Epistemologie femministe

Epistemologie femministe

a cura di Laura Felline

 

L’epistemologia femminista si occupa di temi in cui la teoria della conoscenza interseca la filosofia femminista. La maggior parte dell’epistemologia femminista – nonostante alcune eccezioni che rifiutano alcuni degli elementi tipici dell’epistemologia sociale – può essere concepita come una forma di epistemologia sociale che studia come nozioni di genere socialmente costruite influenzino la produzione di conoscenza (Anderson, 1995).

I primi studi di epistemologia femminista nacquero da critiche femministe della scienza e si limitavano soprattutto allo studio della maniera in cui l’impresa scientifica sia influenzata da pregiudizi di genere. In particolare, tale influenza veniva collegata da un lato al fatto che donne e altri gruppi subordinati sono drammaticamente sottorappresentati nella comunità scientifica, dall’altro al fatto che pregiudizi di genere sono stati e vengono usati come base evidenziale per la scelta di teorie scientifiche che rimangono anche al giorno d’oggi ampiamente accettate.

Più recentemente l’epistemologia femminista è cresciuta sino a coprire tematiche tipicamente proprie dell’epistemologia tradizionale – come giustificazione, evidenza, scelta delle teorie, obiettività, razionalità e conoscenza. Punto essenziale che accomuna le differenti teorie femministe nella loro trattazione di queste tematiche è l’importanza data alla collocazione degli agenti cognitivi in una rete di relazioni sociali, tramite i quali essi vengono individuati come parte di un preciso contesto storico e culturale. Chiaramente, le epistemologie femministe fanno particolare uso del genere come categoria di analisi e ricostruzione epistemica.

Sono tre le principali correnti che articolano il dibattito su epistemologia e filosofia della scienza femministe: l’empirismo femminista, la teoria del punto di vista (standpoint theory) e il postmodernismo. Rispetto alla prima sistematica definizione (proposta in (Harding 1986)) di questi tre approcci fondamentali e delle loro differenze, col tempo essi hanno affinato le loro istanze, e spesso si sono trovati a convergere più di quanto ammesso dalla rigidità della catalogazione della Harding. Ciononostante, la distinzione tra empirismo, teoria del punto di vista e postmodernismo è ancora oggi usata come cornice concettuale dentro la quale impostare le discussioni interne a tale letteratura.

In questa bibliografia ragionata suggeriamo delle letture che introducono al tema dell’epistemologia femminista. Proporremo innanzitutto dei testi generali utili per introdurre i neofiti al tema, in secondo luogo dei volumi collettanei in cui si affrontano da diversi punti di vista temi centrali dell’epistemologia femminista e infine testi più specializzati su empirismo femminista, teoria del punto di vista e postmodernismo.

 

Manuali e monografie introduttive

I neofiti in epistemologia o in epistemologia femminista possono trovare una prima introduzione alle epistemologie femministe in manuali o panoramiche generali sul tema.

 

Elizabeth Potter, (2006), Feminism and Philosophy of Science: An Introduction, Routledge, London e New York.

Un’organica e approfondita illustrazione di alcuni dibattiti fondamentali e di alcune tra le maggiori esponenti della filosofia della scienza e epistemologia femminista, scritta come introduzione per i neofiti sull’argomento, per cui la sua lettura non richiede una preparazione di base particolare. Ciascun capitolo è dedicato ad una teoria specifica: l’empirismo femminista naturalizzato, la teoria femminista dei valori, l’empirismo contestuale femminista, le epistemologie del punto di vista e la concezione della scienza come libera dai valori.

Il centro dell’interesse di Potter sta nel ruolo che i valori giocano nella scelta delle teorie scientifiche. Altro tema approfondito in maniera interessante e’ quello della possibilità di riunire l’empirismo femminista con l’approccio delle epistemologie del punto di vista. Temi come il ruolo della retorica e del linguaggio nella scrittura scientifica sono qui invece trascurati.

