Donne al lavoro, tra condizioni e desideri

“Diversamente occupate” e “Lavoro. Se e solo se” (DWF, 2010), “Immagina che il lavoro” (Libreria delle donne di Milano, 2009), “Flessibili/Precarie” (Genesis, 2008), “Voglio lavorare. A modo mio” (Leggendaria, 2011). Storiche riviste femministe che negli ultimi anni hanno dedicato molto spazio al pensiero dell’esperienza sulla relazione tra donne e lavoro. E non l’hanno fatto solo per mettere a tema una questione quanto mai urgente , vale a dire lavoro/non lavoro, flessibilità/precarietà, bensì mettendo al centro il posto che ha il lavoro delle donne nella vita delle donne di oggi. E le cose sono un po’ diverse dal passato: la precarietà ha bussato alle porte di tutte e tutti, riducendoci nella retorica della povertà e dell’insicurezza, tutti insieme, tutti uguali, maschi e femmine. Ma non è così. La politica della differenza ci insegna che non siamo mai uguali: noi donne in questo – come spesso accade – siamo più libere, e quindi più capaci, per storia, sapere e competenze, di re-inventarci il lavoro, libere dal lutto che i colleghi maschi devono fare sulla perdita e la mancanza del lavoro come nucleo centrale e vitale della tradizione maschile-patriarcale. La nostra capacità di ricomporre e re-inventare quotidianamente le condizioni del lavoro e del non lavoro ci consente di rigenerarci a partire dalle crisi, ma rischia anche di farci cadere nella trappola dell’espropriazione da parte del mercato di tutto quel di più che portiamo al mercato.

Quel di più siamo noi, i nostri corpi che si muovono negli spazi, le relazioni con colleghe e colleghi, quel lavoro di “cura del prodotto” che mettiamo in atto per puro piacere di produzione e forte senso di responsabilità. E allora, la questione qual è? Partiamo dalle condizioni al lavoro per arrivare ai desideri nel lavoro. Quali tempi, luoghi, modalità, riconoscimenti, retribuzioni, relazioni viviamo, e quali desideriamo. Nel lavoro tradizionale-maschile, quello dell’operaio-massa, le condizioni erano chiare e precise e su queste ruotavano diritti, tutele e rivendicazioni. Oggi il lavoro è cambiato: le condizioni sono diverse e differenti per ognuna ed ognuno, ci troviamo a negoziare e trattare individualmente con il risultato di una forte divisione e frammentazione, nate dalla mancanza di quella dimensione collettiva che le generazioni di donne che ci hanno preceduto hanno conosciuto bene. Ciò significa che al lavoro le donne sono sole e, quel che è peggio, si sentono sole.

E non è un caso che negli ultimi anni a parlare di lavoro siano proprio loro. In un periodo in cui c’è sapore di movimenti, dagli studenti agli immigrati fino ai precari, le donne possono e devono prendere parola e parlare per tutti. A partire appunto dalle condizioni materiali al lavoro, e quindi dalla rivendicazione dei diritti trasformati oggi in privilegi (diritto al contratto, ad una retribuzione adeguata, alla malattia, alla maternità, alle ferie…), per giungere al nostro desiderio di lavoro e ai tempi e le modalità che vogliamo. Serve da una parte una presa di coscienza collettiva sulle questioni che riteniamo di porre all’attenzione dell’agenda politica, e quindi l’unione di forze, energie, saperi e pratiche che possano creare una rete di donne e uomini per prendere parola a partire da noi ed uscire allo scoperto, insieme. E, per parte di donne, c’è bisogno di mettere in campo desideri e piaceri per re-inventare il mondo del lavoro e quei diritti di cittadinanza che ci riconoscerebbero cittadine in quanto donne e non perché lavoratrici. Perché appunto la questione non è il lavoro, bensì le relazioni che ognuna di noi ha con e al lavoro.

Perché, come dicono le mie compagne, “Noi non siamo mai spente”.