Ecofeminism di Maria Mies e Vandana Shiva Critique influence change – Prefazione all’edizione 2014 – traduzione di Elena Pellegrini

vedi anche Elena Pellegrini – M. Mies e V. Shiva, Introduzione a Ecofeminism. Una traduzione con apparato critico

Vandana Shiva

Quando Maria Mies e io scrivemmo Ecofeminism due decadi fa, stavamo affrontando le sfide emergenti del nostro tempo. Ogni minaccia che abbiamo identificato è diventata più profonda e con essa è cresciuta anche la rilevanza di un’alternativa al patriarcato capitalista, se vogliamo che l’umanità e le diverse specie con cui condividiamo il pianeta sopravvivano. Ecofeminism è stato pubblicato per la prima volta un anno dopo l’Earth Summit, in cui sono stati firmati dai governi del mondo due importanti trattati: la Convenzione sulla diversità biologica e la Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici. Non esisteva l’Organizzazione Mondiale del Commercio. Tuttavia, due anni dopo Ecofeminism, è stata istituita l’OMC, che privilegia i diritti delle imprese, il commercio e i profitti, minando ulteriormente i diritti della Terra, i diritti delle donne e i diritti delle generazioni future. Abbiamo scritto di ciò che la globalizzazione implica per la natura e per le donne. Ogni crisi di cui abbiamo parlato è più profonda, ogni espressione di violenza più brutale. Diverse Woman for Diversity è stata creata per rispondere a una globalizzazione aziendale che stava riducendo il mondo a monoculture controllate da multinazionali. Eravamo a Seattle e abbiamo fermato collettivamente la Ministeriale dell’OMC nel 1999. Tuttavia, nuovi accordi di “libero scambio”, come l’accordo di libero scambio UE-India, l’accordo agricolo USA-India, progettato per mettere il cibo e l’agricoltura dell’India nelle mani di Monsanto, Cargill e Walmart, il Partenariato Trans-Pacifico e il Partenariato USA-Europa, vengono spinti in modo antidemocratico per espandere il dominio delle corporazioni, mentre vediamo le rovine che ha lasciato: aziende agricole devastate, sfollati, ecosistemi devastati, scomparsa della diversità, caos climatico, società divise e un’intensificazione della violenza contro le donne.

L’intensificazione della violenza contro le donne

La violenza contro le donne è vecchia come il patriarcato. Il patriarcato tradizionale ha strutturato la nostra visione del mondo e la nostra mentalità, il nostro mondo sociale e culturale sulla base del dominio sulle donne e della negazione della loro piena umanità e del loro diritto all’uguaglianza. Ma si è intensificato ed è diventato più pervasivo negli ultimi anni. Si è manifestato in forme più brutali, come l’omicidio della vittima di uno stupro di gruppo a Delhi e il suicidio di una diciassettenne vittima di stupro a Chandigarh. I casi di stupro e i casi di violenza contro le donne sono aumentati nel corso degli anni. Il National Crime Records Bureau (NCRB) (l’Ufficio Nazionale Anticrimine) ha segnalato 10,068 casi di stupro nel 1990, che sono saliti a 16,496 nel 2000. Con 24,206 casi nel 2011, i casi di stupro sono aumentati di un incredibile 873% rispetto al 1971, anno in cui l’NCRB cominciò a registrare statistiche riguardanti gli stupri. Delhi si è distinta come capitale degli stupri dell’India rappresentando il 25% dei casi.

Il movimento per fermare questa violenza deve essere portato avanti finché non sarà fatta giustizia per ognuna delle nostre figlie e sorelle vittime di abuso. E mentre intensifichiamo il nostro sforzo per fare giustizia per le donne, abbiamo anche bisogno di domandare perché i casi di stupro sono aumentati del 240% dal 1990, quando furono introdotte le nuove norme economiche.

C’è forse una correlazione tra l’aumento della violenza, ingiuste e inique politiche economiche imposte in maniera non democratica e l’intensificazione della brutalità nei crimini contro le donne? Credo che ci sia. Non sto insinuando che la violenza contro le donne inizi con l’economia neoliberale. Sono profondamente consapevole delle problematiche di genere all’interno delle nostre tradizioni culturali e organizzazioni sociali.  Ho il potere di parlare oggi perché persone prima di me hanno combattuto contro l’esclusione e i pregiudizi verso donne e bambini – mio nonno sacrificò la sua vita per la parità dei sessi e mia madre divenne femminista ancor prima che fosse inventato questo termine.

La violenza contro le donne ha assunto tante nuove viziose forme così come le strutture del patriarcato tradizionale si sono ibridate con le strutture del patriarcato capitalista. Dobbiamo esaminare le correlazioni tra la violenza dell’ingiusto e non sostenibile sistema economico e la crescita di frequenza e brutalità nella violenza contro le donne. Dobbiamo indagare su come le strutture del patriarcato tradizionale si fondano con le strutture emergenti del patriarcato capitalista per intensificare la violenza contro le donne.

Cicloni e uragani si sono sempre verificati. Ma come dimostrano il super ciclone Orissa, il ciclone Nargis, il ciclone Aila, l’uragano Katrina e l’uragano Sandy, l’intensificazione e la frequenza dei cicloni sono aumentate con il cambiamento climatico.

La nostra società ha sempre avuto un pregiudizio verso le bambine. Ma l’epidemia di feticidio femminile e la scomparsa di 30 milioni di bambine non ancora nate ha portato questo pregiudizio a nuove proporzioni e nuovi livelli di violenza. Ed è in questo contesto di dinamiche di violenza più brutale e più violenta contro le donne e di forme multiple e interconnesse di violenza che i processi scatenati dal neoliberismo sono fattori che contribuiscono.

In primo luogo, il modello economico incentrato miopemente sulla “crescita” inizia con la violenza contro le donne, scontando il loro contributo all’economia. Più il governo parla ad nauseam di “crescita inclusiva” e “inclusione finanziaria”, più esclude il contributo delle donne all’economia e alla società. Secondo i modelli economici patriarcali, la produzione per il sostentamento viene considerata come “non produzione”. La trasformazione del valore in disvalore, del lavoro in non-lavoro e della conoscenza in non-conoscenza avviene attraverso il numero più potente che governa le nostre vite: il costrutto patriarcale del PIL, prodotto interno lordo, che i commentatori hanno iniziato a chiamare “problema interno lordo”.