 

Alessandra Tanesini, (1999), An Introduction to Feminist Epistemologies, Oxford: Blackwell.

Un’introduzione sofisticata e accessibile, e  tra le più complete, all’epistemologia femminista – adatta sia agli studenti di specialistica con qualche conoscenza di epistemologia che a filosofi esperti interessati alle prospettive femministe sull’epistemologia. I primi capitoli introducono concetti e problemi tipici dell’epistemologia e della filosofia della scienza, la relazione tra femminismo e epistemologia convenzionale e la relazione tra scienza e femminismo. I capitoli centrali sono dedicati all’empirismo femminista, all’epistemologia naturalizzata femminista e all’importanza del punto di vista nel femminismo. Infine, si discute approfonditamente di temi come obiettività e femminismo, conoscenza e potere, razionalità e irrazionalità nel femminismo e femminismo e postmodernismo.

 

Per un primissimo approccio a questi temi, sono estremamente utili anche alcune voci online della Stanford Encyclopedia of Philosophy, e le bibliografie in esse proposte.

 

Alison Wylie, Elizabeth Potter, and Wenda K. Bauchspies. “Feminist Perspectives on Science”, 2010.

Questa voce della Stanford Encyclopedia fornisce un approfondimento ed una ampia bibliografia sul rapporto tra femminismo e scienza e su temi che si trovano nell’intersezione tra filosofia della scienza e epistemologia femministe.

 

Elizabeth Anderson, 2011, “Feminist Epistemology and Philosophy of Science”.

Un’eccellente voce sulle epistemologie femministe e sulla filosofia della scienza femminista – fornisce una illustrazione onnicomprensiva e aggiornata delle tre principali correnti di epistemologia femminista, del loro sviluppo e del dibattito tra di esse. Oltre a ciò, questo saggio propone anche una approfondita trattazione di temi come obiettività, il rapporto tra valori e scienza, autorità e ingiustizia epistemiche.

 

Heidi Grasswick, (2013), “Feminist Social Epistemology“.

L’epistemologia femminista nei suoi stretti legami con l’epistemologia sociale.

 

Infine, un’eccellente risorsa online in italiano è la voce del sito Aphex:

Alessandra Tanesini, (2015), Epistemologie e Filosofie della Scienza Femministe.

 

Volumi collettanei

Molti degli articoli storici e più significativi di epistemologia femminista sono raccolti in volumi collettanei.

 

Louise Antony e Charlotte Witt, (a cura di), (2002), A Mind of One’s Own: Feminist Essays on Reason and Objectivity. 2d ed. Boulder, CO: Westview.

I saggi di questo volume (la cui prima edizione risale al 1993) affrontano due domande fondamentali: le caratterizzazioni di concetti come razionalità e obiettività tipici della tradizione filosofica occidentale (soprattutto di quella analitica) sono formati su o influenzati da stereotipi maschili? E c’è bisogno di una epistemologia femminista, distinta da tali epistemologie tradizionali?

Quello di Anthony e Witt è uno dei primi volumi collettanei in cui questioni tradizionalmente proprie della tradizione postmodernista (e poi del femminismo postmodernista) vengono tradotte e elaborate in termini familiari alla tradizione analitica. I primi articoli di questa collezione hanno uno stampo prettamente storico, mentre quelli centrali sono più concentrati sul tema dell’epistemologia e della razionalità come concetti maschili. Infine, gli ultimi quattro saggi trattano di metafisica, filosofia del diritto, filosofia politica e filosofia della scienza. Molti dei lavori qui contenuti sono successivamente divenuti dei classici della letteratura. Tra questi, ad esempio, “Quine as a Feminist” di Louise Antony, dove l’autrice propone l’epistemologia naturale di Quine come background concettuale della base dell’epistemologia femminista.

La collezione è stata ripubblicata nel 2003 con nuovi contributi.

 

Sandra G. Harding e Merrill B. Hintikka, (a cura di), (2003). Discovering Reality: Feminist Perspectives on Epistemology, Metaphysics, Methodology, and Philosophy of Science. 2d ed. Dordrecht, the Netherlands, e London: Kluwer Academic.

