Federica Castelli – Le verità della Politica. Hannah Arendt sul rapporto tra Verità, Menzogna e Potere

Estratto da A. Pirni (a cura di), Verità del potere. Potere della Verità, Ets 2012

 

 Hannah Arendt e lo spazio del politico

Era il 1972 quando il breve testo di Hannah Arendt, Lying in Politics1apparve tra gli scaffali, come commento e riflessione a partire dai retroscena politici e sociali sottesi allo scandalo dei Pentagon Papersdel 19712. Pochi anni prima, Arendt aveva diretto il proprio interesse critico all’intreccio tra Potere e Verità nel breve saggio del 1968 Verità e Politica, uno dei testi compresi nel volume Between Past and Future,assente però nella versione italiana3. Entrambi i testi, di notevole valore teorico e critico, si collocano ad una consistente distanza temporale e culturale rispetto all’attualità, pur sollevando nodi e problematiche che sembrerebbero delle costanti del nostro presente. Il problema dell’attualità della riflessione arendtiana risulta essere tra i temi più dibattuti dal panorama critico contemporaneo, che procede ad una problematizzazione delle categorie del pensiero dell’autrice alla luce degli evidenti mutamenti che gli scenari politici attuali comportano. Difatti, se è pur vero che molte delle categorie elaborate dalla riflessione di Arendt sembrano collocarsi aldilà di una validità strettamente contestuale alle sue opere, è doveroso considerare come la distanza tra gli eventi e la scena culturale che fanno da sfondo al suo pensiero ed i nostri tempi sembri condannare all’inattualità buona parte della riflessione dell’autrice. Alcuni dei processi storici e culturali da cui Arendt sembra estrapolare i concetti chiave del proprio pensiero – come il totalitarismo, la società di massa – sembrano infatti muti in un panorama politico globale quale quello successivo agli eventi del 1989. Ciò che dunque questo piccolo saggio si propone di ottenere, è innanzi tutto, una valutazione critica capace di mettere a fuoco le possibilità del pensiero arendtiano circa il rapporto tra il Potere e le categorie di Menzogna e Verità, all’interno dello scenario politico contemporaneo, riproponendosi una chiara messa a tema della riflessione dell’autrice che sappia mettere in luce gli eventuali elementi di attualità di un pensiero che molti ormai sembrano destinare esclusivamente ad una interpretazione storiografica e filologica.

Alla luce di tale progetto, risulterà innanzi tutto necessaria una chiarificazione del concetto di spazio politico, inteso da Arendt come luogo della pluralità e dell’opinione e come realtà contingente, aliena da qualsiasi tentativo di sussunzione all’interno di spiegazioni universalistiche.

Partendo dalla categoria di Azione elaborata dall’autrice, motore e ragione della Politica, si perviene ad una sfera degli affari umani come luogo di connessione tra identità del singolo e pluralità umana, spazio di scambio e interazione che viene a basarsi sulla contingenza e sull’imprevedibilità che scaturiscono dallo statuto ontologico dell’agire stesso. L’azione – che, assieme al discorso, rivela l’unicità dell’individuo che agisce – è una realtà che esige di esser coniugata al plurale, che esige interazione. Questo agire in pubblico, nucleo della vita politica che distingue l’uomo come individuo plurale dalle specie animali, trova come sua ragione fondamentale la possibilità di formazione di opinioni nella sfera collettiva. E’ dunque, spiega Arendt, la realtà labile e contingente dell’opinione ad esser la base dello spazio politico. La politica si basa su accordo e consenso, su persuasione ed opinione4.

Esiste la Verità in Politica?

La Politica, coincidendo con il luogo della pluralità e interazione umana, non si identifica dunque con un criterio stabile e immutabile che governa la realtà trascendendola, ma essa è luogo labile e contingente del cambiamento e dell’opinione, spazio dell’elaborazione di visioni della realtà sempre diverse da quella preesistente. Essa è azione e cambiamento, opinione e contingenza.

In uno spazio pubblico così connotato risulta evidente come la categoria filosofica di Verità, intesa in modo assoluto e necessario, entri in diretto conflitto con l’ambito stesso del Politico.