I sistemi di contabilità nazionale utilizzati per calcolare la crescita in termini di PIL si basano sul presupposto per cui se i produttori consumano ciò che producono, in realtà non producono affatto, perché si trovano al di fuori del confine della produzione. Il confine della produzione è una creazione politica che, nel suo funzionamento, esclude i cicli di produzione rigenerativi e rinnovabili dall’area della produzione. Di conseguenza, tutte le donne che producono per la famiglia, i figli, la comunità e la società sono trattate come “non produttive” ed “economicamente inattive”. Quando le economie sono confinate al mercato, l’autosufficienza economica viene percepita come una carenza economica. La svalutazione del lavoro delle donne e del lavoro svolto nelle economie di sussistenza del Sud del mondo è il risultato naturale di un confine di produzione costruito dal patriarcato capitalista.

Limitandosi ai valori dell’economia di mercato, come definiti dal patriarcato capitalista, il confine di produzione ignora il valore economico nelle due economie vitali necessarie alla sopravvivenza ecologica e umana: l’economia della natura e l’economia di sostentamento. In queste economie, il valore economico è una misura del modo in cui la vita della Terra e la vita umana sono protette. La moneta è costituita dai processi vitali, non dal denaro o dal prezzo di mercato.

In secondo luogo, un modello di patriarcato capitalista che esclude il lavoro delle donne e la creazione di benessere, infonde nella mente la violenza allontanando le donne dai loro mezzi di sussistenza e alienandole dalle risorse naturali su cui si basa il loro sostentamento – la loro terra, le loro foreste, la loro acqua, i loro semi e biodiversità.

Le riforme economiche basate sull’idea di una crescita illimitata in un mondo limitato possono essere mantenute solo se i potenti si appropriano delle risorse dei vulnerabili. L’accaparramento delle risorse, essenziale per la crescita, crea una cultura dello stupro: stupro della Terra, delle economie locali e delle donne. L’unico modo in cui questa crescita è inclusiva è l’inclusione di un numero sempre maggiore di persone nel suo cerchio di violenza.

Ho ripetutamente sottolineato che lo stupro della Terra e lo stupro delle donne sono intimamente legati, sia metaforicamente nel plasmare le visioni del mondo, sia materialmente nel plasmare la vita quotidiana delle donne.

La crescente vulnerabilità economica delle donne le rende più esposte a tutte le forme di violenza, compresa quella sessuale, come abbiamo scoperto durante una serie di udienze pubbliche sull’impatto delle riforme economiche sul sesso femminile organizzate dalla National Commission on Women e dalla Research Foundation for Science, Technology and Ecology.

In terzo luogo, le riforme economiche portano alla sovversione della democrazia e alla privatizzazione del governo. I sistemi economici influenzano i sistemi politici; i governi parlano di riforme economiche come se non avessero nulla a che fare con la politica e il potere. Dicono di tenere la politica fuori dalle questioni economiche, perfino mentre impongono un modello economico plasmato da politici di genere e classe specifici. Le riforme neoliberali manovrano contro la democrazia. Lo abbiamo visto di recente con il governo indiano che ha spinto le “riforme” per far entrare Walmart, anche se con gli IDE, nella vendita al dettaglio. Le riforme guidate dalle imprese creano una convergenza del potere economico e politico, un intensificarsi delle disuguaglianze e un crescente distacco della classe politica dalla volontà del popolo che dovrebbe rappresentare. Questo è alla base dello scollamento tra i politici e il pubblico, che abbiamo sperimentato durante le proteste cresciute dopo lo stupro di Delhi.

Peggio ancora, una classe politica alienata ha paura dei suoi stessi cittadini.

Questo spiega il crescente uso della polizia per reprimere le proteste non violente dei cittadini, come abbiamo visto a Delhi; la tortura di Soni Sori a Bastar; l’arresto di Dayamani Barla in Jharkhand; le migliaia di cause contro le comunità che lottano contro la centrale nucleare di Kudankulam. Uno Stato aziendale privatizzato deve rapidamente diventare uno Stato di polizia. È per questo che i politici si preoccupano di aumentare sempre di più la sicurezza, distogliendo la polizia dai suoi importanti compiti di protezione delle donne e dei cittadini comuni.

In quarto luogo, il modello economico plasmato dal patriarcato capitalista si basa sulla mercificazione di tutto, comprese le donne.

Quando abbiamo fermato la Ministeriale dell’OMC a Seattle, il nostro slogan era “Il nostro mondo non è in vendita”.

Un’economia della deregolamentazione del commercio e della privatizzazione e mercificazione di semi e cibo, terra e acqua, donne e bambini degrada i valori sociali, fortifica il patriarcato e intensifica la violenza contro le donne. I sistemi economici influenzano la cultura e i valori sociali. Un’economia di mercificazione crea una cultura di mercificazione, dove tutto ha un prezzo e nulla ha valore.

La crescente cultura dello stupro è una conseguenza sociale delle riforme economiche. Dobbiamo istituzionalizzare le verifiche sociali delle politiche neoliberali, che sono uno strumento centrale del patriarcato dei nostri tempi.

Se ci fosse stato un audit sociale sull’aziendalizzazione del nostro settore delle sementi, 28.400 agricoltori non sarebbero stati spinti al suicidio in India dall’introduzione delle nuove politiche economiche.  Se ci fosse un audit sociale sulla corporativizzazione del nostro cibo e della nostra agricoltura, non avremmo un indiano su quattro che soffre la fame, una donna su tre che è malnutrita e un bambino su due che è deperito e stentato a causa di una grave malnutrizione. L’India di oggi non sarebbe la Repubblica della fame di cui ha scritto Utsa Patnaik.