Pubblicato originariamente nel 1983 questa collezione rappresenta uno dei primi lavori in cui l’epistemologia femminista incorpora la teoria morale e quella politica in discussioni su epistemologia e scienza. Il volume presenta sia una parte ‘decostruttiva’, che una dedicata alla di ricostruzione di una epistemologia femminista. Da una parte alcuni contributi si propongono di mostrare come un punto di vista maschile abbia formato pezzi chiave della nostra cultura scientifica e umanistica: dalla teoria evoluzionista alla metodologia delle scienze politiche, dall’economia politica marxista alle concezioni di obiettività proprie delle scienze sociali e naturali, sino all’idea stessa di ‘problema filosofico’ in Platone, Descartes, Hobbes e Rousseau.

Oltre a tali contributi ‘decostruttivi’, molti dei contributi qui inclusi hanno invece come scopo quello di individuare quegli aspetti distintivi dell’esperienza femminile che possono contribuire positivamente all’impresa scientifica, e più in generale conoscitiva, umana. Tra questi contributi, si possono anche qui trovare saggi diventati poi dei classici dell’epistemologia femminista. Ad esempio, in “The Feminist Standpoint: Developing the Ground for a Specifically Feminist Historical Materialism” Nancy Hartsock mostra come le femministe possano usare a loro favore gli strumenti epistemologici forniti dalla spiegazione di Marx dell’accesso del proletariato ad una visione più ampia, come conseguenza della sua posizione nella divisione strutturale del lavoro in classi. Come conseguenza, Hartsock difende la necessità di un punto di vista femminista che faccia da sottostrato per l’elaborazione di una teoria sociale femminista.

 

Numeri speciali di Hypatia:

Lynn Hankinson Nelson e Alison Wylie, (a cura di) (2004), Special Issue on Feminist Science Studies. Hypatia, 19(1).

Anita Superson e Samantha Brennan, (a cura di) (2005). Special Issue on Analytic Feminism. Hypatia, 20(4).

Nancy Tuana e Shannon Sullivan, (a cura di) (2006). Feminist epistemologies of ignorance. Hypatia, 21(3).

 

Empirismo Femminista

Secondo la definizione di Sandra Harding, l’empirismo femminista sostiene che le pratiche scientifiche influenzate da pregiudizi maschili sono casi di ‘cattiva scienza’, eliminabili tramite una aderenza più rigorosa ai metodi e alle norme empiriste. Ciononostante, e contrariamente all’originaria caratterizzazione della Harding, le empiriste femministe generalmente rifiutano una concezione della scienza come ‘libera dai valori’ e ammettono invece che valori non epistemici possano giocare un ruolo positivo non solo nella scoperta, ma anche nella giustificazione delle teorie scientifiche (vedi (Anderson 1995)). L’empirismo femminista è dunque ora più precisamente caratterizzato come includente una varietà di teorie accomunate dalla tesi centrale che l’adeguatezza empirica sia una condizione necessaria per l’accettazione delle teorie scientifiche.

 

Helen E. Longino, (1990), Science as Social Knowledge: Values and Objectivity in Scientific Inquiry. Princeton, NJ: Princeton University Press.

Una delle poche versioni dell’epistemologia empirista al di fuori dell’epistemologia naturalizzata di Quine. Helen Longino propone la sua influente epistemologia empirista contestuale e mostra come valori non cognitivi (ad esempio l’eterogeneità ontologica) contribuiscano alla giustificazione delle teorie scientifiche. Secondo Longino una teoria è obiettiva se è stata sottoposta e ha passato un determinato processo sociale di scrutinio critico. Nonostante la contestualità che caratterizza questa teoria, essa ammette una certa obiettività della scienza basata su una concezione della scienza come processo sociale piuttosto che individuale.