Questa infatti, rifacendosi alle categorie di univocità e universalità, allontana da sé ogni possibilità di dialogo e di confronto ed esercita sulle opinioni da essa difformi una coercizione logica che le trasforma in meri errori. La Verità filosofica non può delinearsi che comeimpolitica per natura5.

La Verità come pura coerenza porta alla negazione di ogni esistente che contraddica quanto questa asserisca, delineandosi come legge eteronoma sotto cui sussumere tutti gli eventi contingenti della realtà umana. Essa è indipendente dalla pluralità umana e assolutamente lontana dalla mutevolezza della sfera pratica degli affari umani; dinnanzi ad essa persuasione e dissuasione sono inutili. La Verità razionale prescinde dalla pluralità umana e la svaluta in vista della propria logicità, è tirannica e porta con sé il germe dell’egemonia culturale.

Politica e Verità dunque, commenta Arendt, si autoescludono. Qualora una Verità venga immessa nell’ambito pubblico prescindendo dalla violenza della propria univocità, essa diverrebbe opinione politica; qualora la incarni e la dispieghi, essa distruggerebbe invece l’ambito del politico stesso.

Ad ogni modo, ammettere una simile inconciliabilità non equivale affatto a limitare – ed “abbandonare” – l’agire politico alla sola dimensione dell’opinione, così come non implica la totale cancellazione della categoria di verità dalla sfera pubblica. Infatti, nonostante l’opinione sia un fattore politico ineludibile, rappresentando la motivazione e la garanzia alla base di ogni agire, essa richiede di essere ancorata a sua volta a qualcosa che fornisca una base di stabilità alle vicende umane. Vi è dunque in Politica bisogno di un criterio che fornisca questa stabilità alle azioni degli uomini, pur tenendo conto che questo – come ormai è apparso evidente – non è affatto rintracciabile in una Verità filosofica, che inserita nell’ambito morale lo distrugge e lo nullifica.

Nonostante la Politica si configuri essenzialmente come contingenza, essa ha però anche a che fare con la dimensione dell’accadere materiale. Vi è una fattualità contingente e data, che va a porsi come preesistente, come residuo ineliminabile e base stabile dell’agire umano; questa innegabile concretezza degli eventi fattuali – denotati da Leibniz come costituenti le “verità di fatto” – realizza per Arendt la “verità della politica”. Difatti, spiega l’autrice, «la libertà di opinione è una farsa tranne quando l’informazione fattuale è garantita e i fatti stessi non sono messi in discussione»6.

Le “verità di fatto” informano l’ambito politico senza costringerlo dietro un apparato metafisico.

Il loro statuto le colloca agli antipodi dell’asserzione di validità che caratterizza la verità obiettiva: proprio in virtù di questa loro connotazione che le rende così vicine e legate alla realtà contingente e mutevole degli affari umani, esse si rivelano come realtà vulnerabili e precarie, se poste dinnanzi alla cogenza di una presunta verità razionale. Nessuna verità fattuale possiede evidenza propria e può dunque essere posta al riparo dal dubbio, come accade invece ad una verità di ragione; i fatti permangono nella loro contingenza, nella potenzialità dell’esser altrimenti. Una verità fattuale non incarna nessuna legge che la sussuma sotto una qualche coerenza: gli eventi sono accidentali, a volte puramente illogici, distanti da una qualsiasi filigrana razionale. Essa è fragilissima nella sua “banalità”. Nessuno sforzo razionale potrà mai riparare alla perdita di memoria di una verità di fatto o alla sua manipolazione.

La Menzogna come strumento politico

Fin dagli inizi della riflessione filosofica, la Menzogna, pur condannata sul doppio versante della morale e della teoresi, in quanto patologia dell’interazione sociale e arresto del percorso di conoscenza verso la Verità assoluta, sul piano della riflessione politica è sempre stata considerata come uno dei mezzi più accettabili, in quanto ritenuta il meno violento tra gli strumenti dell’agire pubblico. Nel passaggio da un ambito governato dai principi morali – o da un ambito di ricerca teoretica – all’ambito dell’agire pubblico, la Menzogna diviene strumento dell’esercizio pubblico del Potere. «Governare è far credere», scriveva Machiavelli tra le pagine de Il Principe.