Dobbiamo considerare il continuum delle diverse forme di violenza contro le donne: dal feticidio femminile all’esclusione economica e alla violenza sessuale. Dobbiamo portare avanti il movimento per le riforme sociali necessarie a garantire la sicurezza e l’uguaglianza delle donne, partendo dalle basi gettate durante il nostro movimento per l’indipendenza e portate avanti dal movimento femminista nel corso degli anni.

E in tutto questo dobbiamo cambiare il paradigma dominante che riduce la società in economia, l’economia in mercato e ci viene imposta come una ‘crescita’, alimentando l’intensità dei crimini verso le donne mentre aumenta la disparità sociale ed economica. Società ed economia non sono indipendenti l’una dall’altra; i processi di riforme economiche e di riforme sociali non possono più considerarsi separati. Abbiamo bisogno di riforme economiche basate sull’istituzione di riforme sociali che correggano l’ineguaglianza di genere nella società, piuttosto che aggravare ogni forma di ingiustizia, disuguaglianza e violenza. Fermare la violenza contro le donne deve includere anche trasformare l’economia violenta plasmata dal capitalismo patriarcale in economie non violente, sostenibili e pacifiche che portino rispetto alle donne e alla Terra.

L’Era dell’Antropocene: la scelta umana di essere distruttiva o creativa

Quando scrivemmo Ecofeminism portammo alla luce il problema della scienza riduzionista e meccanicistica e l’atteggiamento di dominio e conquista della natura come espressione del patriarcato capitalista. Oggi il contrasto tra una visione ecologica e femminista del mondo e una visione disegnata dal patriarcato capitalista è più intenso che mai.

Questa competizione è particolarmente intensa nell’area del cibo.  Gli OGM incarnano la visione del patriarcato capitalista. Essi perpetuano l’idea delle “molecole padrone” e del riduzionismo meccanicistico molto tempo dopo che le scienze della vita sono andate oltre il riduzionismo e i brevetti sulla vita riflettono l’illusione patriarcale capitalista della creazione. Non c’è scienza nel considerare il DNA come una “molecola madre” e l’ingegneria genetica come un gioco di Lego, in cui i geni vengono spostati senza alcun impatto sull’organismo o sull’ambiente.  Si tratta di una nuova pseudoscienza che ha assunto lo status di religione. La scienza non può giustificare i brevetti sulla vita e sul seme. Mischiare i geni non significa creare la vita; gli organismi viventi si creano da soli. Brevettare le sementi significa negare il contributo di milioni di anni di evoluzione e di migliaia di anni di allevamento di agricoltori. Si potrebbe dire che si sta creando una nuova religione, una nuova cosmologia, un nuovo mito della creazione, in cui le corporazioni biotecnologiche come Monsanto sostituiscono la Creazione come “creatori”. OGM significa “God move over” (“Dio si sposti”). Stewart Brand ha detto: “Siamo come dèi e faremmo meglio ad abituarci”.

Gli scienziati affermano che siamo entrati in una nuova era, l’era dell’Antropocene, l’era in cui la nostra specie, l’uomo, sta diventando la forza più significativa del pianeta. Gli attuali cambiamenti climatici e l’estinzione delle specie sono causati dalle attività umane e dalla grande impronta ecologica della nostra specie.

Le catastrofi climatiche e gli eventi climatici estremi stanno già mietendo vittime: le alluvioni in Thailandia nel 2011 e in Pakistan e Ladakh nel 2010, gli incendi boschivi in Russia, i cicloni e gli uragani più frequenti e intensi e le gravi siccità sono esempi di come l’uomo abbia destabilizzato il sistema climatico del nostro pianeta autoregolato, che ci ha garantito un clima stabile negli ultimi 10.000 anni. L’uomo ha portato all’estinzione il 75% della biodiversità agricola a causa dell’agricoltura industriale. Ogni giorno si estinguono dalle 3 alle 300 specie.

Il modo in cui il pianeta e gli esseri umani si evolveranno in futuro dipenderà dalla comprensione dell’impatto umano sul pianeta.

Se continuiamo a comprendere il nostro ruolo come radicato nel vecchio paradigma del patriarcato capitalista – basato su una visione del mondo meccanicistica, su un’economia industriale e competitiva incentrata sul capitale e su una cultura del dominio, della violenza, della guerra e dell’irresponsabilità ecologica e umana – assisteremo al rapido dispiegarsi di una crescente catastrofe climatica, dell’estinzione delle specie, del collasso economico, dell’ingiustizia e della disuguaglianza umana.

Questo è l’Antropocene distruttivo, dato dall’arroganza e dalla presunzione umana. Lo dimostra il tentativo degli scienziati di ricorrere alla geoingegneria, all’ingegneria genetica e alla biologia sintetica come soluzioni tecnologiche alla crisi climatica, alla crisi alimentare e alla crisi energetica.

Tuttavia, non faranno altro che aggravare i vecchi problemi e crearne di nuovi. Lo abbiamo già visto con l’ingegneria genetica: avrebbe dovuto aumentare la produzione alimentare, ma non è riuscita a incrementare i raccolti; avrebbe dovuto ridurre l’uso di sostanze chimiche, ma ha aumentato l’uso di pesticidi ed erbicidi; avrebbe dovuto controllare le erbacce e i parassiti, ma ha invece creato super infestanti e superparassiti.

Siamo nel pieno di un’epica contesa: quella tra i diritti della Madre Terra e i diritti delle multinazionali e degli Stati militarizzati che utilizzano visioni del mondo e paradigmi obsoleti per accelerare la guerra contro il Pianeta e le persone. Questa gara è tra le leggi di Gaia e le leggi del mercato e della guerra.

È una gara tra la guerra contro il Pianeta Terra e la pace con esso. La guerra planetaria si sta svolgendo con la geoingegneria – creando vulcani artificiali, fertilizzando gli oceani con limatura di ferro, mettendo riflettori nel cielo per impedire al sole di splendere sulla Terra, spostando il vero problema della violenza dell’uomo contro la Terra e l’arrogante ignoranza nell’affrontarlo.

Nel 1997, Edward Teller è stato coautore del libro bianco Prospects for Physics-based Modulation of Global Change (“Prospettive per la modulazione del cambiamento globale basata sulla fisica”), in cui sosteneva l’introduzione su larga scala di particolato metallico nell’alta atmosfera per applicare un’efficace “protezione solare”.