 

Louise M. Antony, (1993), “Quine as Feminist: The Radical Import of Naturalized Epistemology.” In A Mind of One’s Own: Feminist Essays on Reason and Objectivity. Edited by Louise M. Antony and Charlotte Witt, 185–225. Boulder, CO: Westview.

In questo classico dell’empirismo femminista Louise Antony difende l’impresa scientifica e l’epistemologia moderna da alcune critiche femministe che, secondo l’autrice, ne fraintendono le caratteristiche essenziali. In questo articolo viene formulata in maniera sistematica l’idea di sfruttare l’epistemologia naturalizzata di Quine come base concettuale per l’epistemologia femminista.

 

Elizabeth Anderson, (1995), “Feminist Epistemology: An Interpretation and a Defense.” Hypatia 10.3: 50–84.

In questo articolo Elisabeth Anderson sviluppa l’idea dell’empirismo femminista come una ramificazione dell’epistemologia naturalizzata. L’idea fondamentale proposta dalla Anderson è che alcuni valori sociali e politici giochino un ruolo positivo nella giustificazione delle teorie scientifiche in quanto essenziali per discriminare tra verità rilevanti e irrilevanti.

 

Teorie femministe del punto di vista

Secondo la teoria femminista del punto di vista, alcuni agenti cognitivi godono di una forma di privilegio epistemico rispetto a specifiche aree di ricerca, in virtù della loro posizione nella società. L’epistemologia del punto di vista ha origine nella visione di Hegel della relazione tra il padrone e lo schiavo, e nell’elaborazione di questa analisi negli scritti di Marx, Engels e Lukacs. L’esempio classico di teoria del punto di vista viene dal marxismo, che rivendica per il punto di vista del proletariato un privilegio epistemico rispetto a temi di economia, sociologia e storia. In maniera simile, la teoria femminista del punto di vista sostiene che, data la sua posizione dominante, l’uomo possiede una comprensione parziale e perversa del mondo e della società, mentre la posizione soggiogata della donna (e delle minoranze sessuali) permette una comprensione più completa di quei fenomeni sociali e psicologici influenzati dal genere.

 

Sandra Harding, (1986), The Science Question in Feminism, Cornell University Press, Ithaca e London.

Una tra le più influenti monografie nella letteratura sull’epistemologia femminista. Sandra Harding individua qui il problema principale della filosofia della scienza femminista come quello di conciliare l’appello ai valori partigiani del femminismo nella pratica scientifica con la necessità di preservare l’obiettività dell’impresa scientifica. Da un lato, il femminismo è un movimento politico per il cambiamento sociale, e dunque un movimento partigiano, e le epistemologie femministe promuovono l’influenza dei valori non cognitivi tipici del movimento femminista come non solo non pregiudizievoli, ma persino proficui per la ricerca scientifica. Dall’altro, la maggior parte delle filosofe della scienza e epistemologhe femministe ritengono necessario salvare un senso di obiettività all’interno della scienza. Come può dunque una influenza ‘politicizzata’ aumentare l’obiettività dell’indagine?

Nello sviluppare la maniera in cui l’epistemologia femminista può rispondere a questa sfida, Harding individua qui per la prima volta quelle che lei riconosce come le tre risposte fondamentali al problema: l’empirismo femminista, il punto di vista femminista, e il post-modernismo femminista.

Questa categorizzazione ancora oggi forma il quadro concettuale che sta alla base della discussione nella epistemologia e filosofia della scienza femminista.

 

Donna J. Haraway, “Situated Knowledges: The Science Question in Feminism and the Privilege of Partial Perspective.” In Simians, Cyborgs and Women: The Reinvention of Nature, Donna J. Haraway, 183–201. London: Free Association Books, 1991.

Articolo scritto in risposta a Harding (1986) (originariamente pubblicato nel 1988), in cui Donna Haraway propone la sua versione di teoria del punto di vista. Per la prima volta appare qui il termine ‘saperi situati’ (situated knowledge) nella letteratura sull’epistemologia femminista.  Haraway sostiene che tutta la conoscenza è situata e limitata, e nega la possibilità di un punto di vista neutro, imparziale, spesso associato con la prospettiva di una conoscenza obiettiva. Haraway, invece, suggerisce una obiettività ‘incorporata’, che consiste in connessioni parziali tra prospettive e posizionamenti.

