Città azzurra
città fredda
città mobile e ferma
con le facciate al sole,
ancor nell’ombra il piede delle case.
Ombra ai cancelli e ai pini
e al sonno di piccoli bambini
rimasti nella casa senza madre.
Città di corse e soste
alle otto del mattino,
studenti, impiegati, manovali
e donne col rossetto e il giornale.
Città che indugi e che prorompi
alla periferia
mentre mi allontano a lavorare,
città di tutti e mia.
Difficile é il mio tempo,
ma io non mi lamento.
Mai ti dirò:
– Torniamo indietro,
Torniamo donne a casa –
Tu, casa più grande della mia,
ancor feroce al tenero mio amore
come caverna al primordiale,
ti chinerai sul gioco dei bambini
con libere movenze
che la luce non rompe
che l’ombra non incrina,
Perché tu sei nel tempo
destinata a finire
il tuo cemento,
a fiorire la tua maternità,
città di tutti e mia,
città! Che l’architetto
fa di vetro
e noi di sangue.
Da Luigia Rizzo Pagnin, Il borghese agli agguati, Edizioni de “Il rinoceronte”, Padova, 1964