Il Pentagono sta cercando di creare organismi sintetici immortali con l’obiettivo di eliminare “la casualità del progresso evolutivo naturale”. Quello che si sta facendo con il clima è il codice evolutivo dell’universo con totale indifferenza per le conseguenze.

La biologia sintetica è un’industria che crea “organismi di design che agiscono come fabbriche viventi”. Con la biologia sintetica si spera di poter creare sistemi biologici che funzionino come computer o fabbriche”. L’obiettivo è quello di rendere la biologia più facile da ingegnerizzare utilizzando dei “bio-mattoni”.

L’uso di parti standardizzate, seguendo un processo di progettazione formalizzato, l’approccio degli ingegneri alla biologia rende la biologia una disciplina ingegneristica, che richiede la riduzione della complessità biologica. Un approccio ingegneristico alla biologia basato sui principi della standardizzazione, della decompilazione e dell’astrazione e su un forte ricorso alle tecnologie informatiche.

Tuttavia, “ingegnerizzare” le piante e gli ecosistemi ha impatti ecologici indesiderati e imprevedibili. Ad esempio, la Rivoluzione Verde ha distrutto la biodiversità, le risorse idriche, la fertilità del suolo e persino l’atmosfera, con il 40% dei gas serra provenienti dall’agricoltura industrializzata e globalizzata. La seconda Rivoluzione verde ha portato alla comparsa di superparassiti e super infestanti e all’aumento dell’uso di erbicidi e pesticidi.

La biologia sintetica, come terza rivoluzione verde, si approprierà della biomassa dei poveri, anche vendendo “vita artificiale”.

C’è un’intensa lotta per le risorse della Terra e per la proprietà della natura. Le grandi compagnie petrolifere, farmaceutiche, alimentari e sementiere si stanno unendo per appropriarsi della biodiversità e della biomassa – il carbonio vivente – per prolungare l’età dei combustibili fossili e del carbonio morto.

Le multinazionali considerano il 75% della biomassa utilizzata dalla natura e dalle comunità locali come “sprecato”. Vorrebbero appropriarsi della ricchezza vivente del Pianeta per produrre biocarburanti, prodotti chimici e plastici. Questo esproprierà i poveri delle fonti stesse della loro vita e dei loro mezzi di sostentamento. Gli strumenti per la nuova espropriazione sono gli strumenti tecnologici dell’ingegneria genetica e della biologia sintetica e i diritti di proprietà intellettuale.

Trasformare la ricchezza vivente del pianeta in proprietà delle multinazionali attraverso i brevetti è una ricetta per aggravare la povertà e la crisi ecologica. La biodiversità è il nostro bene comune vivente, la base della vita. Siamo parte della natura, non i suoi padroni e proprietari. Concedere diritti di proprietà intellettuale su forme di vita, risorse e processi viventi è una perversione etica, ecologica ed economica.

Dobbiamo riconoscere i diritti di Madre Terra e quindi il valore intrinseco di tutte le sue specie e processi viventi.

L’Antropocene distruttivo non è l’unico futuro. Possiamo subire un cambiamento di paradigma. Un cambiamento di coscienza è già in atto in tutto il mondo. Possiamo guardare all’impatto distruttivo che la nostra specie ha avuto sulla biodiversità, sugli ecosistemi e sui sistemi climatici del pianeta e prevenirlo. La svolta ecologica consiste nel non considerarci al di fuori della rete ecologica della vita, come padroni, conquistatori e proprietari delle risorse della Terra. Significa vedersi come membri della famiglia terrestre, con la responsabilità di prendersi cura delle altre specie e della vita sulla Terra in tutta la sua diversità, dal più piccolo microbo al più grande mammifero. Crea l’imperativo di vivere, produrre e consumare entro i limiti ecologici e all’interno della nostra quota di spazio ecologico, senza invadere i diritti di altre specie e di altre persone. È un cambiamento che riconosce che la scienza ha già operato un cambiamento di paradigma, passando dalla separazione alla non separazione e all’interconnessione, dal meccanicismo e dal riduzionismo alla relazione e all’olismo.

A livello economico, si tratta di superare le categorie artificiali e persino false della crescita economica perpetua, del cosiddetto libero scambio, del consumismo e della competitività. Significa passare a concentrarsi sul benessere planetario e umano, sulle economie vive, sul vivere bene, sul non avere di più, sul valorizzare la cooperazione piuttosto che la competitività. Sono questi i cambiamenti che stanno compiendo le comunità indigene, i contadini, le donne e i giovani nei nuovi movimenti come gli Indignati in Europa e Occupy Wall Street negli Stati Uniti.

Si tratta di lavorare come co-creatori e co-produttori con la Terra. Questo richiede di usare la nostra intelligenza per conservare e curare, non per conquistare e ferire. Questo è l’Antropocene creativo e costruttivo della Democrazia della Terra, basato sull’umiltà ecologica al posto dell’arroganza e sulla responsabilità ecologica al posto dell’esercizio incurante e cieco del potere, del controllo e della violenza. Affinché gli esseri umani possano proteggere la vita sulla Terra e il loro stesso futuro, dobbiamo diventare profondamente consapevoli dei diritti della Madre Terra, dei nostri doveri nei suoi confronti e della nostra compassione per tutti i suoi esseri. Il nostro mondo è stato strutturato dal patriarcato capitalista attorno a finzioni e astrazioni come il “capitale”, le “aziende” e la “crescita”, che hanno permesso lo scatenarsi delle forze negative dell’Antropocene distruttivo. O faremo pace con la Terra o affronteremo l’estinzione come esseri umani, anche se spingiamo milioni di altre specie all’estinzione. Continuare la guerra contro la Terra non è un’opzione intelligente.