 

Sandra G. Harding, (1991), Whose Science? Whose Knowledge?: Thinking from Women’s Lives. Ithaca, NY: Cornell University Press.

Una visione più elaborata della teoria del punto di vista che comprende anche risposte a varie critiche a cui le tesi di (Harding 1986) furono sottoposte (ad esempio in Haraway (1991)). Tra i contenuti più importanti del volume, vi è un articolazione più approfondita sia del privilegio epistemico del punto di vista dell’oppresso e della spiegazione della sua origine, la difesa dell’obiettività forte della scienza, e la delineazione di un approccio femminista all’epistemologia che include anche i punti di vista di altri gruppi discriminati per razza, classe o sessualità.

 

Kristen Intemann, (2010), “25 Years of Feminist Empiricism and Standpoint Theory: Where Are We Now?” Hypatia 25.4: 778–796.

In questo articolo Kristen Intemann mostra innanzitutto come dal momento della formulazione della distinzione delineata in (Harding 1986), le istanze proposte da empirismo femminista e teoria dei punti di vista siano andate via via avvicinandosi. Da un lato le filosofe empiriste empiriste hanno accettato e portato avanti la tesi che la conoscenza scientifica sia contestuale e situata socialmente, dall’altro le filosofe del punto di vista hanno incluso tra le virtù rilevanti nella scelta delle teorie scientifiche, fattori che fanno parte della tradizione empirista. In secondo luogo, l’autrice individua quali punti chiave ancora segnino il contrasto tra empirismo femminista e teoria del punto di vista – primi fra tutti le loro differenti posizioni su quale tipo specifico di varietà giochi un ruolo epistemologicamente positivo all’interno della scienza e su che ruolo abbiano i valori etici e politici nell’impresa scientifica.

 

Postmodernismo

Il postmodernismo nega l’esistenza di un singolo punto di vista per un determinato gruppo o individuo e afferma che ne esistono invece tanti, ciascuno corrispondente a diverse prospettive del gruppo. L’idea di una epistemologia postmodernista fu proposta nella già vista classificazione di Harding (1986) nonostante il fatto che, in realtà, poche postmoderniste consideravano al tempo il proprio lavoro epistemologia. In effetti, spesso le filosofe femministe postmoderniste tendono ad una certo scetticismo nei confronti dell’epistemologia stessa, concepita come teoria essenzialmente fondazionale. Detto questo, e al contrario di quanto a volte assunto, tale scetticismo non va visto come essenziale nelle istanze di una filosofia postmodernista.

 

Susan Bordo, The Flight to Objectivity: Essays on Cartesianism and Culture. Albany: State University of New York Press, 1987.

In una lettura psicanalitica delle meditazioni di Cartesio sullo sfondo del loro contesto storico e di genere, Bordo offre in questo libro un resoconto dello scetticismo Cartesiano e del bisogno di certezze come una fuga dalla limitazione e dalla soggettività – elementi caratteristici delle conoscenze situate.

 

Susan J. Hekman, (1990) Gender and Knowledge: Elements of a Postmodern Feminism. Oxford: Polity.

Ancora oggi, una delle più articolate teorie femministe postmoderniste. Heckman esplora in questo libro le relazioni tra femminismo e postmodernismo, sostenendo che tali movimenti siano accomunati dalla critica della conoscenza Illuminista. Dopo un’illustrazione dei concetti propri di e del rapporto tra modernismo, postmodernismo e femminismo, i seguenti capitoli sono dedicati alle dicotomie: razionale/irrazionale, soggetto/oggetto, natura/cultura. Nell’ultimo capitolo, l’autrice propone maniere in cui il postmodernismo può influenzare positivamente il femminismo.