Claire Fontaine, Lo sciopero umano. E l’arte di creare la libertà, DeriveApprodi, Roma 2017

Claire Fontaine, Lo sciopero umano. E l’arte di creare la libertà, DeriveApprodi, Roma 2017

STRIKE (K. font V.II) (2005), White florescent tubes, blue gelatine, steel wall mounted or free-standing frame, movement detector and circuit-breaker. c. 650 x 170 x 150 cm.

Sciopero umano.

Basta con la produzione di cura!

Sciopero.

Stop allo sfruttamento sul lavoro e nelle case!

Scioperiamo!

Dalla costante produzione e mercificazione di noi stesse…

Sciopero Umano, scrive il collettivo Claire Fontaine,

Dalla riproduzione sociale, quel tipo di riproduzione capitalista che ci ha imprigionate nelle case, nelle relazioni normate e gerarchizzate, nell’amore, nelle nostre esistenze che anelano comunque al cambiamento.

Lo sciopero umano è uno sciopero più generale dello sciopero generale che ha per fine la trasformazione delle relazioni sociali informali che sono alla base della dominazione (p. 38).

Scioperiamo.

Questo grido diventa testo, poesia, diviene appello accorato, consiglio, protesta scritta, lettera amicale.

Ma come si agisce?

Nel quotidiano possiamo desiderare e lottare per il cambiamento cercando la novità, quella novità che trasforma la pratica in un’agentività inaspettata, scioperando dalla norma. In questo presente che ci rende individui isolati, esperire nuove forme di relazioni sconfiggendo quell’estraneità che ci attanaglia, riproducendo continuamente categorie di inclusione-esclusione in uno scontro binario da interrompere, induce a una riforma delle nostre vite. Con l’incontro, l’interazione e l’auto-organizzazione potremmo sovvertire, nel locale, la macchina globale, la stessa che, attraverso l’utilizzo del biopotere, colonizza i nostri corpi facendoci sentire stranieri-estranei negli spazi che abitiamo.

I saperi situati femministi, con le loro pratiche, hanno già iniziato a delineare forme di sciopero umano, attraversando luoghi, strade, piazze, riorganizzando la città e il quartiere, sia in momenti di protesta che in momenti di festa, collettivizzando il lavoro di cura e di riproduzione, condividendo i saperi dell’esperienza nel pubblico.

Quali soggetti? (Chi protagonizza lo sciopero?)

Fontaine riprende Agamben e parla di tutte noi come singolarità qualunque, come soggetti dello sciopero umano, egualmente amabili e temibili (p. 74). In questo libro possiamo leggerci tutte che, attraversate da differenti categorie imposte, siamo comunque sovversive e non importa essere proletarie, nere, persone liminali, comunque possiamo interrompere e irrompere in un cambiamento che sovverte l’attuale stato del potere. Non importa a quale tipo di privilegio siamo soggette, a quale gerarchia siamo assoggettate, l’importante è riconoscere e partire da quella posizione in cui ci troviamo, partire da noi per cambiare, dato che i privilegi non si annullano rinunciandovi (p. 111). Scegliere di agire un movimento che parte dai margini, instaurando alleanze nuove e costruendo nuovi spazi, nuovi linguaggi.

Ci possiamo domandare dove possiamo attuare questa forma di ribellione e cambiamento. Nelle città? Certo. Nelle campagne? Ovunque, in forma diffusa. Non vi è luogo che non sia soggetto a trasformazione l’importante è partire da noi, prendere la vita come attività rivoluzionaria in un moto che sia dentro di noi e fuori da noi, in divenire. Fare della vita allo stesso tempo un’arma e un campo di battaglia è la particolarità di quel tipo di esistenza rivoluzionaria che Foucault chiamava “testimonianza attraverso la vita”, una militanza che prende forma di uno stile di esistenza (p. 212).

I luoghi sono molti, sono tutti e comprendono anche i nostri corpi. Gli stessi corpi che si alienano nella totalizzazione del lavoro post-fordista che ci imprigiona in una miriade di dualismi contrastanti, in lotta con il tempo libero dalla produzione. Ma patriarcato e capitalismo, come fa notare il collettivo Claire Fontaine, ha messo tutto a lavoro, anche le emozioni che incarnate nei nostri corpi continuano a produrre e riprodurre forza lavoro.

Il libro si compone di una raccolta di scritti che vanno dal 2005 al 2016, gli stili di scrittura sono plurimi e avvincenti. Parla di politica e parla di arte. Entrambi questi concetti cambiano forma durante l’opera stessa senza mai separarsi. L’arte si lega allo spazio pubblico e lo spazio pubblico appartiene già, spesso senza saperlo, all’arte (p. 125).

Nuovi tipi di proteste, nuove performance, nuovi modi di stare in piazza, tutto descritto in differenti esempi, in racconti, in saggi.

A questo punto la domanda può diventare: cosa si intende per arte?

Il collettivo dà differenti risposte, si passa dall’Estetica relazionale di Nicolas Borriaud (p. 27), il quale vuole presentare le pratiche rivoluzionarie legate alle utopie di prossimità, ovvero alla trasformazione di alcuni momenti della nostra vita in piccoli momenti di liberazione dalla totalità omogenizzante neoliberale. Si passa, poi, a definire l’arte come uno spazio di defunzionalizzazione delle soggettività, le quali, estraneandosi da loro stesse possono vedere il mondo con lucidità. L’arte diventa dispositivo e al contempo critica dell’attuale società (p. 36). Il processo del divenire straniero è qui un atto rivoluzionario.

Leggere questo libro porta ad attraversare differenti stati di emozione, apre nuovi interrogativi.

…E scioperare diventa necessario.

È possibile visitare il sito ufficiale del collettivo Claire Fontaine cliccando qui.

Capitalism Kills (Love) (2008), Neon, framework, transformers, electronic sequencer and cables. 600 × 8000 × 500 mm Installation view at the Durham Miners Hall, Lumiere, Durham, UK 17–21 November 2011