Maria Mies

Quando ho riletto l’introduzione dell’edizione del 1993 di Ecofeminism, mi sono resa conto che oggi – a distanza di vent’anni – difficilmente qualcosa può essere modificato. Tutte le nostre preoccupazioni riguardo l’oppressione delle donne e lo sfruttamento della natura, tutta la nostra rabbia e critica dell’uccisione spietata della nostra comune Madre Terra restano uguali. Perciò mi chiedo: non è cambiato assolutamente niente? O le cose sono cambiate in modo da richiedere una nuova edizione di Ecofeminism? Quali sono questi nuovi problemi? O c’è una continuità tra all’ora e adesso? E c’è una risposta alla scottante domanda: qual è l’alternativa? In questa prefazione, proverò a rispondere a queste domande.

Cosa è ancora uguale al giorno d’oggi?

La violenza contro la natura e le donne

Uno dei problemi che rimane invariato è l’ulteriore costruzione di centrali nucleari in tutto il mondo. Intorno al 1993 ci sono stati ampi movimenti contro le industrie atomiche sia negli Stati Uniti che in Europa. Migliaia di persone di tutti gli strati sociali sono scese in piazza. La gente in Germania capì immediatamente che le centrali nucleari non erano state costruite principalmente per produrre energia per scopi pacifici, ma chiaramente per combattere il Grande Nemico dell’Est, l’Unione Sovietica, il cui regno iniziava dietro il Muro di Berlino. La gente temeva che una nuova guerra mondiale sarebbe stata combattuta dalla Germania.

Le femministe si unirono a questo movimento fin dall’inizio. Non solo ci siamo unite alle manifestazioni, ai campi di protesta e ai sit-in, ma abbiamo organizzato le nostre azioni antiatomiche. Durante le manifestazioni abbiamo organizzato speciali “blocchi femministi”. Uno dei nostri slogan era: “In pace la guerra contro le donne continua”. Agli uomini questo slogan non piaceva. Era chiaro che i danni causati dal fallout nucleare non potevano essere praticamente rimossi dalla Terra. Per questo vedevamo un legame tra la violenza contro le donne e i bambini e la violenza contro la natura. Abbiamo anche capito che l’invenzione dell’energia nucleare non è stata uguale a quella di qualsiasi altra tecnologia moderna. Gli uomini che lavoravano al Progetto Manhattan a Los Alamos non volevano solo capire la natura. Sapevano cosa stavano facendo. Brian Easley scoprì che loro si concepivano come ‘padri’. La bomba era la loro piccola, la loro figlia. Prima che la bomba fosse sganciata su Hiroshima, questi uomini avevano le parole d’ordine per portare a termine la loro invenzione. Se ci fosse stata una grande esplosione, la parola d’ordine sarebbe stata ‘Fat Man’ (“uomo grasso”). Se ci fosse stata solo una piccola esplosione, la parola d’ordine sarebbe stata ‘Little Boy’ (“ragazzino”). Dopo il ‘successo’ dello sgancio su Hiroshima, si sono congratulati l’un l’altro riguardo la nascita del loro ‘bambino’. Dopo Nagasaki, era un ‘uomo grasso’. Congratulazioni! Pertanto, Easley chiamò gli inventori della bomba atomica ‘i padri della distruzione’.[1]

Abbiamo capito per la prima volta che la scienza moderna era infatti figlia d’arte dei moderni padri della distruzione.  Per costruire nuove macchine non hanno bisogno di donne umane come madri. Questa intuizione ci ha portate alla critica fondamentale della scienza moderna, una scienza che non conosce sentimenti, né morale o responsabilità: col fine di produrre questa tecnologia, in tutti i suoi avatar, hanno bisogno di violenza. Abbiamo anche capito che tutte le donne del mondo, dall’inizio del patriarcato, sono state considerate come ‘natura’, prive di razionalità, il loro corpo funziona nello stesso modo istintivo degli altri mammiferi. Così come la natura, possono essere oppresse, sfruttate e dominate dagli uomini. Gli strumenti per questo sono la scienza, la tecnologia e la violenza.

La distruzione della natura, le nuove armi, l’ingegneria genetica, l’agricoltura moderna e le altre invenzioni moderne sono tutte figlie cerebrali di questa scienza riduzionista e presumibilmente priva di valori. Non abbiamo acquisito queste conoscenze seduti alla British Library, dove Marx aveva studiato il capitalismo. Abbiamo imparato la lezione nell'”Università delle strade”, come la chiamo io. Eravamo studiose attiviste. Non ci siamo basate sulla conoscenza dei libri, ma sull’esperienza, sulla lotta e sulla pratica. Attraverso una rete mondiale di donne che la pensavano come noi, abbiamo imparato a conoscere i loro metodi di protesta, i loro successi e i loro fallimenti. Come le donne di Greenham Common, in Inghilterra, abbiamo bloccato le basi missilistiche americane in Germania. Ci siamo unite alle nostre sorelle americane per circondare il Pentagono con un corteo di donne. Dopo questa azione del Pentagono è stata creata una nuova rete globale: Women and Life On Earth (“Donne e Vita sulla Terra”). WLOE esiste ancora oggi.

Ma i “padri della distruzione” sono incapaci di imparare e hanno la memoria corta. Non hanno imparato nulla dopo Hiroshima e Nagasaki. Non hanno imparato nulla dopo l’esplosione della centrale nucleare di Chernobyl, un incidente che, secondo loro, non sarebbe mai potuto accadere. Hanno continuato a costruire più impianti nucleari in più paesi e hanno promesso che fossero totalmente sicure e più efficienti. Perfino il Giappone non ha imparato niente da Hiroshima e Nagasaki – o Chernobyl. Anche la centrale nucleare di Fukushima avrebbe dovuto avere la tecnologia più sicura. Quando esplose nel 2011, il danno fatto alle persone e all’ambiente fu incredibile e impossibile da ‘riparare’. Eppure, il nuovo governo giapponese promette ancora una volta che costruirà più centrali nucleari e più sicure. Hiroshima, Nagasaki, Chernobyl e Fukushima sono solo nomi di un sistema che promette una vita migliore per tutti ma finisce per uccidere la vita stessa.

