Come un paesaggio. Pensieri e pratiche tra lavoro e non lavoro, (a cura di) Sandra Burchi e Teresa Di Martino, Iacobelli 2013

Come un paesaggio. Pensieri e pratiche tra lavoro e non lavoro, (a cura di) Sandra Burchi e Teresa Di Martino, Iacobelli 2013

(pubblicato in Leggendaria, n. 104, marzo 2014)

“Paesaggio” è concetto complesso, usato in ambiti differenti, definito dal nostro Codice dei beni culturali come “una determinata parte di territorio, così come è percepita dalle popolazioni, il cui carattere deriva dall’azione di fattori naturali e umani e dalle loro interrelazioni” (Convenzione Europea del Paesaggio, Firenze, 20 Ottobre 2000, Art. 1).

Storia e narrazioni, relazioni e territori sono gli spazi in cui ci si muove nel volume intitolato, non a caso, Come un paesaggio. Pensieri e pratiche tra lavoro e non lavoro. Il libro, a cura di Sandra Burchi e Teresa Di Martino, nasce dalla Giornata di studi promossa, nel marzo 2012, dalla redazione Iaph Italia, “Lavoro o no? Crisi dell’Europa e nuovi paradigmi della cittadinanza”.

Se il tema attorno a cui il libro ruota è il lavoro, ad osservare e analizzare tale realtà sono qui le donne e ciò che viene osservato è il lavoro proprio in relazione all’essere donna. Gli interventi sviluppati presentano quindi un precipuo punto di vista che tesse una rinnovata narrazione sul tema del lavoro e di conseguenza del non lavoro.
Il posizionamento esplicitato è ciò che costruisce il libro e quindi il paesaggio che ci si accinge a delineare. Questo non ha natura oggettiva, muta a seconda della posizione di chi osserva e costruisce una parte di ciò che viene percepito, portando ricchezza al complesso immaginario che ne scaturisce. Di conseguenza, le donne che osservano l’attuale mondo del lavoro e ciò che vi è connesso, vi sono anche immerse, ne fanno parte, sono osservatrici e osservate che danno vita ad una densa ri-scrittura di un aspetto fondamentale nella vita dei singoli, come in quella sociale e politica.

La raccolta dei testi si delinea come una vera proposta, quella di “considerare la posizione di una donna come la posizione da cui pensare una giustizia per tutti, ovvero forme di relazioni pensate su grande scala” (p.11), rendere cioè la posizione di presunta marginalità, una risorsa per nuove analisi a cui seguano nuove politiche.
Gli articoli scaturiscono dal chiedersi come e dove si colloca oggi il pensiero femminista, nelle sue diverse declinazioni, a distanza di più di vent’anni dalle teorie sulla “femminilizzazione” del lavoro.
Non si tratta più di chiedere o escogitare misure di inclusione o tutele che sanno di ricatto e paternalismo, quanto pensare un nuovo concetto di diritti che comprenda la complessità del presente lavorativo.

Emerge, quindi, con forza il tema del precariato, che ha mutato il volto del mondo del lavoro, ben prima delle difficoltà attuali, cambiando non solo i ruoli lavorativi tradizionali ma anche la percezione di sé delle lavoratrici e dei lavoratori, il concetto di classe, costruendo inoltre un nuovo pensiero sul reddito. E sulla cittadinanza.
Quest’ultima si pone come momento fondamentale nel ricostruire un discorso articolato su lavoro e diritti che mostra come il vecchio modello fordista sia ormai superato e necessiti di nuovi parametri ancora in costruzione. La posizione marginale e di sfruttamento delle donne nel vecchio sistema economico non è certo migliorata nel presente, alcune condizioni permangono, nuove si affacciano, tutte vanno a detrimento della vita e non solo lavorativa. Analizzare posizione e ruolo delle donne vuol dire dare vita ad una analisi situata ma che non ragiona aprendosi e chiudendosi nell’autoreferenzialità; è piuttosto un punto di partenza per una lettura politica che coinvolge tutte e tutti. Nel momento in cui in crisi è un intero modello economico di riferimento e il sistema del lavoro, strettamente connesso, non solo non fornisce risposte ma entra in crisi esso stesso, partire da chi una cittadinanza compiuta o classicamente intesa non l’ha mai vissuta, può offrire spunti teorici e pratici da condividere.
Non si parla infatti solo del miglioramento della situazione delle donne, ci si preoccupa di disvelare i diversi rapporti sociali e il loro sviluppo, evitando il rafforzamento di dinamiche razziste e classiste in agguato, quando i temi proposti non hanno la profondità di riferimento che troviamo nel presente volume.

Così, oltre le teorie esposte, si fanno spazio nelle pagine anche racconti personali e riferimenti concreti alla vita quotidiana di alcune donne, particolari condizioni lavorative, presto esistenziali, come il già citato lavoro precario. Esemplare la questione del lavorare da casa con tutte le implicazioni che questo comporta, condizione strettamente legata al genere, al lavoro intellettuale, di libere professioniste e poco definibile con vecchie e tradizionali categorie. Qui, ad esempio, si fa strada un concetto importante e condiviso dalle condizioni di precariato diffuso che sembra non avere a che fare con le questioni del lavoro, ovvero il tempo. La mancanza di tempo, l’accelerazione del tempo, il tempo che scorre, il tempo immobile, il tempo da imbrigliare, “è un tema che fa da snodo a vari problemi: la questione dell’efficienza (la gestione del tempo), la questione della misurazione del tempo lavorato (le equivalenze tra tempo lavorato e compensi), la questione del tempo biografico e professionale (il futuro)” (p.117).
Al centro, come abbiamo già detto, osservatore e osservato, c’è il corpo delle donne. Un corpo che si ri-definisce fertile, non solo nell’affrontare la connessione maternità-lavoro ma nella rivendicazione di un corpo capace di generare, non solo figli ma cambiamenti e politiche.

Le autrici quindi, pur nella loro diversità, anzi proprio grazie alla ricchezza della differenza, prospettano la possibilità di scombinare alcune equivalenze che hanno dominato il campo degli studi sul lavoro aprendosi uno spazio teorico fatto di orizzonti, crinali e strati, come un paesaggio.
Ovviamente, parlare di contemporaneità vuol dire anche nominare la crisi attuale e tutto ciò che ne è derivato, dall’austerity alle rivolte, lasciando emergere un pensiero femminista che va oltre la cronaca, portando uno spostamento dei concetti di denaro e ricchezza, di un’idea di reddito che superi la dicotomia reddisti/lavoristi, ma che sopra ogni cosa porti a definire quali sono le politiche possibili per una trasformazione effettiva e quindi come immaginare e agire un superamento della situazione attuale. Generando, oltre il lavoro.