Arendt rintraccia le ragioni dell’affinità tra l’ambito del Politico e quello della Menzogna a partire dalla considerazione della natura stessa dell’orizzonte delle interazioni umane e della realtà politica. Difatti, spiega l’autrice, la Menzogna e la categoria politica di Azione si legano insieme in base alla comune capacità di permettere all’essere umano, tramite la facoltà dell’immaginazione, un oltrepassamento, agito sia linguisticamente che attraverso un agire reale, della fattualità. In base a tale prospettiva, Politica e Menzogna condividono il potere dell’essere umano di andare oltre la situazione concreta, permettendo il cambiamento del mondo e rappresentando entrambe una attestazione della libertà dell’uomo7.

Eppure, è da considerare anche come al tempo stesso la Menzogna alteri e distrugga la comunicazione fra gli eguali, realtà essenziale dell’esercizio politico. Ai suoi eccessi, la Menzogna porta a sopprimere e superare l’ambito stabile della fattualità e rappresenta una violazione ontologica di quella realtà essenziale agli affari umani. Difatti, «il contrassegno della verità di fatto è che il suo contrario non è né l’errore né l’illusione […] ma la falsità deliberata, o menzogna»8. Godendo di innumerevoli vantaggi rispetto al debole statuto della fattualità, come l’impunità e la sua infinita autonomia, l’inganno rischia di falsificare l’intero ambito del reale, compromettendo irrevocabilmente la facoltà di comprensione della realtà che ci circonda e annientando qualsiasi possibilità di giudizio. Il ricorso spregiudicato e sistematico alla menzogna è il pericoloso indice di una perdita di possibilità dello stesso agire di concerto alla base di ogni agire politico.

L’opinione tradizionale circa la pratica dell’inganno vede la Menzogna come mezzo legittimo e preferibile tra gli strumenti cui di solito ricorre il Potere, ma questo avviene solo a costo di un misconoscimento dell’impatto che l’inganno è solito riversare sulla dimensione evenemenziale della sfera umana, e dunque sulla Politica. Il ricorso alla finzione è connaturato e fisiologico allo spazio pubblico, fintanto che si mantiene esercizio saltuario, in cui possa dirsi tutelata la tessitura del reale. In caso contrario, la menzogna rischia di annientare il dato fattuale, sterilizzando lo stesso ambito del politico.

Secondo Arendt, a livello tradizionale l’utilizzo della Menzogna viene inteso come esercizio volto a preservare la segretezza degli arcana imperii utili al Potere. In passato, commenta l’autrice, il ricorso alla Menzogna si limitava ad un parziale velamento della Verità, riservato al governante il quale era tenuto ad applicarlo con misura, quasi come fosse “un farmaco”, in vista del bene cittadino. Arendt rileva una netta frattura tra questo modo di intendere il ricorso alla Menzogna e l’esperienza moderna dell’esercizio della falsità. In particolare, spiega l’autrice, il regime totalitario segna l’apice critico del conflitto tra Politica e Verità.

L’esperienza totalitaria conduce la pratica della finzione a livelli prima d’allora inimmaginabili, portando ad un approccio alla realtà dei fatti del tutto nuovo rispetto alla valutazione tradizionale della datità. Legato ad un’ideologia da inverare assolutamente nel reale, il regime totalitario nutre un pieno bisogno di riscrittura della realtà, così da garantirsi coerenza e credibilità. In base a questa esigenza, l’azione totalitaria, potenziata dai nuovi strumenti propagandistici, arriva a porsi l’obiettivo di una sistematica ritessitura del fattuale. Nell’immensa costruzione teorica innalzata in nome di una Legge onnipervasiva, ogni fatto che si discosti dall’Idea è una pericolosa crepa che va a minare direttamente l’autorità del Potere. É necessario dunque che l’intero reale concordi con la Legge.