Violenza contro le donne e la biotecnologia

Prima che capissimo la profonda connessione tra donne e natura, abbiamo iniziato a combattere la violenza degli uomini verso le donne nelle nostre stesse case, nelle città, nei paesi e nel mondo. Anche in questo ambito siamo partite dall’azione, da cui abbiamo tratto le nostre intuizioni teoriche. La violenza contro le donne è stata infatti la prima questione che ha mobilitato le donne di tutto il mondo.

Negli anni Settanta volevamo fermare questa violenza nelle sue varie forme: stupro, botte alle mogli, mobbing, leggi contro l’aborto, la discriminazione delle donne e i comportamenti sessisti in tutte le loro manifestazioni. A Colonia, dove vivo, io e i miei studenti abbiamo avviato una campagna per la creazione di un rifugio per le donne picchiate dai mariti.

Abbiamo iniziato nella primavera del 1976 e alla fine dell’anno avevamo la nostra Frauenhaus. Nella Parte I del nostro libro il lettore trova un’ampia descrizione di questa lotta. Per me, le lezioni apprese durante questa lotta sono state fondamentali. Ho imparato per la prima volta quanto fosse diffusa e disumana la violenza contro le donne in Germania, un Paese cosiddetto civile. Ma la lezione più importante è stata: non si può capire una situazione sociale insopportabile se non si cerca di cambiarla. Non abbiamo usato i soliti strumenti metodologici per “studiare” il problema della violenza domestica, cioè, raccogliere statistiche per quantificare la “necessità” di un intervento sociale. Non abbiamo letto libri sulla violenza domestica in Germania. Abbiamo iniziato con azioni di strada e abbiamo chiesto una casa per le donne maltrattate. La risposta alla nostra richiesta di una Frauenhaus è stata enorme e l’abbiamo ottenuta in sette mesi. Questa lotta mi ha insegnato la lezione più importante per la mia vita futura: l’esperienza e la lotta vengono prima dello studio teorico.

Quando ripenso a questo apprendimento attraverso l’azione sociale, penso spesso alla famosa Tesi 11 delle Tesi su Feuerbach di Marx ed Engels: “I filosofi hanno interpretato il mondo in modi diversi. Il punto, tuttavia, è cambiarlo”. Abbiamo cercato di cambiare il mondo prima di iniziare a filosofare su di esso. Ma non sempre i nostri sforzi hanno avuto successo.

Nonostante le numerose lotte femministe contro la violenza maschile, questa non è scomparsa. Al contrario, è aumentata. È ancora parte integrante di tutte le istituzioni delle nostre società patriarcali. Fa parte dell’economia, della famiglia, della religione, della politica, dei media, della cultura. Esiste sia nei Paesi cosiddetti “civilizzati” che in quelli “arretrati”. Le forme di questa violenza possono essere diverse, ma il nucleo è lo stesso.

Nelle nuove guerre iniziate come conseguenza dell’11 settembre, la violenza contro donne e bambini è un “normale” effetto collaterale, un “danno collaterale”. Ciò che è diverso oggi è l’addestramento che i ragazzi ricevono attraverso i giochi violenti per computer. Questi giochi insegnano ai “ragazzi” di tutte le età come fissare un bersaglio e uccidere un nemico. I ragazzi crescono con questa tecnologia informatica per combattere contro nemici virtuali in guerre virtuali. Non c’è da stupirsi che poi pratichino questa violenza nella vita reale. L’industria dei giochi per computer è una delle più in crescita al mondo. I promotori sostengono che i bambini sono in grado di distinguere tra realtà “virtuale” e realtà “reale”. Oggi, le nuove guerre sono in gran parte combattute da questi “ragazzi” che si siedono dietro un computer, cliccano su un pulsante e inviano un razzo o un drone per uccidere “terroristi” in Afghanistan o in Pakistan. Attaccano e uccidono senza provare nulla e senza essere attaccati a loro volta. Queste nuove guerre sono per loro virtuali come i loro giochi al computer. Ma fanno parte dell’addestramento militare che produce uomini che non sanno cosa sia un rapporto d’amore con donne vere e con la natura vera.

Pertanto, la violenza “reale” contro le donne e le minoranze reali, come i migranti di origine razziale, è aumentata ed è più brutale di prima. Eppure, sempre più persone considerano la violenza maschile contro le donne come geneticamente programmata.

La violenza e le guerre su Internet sono nuovi sviluppi dei “padri della distruzione”. Un’altra è la tecnologia genetica e riproduttiva. Entrambe hanno cambiato totalmente la nostra visione del mondo e la nostra antropologia. In base a questo sviluppo, la maggior parte dei genetisti considera il comportamento umano come determinato principalmente dai nostri geni. Quindi la violenza maschile è vista come una conseguenza del loro corredo genetico. Lo stesso vale per le guerre. Gli uomini sono considerati “guerrieri” per natura. Se non sono guerrieri, non sono veri uomini. Ma la violenza degli uomini contro le donne e altri “nemici” non è determinata dai nostri geni. Gli uomini non sono stupratori per natura, né sono geneticamente programmati per essere assassini di Madre Natura, l’origine di tutta la vita. Questa violenza è una conseguenza di un paradigma sociale iniziato circa 8.000 anni fa. Il suo nome è patriarcato. Anche se nel nostro libro del 1993 ci siamo occupate del patriarcato, non ne abbiamo parlato in modo specifico. È emerso solo quando ci si è chieste perché il patriarcato non fosse scomparso con l’arrivo del capitalismo, o quando si è dovuto trovare un nome per il paradigma che ha distrutto le donne e la natura. Seguendo Claudia von Werlhof abbiamo chiamato questo paradigma patriarcato capitalista[2].

La civiltà patriarcale è lo sforzo di risolvere un problema del genere maschile, cioè il fatto che gli uomini non possono produrre vita umana da soli. Non sono l’inizio. Non possono generare bambini, in particolare figli, senza le donne. Le madri sono l’inizio. Questo era ancora evidente per gli Antichi Greci. Le madri sono archè, l’inizio della vita umana. Per questo gli uomini hanno inventato una tecnologia per la quale le madri non sono necessarie. Tecnologie come la bomba atomica o la tecnologia riproduttiva e genetica o Internet sono “figli senza madre”.

