale. Compiuta infatti una decostruzione in modo intraculturale, il movimento del pensiero irigariano si sente pronto ad oltrepassare i confini della sua stessa cultura per approdare a luoghi di pensiero orientali. Si è ritenuto necessario, tuttavia, prima dell’analisi delle tematiche provenienti dall’Oriente, analizzare gli esiti della più recente ricerca metodologica interculturale  per scorgere i limiti della comparazione per cui opta la pensatrice della differenza.

La filosofia come comparazione coincide infatti, secondo Pasqualotto, con la modalità stessa della filosofia, con l’attività comparativa del pensiero, che non pretende di costruire una panoramica oggettiva, in quanto sa che il soggetto è sempre coinvolto e mai neutrale rispetto alla comparazione e ha il compito di oltrepassare, tra i due poli comparati, i pericoli della reductio ad unum e del relativismo apatico. Allo stesso modo si è riscontrato che il medium generalizzato della differenza sessuale posto da Luce Irigaray diviene la chiave di lettura necessaria per poter comprendere come entrare in relazione con l’altro pur rimanendo due, senza dominio o sottomissione, senza fusione e annichilimento di uno dei due. Giangiorgio Pasqualotto evidenzia, inoltre, in merito al soggetto della comparazione, l’esigenza che esso si assicuri di evitare tre rischi: un primo riduzionismo nella forma dell’eurocentrismo, un secondo riduzionismo nella forma dell’alienazione esotica, ed un terzo rischio nel mero e superficiale relativismo, che può condurre all’appiattimento di ogni forma di civiltà fino all’indifferenza più assoluta nei confronti della diversità.

Si è spiegato come, nei riguardi della spiritualità yogica, l’intellettuale belga abbia voluto intendere il gesto di autonomia del respiro come un processo di soggettivazione autodeterminata secondo il consolidato principio irigariano dell’autoaffezione. Successivamente a questo argomento, una breve digressione personale che ha come caratteristica un approfondimento sul tema della cura di sé con l’inserimento di riferimenti all’appassionante lettura de L’Ermeneutica del soggetto di Foucault, si propone di delineare una nozione di soggetto che, lungi dall’essere inteso come una monade incomunicante, investa in modo importante nella formazione e nella ricerca di sé ai fini del sostenimento di una metanoia non solo individuale o individualistica, attraverso la costruzione di un’etica del sé in cui si possa trovare un punto, originario e finale, di resistenza omnipervasiva al potere politico. L’interpretazione irigariana del respiro, lungi da derive autonomistiche di soggettivazione monadica, può essere intesa come nodo centrale per la presa di consapevolezza dell’impermanenza e della relazionalità al di là di un dualismo che contrapponga esterno/interno, spirito/materia. Viene  infatti denunciata dalla filosofa psicanalista la tendenza spiccatamente occidentale al distaccarsi dal sensibile a favore di una cultura più astratta e speculativa: in un’altra concezione del corpo, quella orientale, lontano da gli esiti dicotomizzanti del pensiero occidentale, che separa lo spiritus dalla materia, si mette in luce come invece la disciplina yogica preveda la trasformazione del proprio corpo in unione con l’insieme dell’universo: esso allora non sarà più un veicolo, ma il luogo stesso in cui risiede lo spirito da coltivare. Nel tentativo ascetico di Schopenhauer, mirante alla castrazione della volontà attraverso la frustrazione corporea, non si può dunque non scorgere un grande fraintendimento della spiritualità orientale.

Il raffronto tra modo di pensare indico e modalità del pensiero occidentale proposto successivamente nella dissertazione secondo le coordinate tracciate da Raimon Panikkar nel libro L’esperienza filosofica dell’India fornisce poi al lettore ulteriori spunti di riflessione su differenze gnoseologiche strutturali: lo scarto tra pensiero rappresentativo occidentale e pensiero presentativo orientale pone le basi per andare oltre un’epistemologia appropriativa che fonda le sue basi nell’uso del concetto come principio di presa di possesso e comprensione, e la separazione del soggetto dall’oggetto come tentativo del primo di  appropriazione del secondo. In ultima analisi uno dei risultati fondamentali che emergono da questa trattazione è il ripensamento del rapporto che sussiste tra teoria e prassi: il termine jñāna della cultura indiana, che ordinariamente si può tradurre con conoscenza, o meglio, con il processo del conoscere, non separa la conoscenza teoretica dalla conoscenza più pratica e non separa l’apprendimento intellettuale dall’assimilazione esistenziale; la conoscenza jñāna denota una  trasformazione nel conosciuto, sia tramite creazione sia tramite una sottomissione ad esso. Pretende di assumere la realtà e di creare le condizioni di possibilità di trasformazione all’interno di essa. Si scorge allora il limite, causato dalla finitudine intrinseca che caratterizza l’essere umano, che nessun problema umano può essere adeguatamente trattato se ci si accosta esclusivamente attraverso ciò che la tradizione occidentale ha chiamato il logos, la razionalità ed il razionalismo: ogni situazione umana dipende infatti dal posto e dalla funzione del mythos.

Il pensiero propugnato da Luce Irigaray, nel suo collocarsi Tra Oriente e Occidente, è un forte richiamo ad un processo di radicale trasformazione simbolica che può modificare sostanzialmente le modalità dell’essere in relazione tra noi nel mondo. La differenza, infatti, stando in un assetto tra la sfera fisica e quella simbolica, ovvero tra quella denominata naturale e quella culturale, diventa una sfida per un pensiero che, mitopoieticamente diverso, scardini le preoccupazioni di un’immaginazione supina ad un ordine dominante banalmente oppositivo, maggiori condizioni di libertà e autodeterminazione all’interno di una sfera intrinsecamente relazionale. L’esercizio del raffronto rispettoso delle differenze, nell’imprescindibile presenza corporea è un preciso richiamo per andare oltre la schizofrenia separativa, inconcepibile secondo la tradizione orientale, di teoria e prassi, condizione imprescindibile per una volontà di trasformazione del presente che renda tutti quanti e tutte quante degni e degne di partecipare ad un’avventura di radicale cambiamento secondo gesti esperienziali creativi non costretti dall’impossibilità di svincolate e nuove figurazioni, ma al contrario, in una compartecipata volontà di trasformazione che possa portare a riconfigurazioni più libere e profonde della dimensione condivisa dell’esistenza umana.

 

 

INDICE

 

Ringraziamenti
Premessa
Introduzione
Capitolo 1 La ricerca delle cause ultime
1.1 Ripartire dal rimosso
1.2 Il problema dell’altro in quanto altro
Capitolo 2 Aprire un nuovo orizzonte
2.1 Decostruire non basta
2.2 I metodi dell’interculturalità
Capitolo 3 Gli apporti dell’Oriente
3.1 Il respiro come principio di autoaffezione
3.2 Il corpo in un’altra concezione
3.3 Il confronto con Schopenhauer
Capitolo 4 Al di là di un’epistemologia appropriativa
4.1 La risignificazione simbolica
4.2 Il due sputato su Hegel
Conclusioni

 

Alessia Dro

Nasce in Sardegna nel 1990 dove frequenta i circoli popolari gramsciani formandosi nelle lotte anticoloniali e prendendo parte dal liceo all'organizzazione del movimento studentesco nel periodo di mobilitazione dell’”Onda”. Nel 2012 si laurea c (...) Maggiori informazioni