Nonostante i numerosi tentativi di porsi a distanza dal totalitarismo, le democrazie sorte dall’esperienza dei fascismi non sembrano riuscire a ripristinare un intreccio tra Politica, Linguaggio e Verità che possa considerarsi al riparo da ulteriori degenerazioni, perdurando negli elementi alla base della deriva totalitaria e rivelandosi così come brodo di cultura di eventuali ulteriori degenerazioni politiche. L’atomizzazione e la massificazione, derivate dall’impossibilità di una reale azione politica, accentuano la deresponsabilizzazione politica dell’individuo e la sua perdita di cittadinanza in nome di una volontà eteronoma. La formazione di una casta autoreferenziale di politici di professione, l’organizzazione delle opinioni in schieramenti partitici, il passaggio da una politica basata sulla Realpolitik ad una politica intesa come luogo di diffusione di un logo nazionale portano l’intreccio di Politica e Verità a nuove derive critiche.

I Pentagon Papers testimoniano di come il rapporto tra Verità e Politica perduri nella sua problematicità. In essi si assiste – di nuovo – ad una totale svalutazione della sfera fattuale in nome di una Teoria – non più ideologica, ma stavolta “scientifica” – che pretende di approcciarsi in modo esaustivo all’intera realtà. Essi sono nutriti e intessuti di una “pseudoscienza” la cui immissione nella realtà degli affari umani, commenta Arendt, non può che rivelarsi nociva e che trova una pericolosissima deriva nella sua commistione con una inedita e inconscia pratica di autoinganno, che tende ad eliminare totalmente dalla realtà qualunque possibilità di sopravvivenza della nozione di verità fattuale. Con la pratica dell’autoinganno, il criterio di distinzione tra verità e menzogna viene a decadere anche per il bugiardo stesso. La verità viene perduta per sempre.

Conclusioni

Nonostante i mutamenti strutturali della società globale, la necessità di una riflessione sul rapporto tra Verità e Potere sembra persistere nell’interezza della sua urgenza e problematicità. La persistenza di logiche unitarie e di contenitori ideologici, il manicheismo gerarchizzante tra culture e luoghi del mondo globale – accentuate dagli avvenimenti post 11 settembre 2001 – la persistenza della noncuranza verso le verità fattuali, mettono in luce il valore della riflessione arendtiana, pur a distanza di anni dalla morte dell’autrice.

Secondo Olivia Guaraldo, interprete dei testi arendtiani su Menzogna e Potere9, vi sono notevoli affinità tra l’analisi di Arendt e gli scenari della guerra in Iraq iniziata nel 2003, a partire dalla questione delle “armi di distruzione di massa” fino alla totale negligenza della datità fattuale che ha caratterizzato il conflitto. Tra gli scenari odierni e lo scandalo dei Pentagon Papers l’autrice rintraccia come solo elemento di differenza il mutamento nell’opinione pubblica che ha portato al venir meno di ogni forma di indignazione di fronte alla menzogna politica. E’ dunque chiaro come, nel momento in cui l’opinione pubblica corrente viene a perdere ogni interesse per la veridicità dei fatti e delle fonti, di fronte ad una politica essenzialmente mediatica e spettacolarizzata, le riflessioni arendtiane si rendano inevitabilmente attuali. Infatti, nonostante il tempo abbia condannato all’inattualità molte delle tesi dell’autrice, l’invito di Arendt a considerare gli effetti perversi delle finzioni sulla realtà a noi circostante e la messa in guardia da ogni “contenitore ideologico” – in quanto destinato a travolgere la fattualità – si rivela essenziale proprio alla luce di un tale nuovo tipo di politica.

Nell’era della globalizzazione risulta di vitale importanza per la sfera politica, proiettarsi oltre le finzioni mediatiche, alla ricerca di una dimensione radicata nella datità innegabile. In realtà, aldilà di questo, bisogna ulteriormente considerare come un pensiero – quale quello della Arendt – profondamente radicato nella dimensione contingente e trasformativa dell’azione, e profondamente legato alla realtà e alla concezione di politica come potere trasformativo, non possa mai rivelarsi del tutto inattuale, ma sia sempre lì, pronto ad insegnare qualcosa al nostro presente.