Un’altra forma di violenza contro le donne è ancora la stessa del 1993: l’invenzione della tecnologia riproduttiva e genetica. Con la creazione artificiale del primo bambino in provetta, Louise Brown, fu chiaro che le donne avevano perso il loro antico monopolio sulla nascita. Da quel momento in poi, gli ingegneri riproduttivi maschi hanno potuto produrre un bambino senza le donne. Ora l’ingegneria genetica poteva controllare tutti i processi genetici e biologici con cui la vita umana e animale poteva essere prodotta, riprodotta e manipolata. Sembra che l’uomo sia finalmente diventato il creatore della vita. Non è più necessaria una relazione umana tra un uomo e una donna per creare una nuova vita umana.

Abbiamo compreso le conseguenze di vasta portata di queste invenzioni. A quel tempo le ecofemministe di tutto il mondo iniziarono una campagna internazionale contro queste nuove tecnologie. Nel 1985 abbiamo fondato la Rete Internazionale Femminista di Resistenza all’Ingegneria Genetica e Riproduttiva (FINRRAGE). Era chiaro che l’invenzione dell’ingegneria riproduttiva e genetica non era solo il risultato dell’innocente curiosità dell’uomo di comprendere la natura, ma, come nel caso dell’energia nucleare, la biotecnologia era stata inventata per superare i limiti che la natura aveva posto all’uomo. E con la liberalizzazione delle leggi sui brevetti, la privatizzazione e la commercializzazione sono diventate un nuovo mercato. Queste nuove merci brevettate erano state proprietà comune; ora potevano essere comprate e vendute. Senza l’ingegneria genetica la Monsanto non sarebbe potuta diventare il gigante che oggi controlla l’agricoltura e l’industria alimentare mondiale.

Ma la violenza contro le donne non è solo un “effetto collaterale della scienza moderna e della guerra” (che sono interconnesse); è ancora una caratteristica normale della società moderna e civilizzata. Molte persone sono rimaste scioccate dagli ultimi brutali stupri di gruppo in India, ma non si sono scandalizzate quando sono stati prodotti bambini in provetta, grazie a una tecnologia inventata dagli uomini. Non si sono scandalizzati quando è stato introdotto il riso geneticamente manipolato nel corso della Rivoluzione Verde in India e in altri Paesi poveri.

Vandana Shiva è stata la prima a dimostrare che la Rivoluzione Verde in India non solo stava distruggendo la vasta diversità di varietà di riso conservate per secoli dalle donne, ma ha anche portato a una nuova ondata di violenza diretta contro le donne.

Un altro esempio di violenza contro la natura, le persone e le generazioni future è la ristrutturazione dell’intera economia mondiale secondo i principi del neoliberismo: globalizzazione, liberalizzazione, privatizzazione e concorrenza universale. Dopo l’apertura di tutti i Paesi al libero commercio, le imprese transnazionali (TNC) hanno spostato parte della loro produzione in “Paesi con manodopera a basso costo”. Il Bangladesh è uno di questi Paesi. Come sappiamo, ovunque la manodopera a basso costo è costituita da giovani donne. Circa il 90% dei lavoratori delle fabbriche tessili del Bangladesh sono giovani donne. I loro salari sono i più bassi del mondo. Le condizioni di lavoro sono disumane: gli incendi scoppiano regolarmente e centinaia di donne sono morte. Non ci sono contratti di lavoro, non c’è sicurezza sul lavoro. Gli edifici delle fabbriche non sono sicuri e le donne devono spesso lavorare più di dodici ore al giorno. Il recente crollo del Rana Plaza a Dhaka, in cui sono morte più di 1.100 persone e molte altre sono rimaste ferite, la maggior parte delle quali donne, è un esempio della brutale violenza contro le donne che questa New Economy ha causato. Senza questa violenza il capitalismo non potrebbe continuare la sua mania di crescita.

Questi sono solo alcuni dei casi più drammatici del perché abbiamo scritto Ecofeminism vent’anni fa e che sono ancora gli stessi oggi. Anzi, sono ancora peggiori e hanno raggiunto dimensioni più minacciose e gigantesche. Dobbiamo quindi vedere cosa è cambiato dal 1993.

Cosa è diverso oggi?

La prima cosa che mi viene in mente quando pongo questa domanda è il crollo del World Trade Center di New York l’11 settembre 2001, l’evento che da allora è stato chiamato solo 11 settembre. Per la prima volta nella sua storia, gli Stati Uniti si resero conto di essere vulnerabili. Il presidente George W. Bush coniò immediatamente un nome per questi criminali che avevano distrutto il WTC, simbolo del capitalismo globale. Erano terroristi. E il terrorismo divenne il nuovo nemico di tutto il “mondo libero”. Bush diede anche un nome al contesto ideologico che aveva ispirato quei terroristi, ovvero l’Islam. Dopo l’11 settembre, tutti i Paesi islamici sono diventati sospetti come possibile terreno di coltura per i terroristi e il terrorismo. Così, il vecchio nemico del mondo libero, il comunismo, è stato sostituito da un nuovo nemico: Terrorismo e Islam. È incredibile la rapidità con cui questo nuovo nemico ha cambiato la vita pubblica e privata negli Stati Uniti e poi in tutto il mondo. Immediatamente è stata approvata una nuova legge, l’Homeland Security Act, grazie alla quale i cittadini e il Paese sarebbero stati protetti dalla minaccia del terrorismo. Gli Stati della NATO in Europa hanno seguito gli Stati Uniti e hanno adottato leggi di sicurezza simili immediatamente e senza grande opposizione da parte dei loro parlamenti. Hanno introdotto gli stessi controlli di sicurezza aeroportuali degli Stati Uniti. Nel corso del tempo questo sistema di controllo divenne sempre più raffinato e generalizzato, fino a quando i sistemi di sicurezza degli Stati Uniti e di altri Stati della NATO poterono spiare ogni cittadino. Allo stesso tempo sono iniziate nuove guerre contro i Paesi a maggioranza musulmana. La prima di queste è stata l’invasione dell’Afghanistan da parte delle truppe americane. L’obiettivo successivo è stato l’Iraq.

All’inizio ho pensato che il vero obiettivo di queste nuove guerre fosse quello di ottenere il controllo delle riserve di petrolio di questi Paesi. Ma ciò che mi ha colpito immediatamente, soprattutto per quanto riguarda l’Afghanistan, è che parte della legittimazione di questa guerra, oltre all’eliminazione di Al Qaeda, è stata la liberazione delle donne dalle loro tradizioni islamiche arretrate, come indossare il velo o l’hijab. Non solo gli Stati Uniti, ma anche i partner europei della NATO, Germania, Francia, Paesi Bassi e altri, sono apparsi sulla nuova scena bellica come i grandi liberatori delle donne! Quando e dove sono state combattute guerre per “emancipare” le donne del nemico? Tutti sanno che le donne del nemico sono le prime vittime dei vincitori. Vengono violentate, brutalizzate e umiliate. E ora gli uomini stranieri dovrebbero emanciparle “educandole”? Questa è la più ridicola giustificazione della guerra moderna mai sentita.

Ciò che è diverso oggi è anche la nuova crisi nei paesi ricchi dell’Occidente, prima negli Stati Uniti e ora in Europa. Nessuno sa quando e come finirà. I politici sono allo stremo, così come gli economisti e i dirigenti delle grandi imprese.

All’improvviso la povertà è tornata in Occidente. I Paesi dell’Europa meridionale sono più colpiti dalla crisi rispetto a quelli del nord. In effetti, la nuova crisi ha diviso la zona euro in due parti: il Nord più ricco e il Sud più povero. La Grecia, la Spagna, l’Italia e Cipro sono talmente indebitate con banche potenti, come la Deutsche Bank, che sono praticamente diventate mendicanti, dipendenti dai prestiti della Germania e degli altri Paesi più ricchi.

Ciò che rende la crisi odierna diversa da quelle precedenti è l’esaurimento delle risorse che prima potevano essere utilizzate per la ripresa dell’economia. Petrolio, gas e materie prime come carbone, ferro e altri metalli sono diventati scarsi. Ma ciò che è più pericoloso è l’esaurimento, l’avvelenamento o la distruzione degli elementi vitali da cui dipende tutta la vita sulla Terra: l’acqua, il suolo, l’aria, le foreste e, non ultimo, il clima. Quando questi elementi vitali non ci sono più o sono sostanzialmente danneggiati, la vita sul nostro pianeta Terra non è più possibile.

Qual è l’alternativa?

Sempre più persone, soprattutto giovani, sentono di non avere futuro in questo scenario. Cominciano a ribellarsi a questo sistema assassino, al dominio del denaro su tutta la vita, e chiedono un cambiamento fondamentale. Occupy Wall Street ha ispirato una protesta simile a “Blockupy” davanti alla Deutsche Bank di Francoforte. Grandi manifestazioni contro le politiche di austerità in Grecia, Spagna, Portogallo e Italia dimostrano che la gente vuole un cambiamento. Anche in Nord Africa la gente chiede un cambiamento. Quando è iniziata la ribellione, i media occidentali l’hanno chiamata “primavera araba”. La rabbia della gente era diretta contro regimi corrotti e dittatoriali. Chiedevano democrazia e lavoro. Ma cosa intendono per cambiamento? Vogliono solo eliminare un dittatore e la corruzione o vogliono un sistema totalmente nuovo basato su una nuova visione del mondo?

Quando abbiamo scritto Ecofeminism ci siamo poste le stesse domande dal punto di vista delle donne. Quale potrebbe essere un’alternativa? Quale sarebbe un nuovo paradigma, una nuova visione? Abbiamo chiamato questa nuova visione “prospettiva di sussistenza”. Ancora oggi non so come concettualizzare meglio quello che potrebbe essere un nuovo mondo. Eppure, una cosa mi è chiara: questo “nuovo mondo” non nascerà con un Big Bang o una Grande Rivoluzione. Arriverà quando le persone cominceranno a gettare i nuovi semi di questo “nuovo mondo” mentre stiamo ancora vivendo nel vecchio. Ci vorrà tempo perché questi semi crescano e diano frutti, ma molte persone hanno già iniziato a seminare questi semi. Farida Akhter del Bangladesh parla di questo processo nel suo libro, Seeds of Movements: Women’s Issues in Bangladesh[3], mostra che saranno soprattutto le donne a seminare questi semi, perché loro e i loro figli hanno sofferto di più nel vecchio mondo dei “padri della distruzione”.

Diversi anni fa sono stata invitata dall’Associazione delle Donne Rurali Cattoliche a una conferenza a Trier. Dovevo tenere una lezione sulla sussistenza. Ero un po’ in difficoltà. Cosa avrei dovuto dire? Come avrei dovuto spiegare la sussistenza alle donne rurali della città in cui Marx è nato? Ma quando entrai nella sala vidi un grande striscione, fissato alla pedana, con la scritta “Il mondo è la nostra casa”. Era ottobre e le donne avevano portato i frutti del loro lavoro di primavera, estate e autunno: cavoli, fagioli, carote, patate, mele, pere, prugne, barbabietole e anche fiori. Avevano messo tutto sulla piattaforma davanti a me. Cos’altro potrei dire sulla sussistenza se non che: Il mondo è la nostra casa! Prendiamocene cura.

Consideriamo la nuova edizione di questo libro anche come un contributo a questa cura. E ringraziamo Zed Books per averlo inserito nella sua nuova collana.

Luglio 2013 


[1] Brian Easley, Fathering the Unthinkable. Masculinity, Scientists and the New Arms Race, Pluto Press, London, 1986.

[2] Claudia von Werlhof, ‘The Failure of Modern Civilization and the Struggle for a “Deep” Alternative: A Critical Theory of Patriarchy as a New Paradigm’, , in Beiträge zur Dissidenz 26, Peter Lang Verlag, Frankfurt, 2011.

[3] Farida Akhter, Seeds of Movements: On Womens’s Issues in Bangladesh, Narigrantha Prabartana, Dhaka, 2007.

Redazione

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