Bibliografia

H. Arendt, Truth and Politics, in H. Arendt, Between Past and Future.Eight excercises in Political Thought, Viking Press, New York, 1968 (trad. it. di V. Sorrentino, Verità e Politica, seguito da La conquista dello spazio e la statura dell’uomo, Bollati Boringhieri, Torino 2004)

H. Arendt, Lying in Politics. Reflections on Pentagon Papers, Harcourt Brace Jovanovich, New York, 1972 (trad. it. di V. Santini, La menzogna in politica. Riflessioni sui «Pentagon Papers»,a cura di O. Guaraldo, Marietti, Genova-Milano, 2006)

S. Benhabib, Judgment and the Moral Foundations of Politics in Hannah Arendt’s Thought, in Political Theory 16, Febbraio 1988

P. Flores D’Arcais, Hannah Arendt. Esistenza e libertà, autenticità e politica, Fazi Editore, Roma, 2006.

F. Giardini, L’alleanza inquieta. Dimensioni politiche del linguaggio, Le Lettere, Firenze, 2010

O. Guaraldo, La verità della politica in H. Arendt, La menzogna in politica, Marietti, Genova-Milano, 2006

1. H. Arendt, Lying in Politics. Reflections on Pentagon Papers, Harcourt Brace Jovanovich, New York, 1972 (trad. it. di V. Santini, La menzogna in politica. Riflessioni sui «Pentagon Papers»,a cura di O. Guaraldo, Marietti, Genova-Milano, 2006)

2 Le 7000 pagine top-secret dei Pentagon Papers furono rese pubbliche nel 1971 sulle pagine del New York Times, dopo una complessa operazione portata avanti da Daniel Elsberg volta a rivelare all’opinione pubblica americana le menzogne e gli omicidi commessi nel Sud-Est asiatico dal Governo americano. I documenti, redatti dal Dipartimento della Difesa americano sotto la guida del Segretario della Difesa Robert MacNamara, rappresentano il risultato di uno studio approfondito sulle strategie di guerra e sui rapporti tra il governo statunitense e il Vietnam durante il periodo che va dal 1945 al 1977. Sotto una complessa rete di calcoli statistici e scientifici da applicare alla realtà contingente della guerra, cioè che emerge dai documenti è l’opera di mistificazione e menzogna portata avanti dal Governo statunitense circa i reali obiettivi del conflitto.

3 H. Arendt, Truth and Politics, in H. Arendt, Between Past and Future.Eight excercises in Political Thought, Viking Press, New York, 1968 (trad. it. di V. Sorrentino, Verità e Politica, seguito da La conquista dello spazio e la statura dell’uomo, Bollati Boringhieri, Torino 2004

4Laddove ciò che Arendt individua con “opinione” non coincide con l’idea classica, che vede in questa realtà il manifestarsi di un ambito conoscitivo cui manchi la certezza del noein, bensì con la dòxa, per l’autrice l’ unica forma di sapere possibile in un mondo di “apparenza” – nel senso di coincidenza di essere e apparire nell’azione pubblica – proprio della realtà della Politica.

5Cfr. H. Arendt, Truth and Politics, in H. Arendt, Between Past and Future. Eight excercises in Political Thought, Viking Press, New York, 1968 (trad. it. di V. Sorrentino, Verità e Politica, seguito da La conquista dello spazio e la statura dell’uomo, Bollati Boringhieri, Torino 2004, p. 54)

6Ivi, cit. p. 44.

7mentre, invece, l’asserire la Verità non porta al cambiamento del mondo o al superamento della realtà. Un’asserzione vera riuscirebbe infatti a configurarsi come azione solo in un mondo laddove tutti si accingano a mentire.

8Ivi, cit. p. 59

9O. Guaraldo, La verità della politica in H. Arendt La menzogna in politica, Marietti, Genova-Milano, 2006.

Federica Castelli
Federica Castelli

Federica Castelli è ricercatrice in Filosofia Politica presso l'Università Roma Tre. È stata visiting researcher presso l'EHESS e l'Université Paris VIII, a Parigi. È redattrice di DWF – Donnawomanfemme, rivista del femminismo romano, con cui (...) Maggiori informazioni