La natura è contronatura. Presentazione di K. Barad, La performatività della natura

La natura è contronatura. Presentazione di K. Barad, La performatività della natura

di Clotilde Barbarulli,  ripreso da LetterateMagazine, 7 gennaio 2018

Karen Barad, filosofa e fisica teorica, insegna al Dipartimento di Storia della Coscienza   all’Università della California a Santa Cruz. Nel suo ultimo libro Performatività della natura. Quanto e queer intende riportare al centro del discorso filosofico la materia nella sua concretezza ma anche nella sua molteplicità di sostanza discontinua e aggregata, storica, dunque plasmabile. Definendosi, come sottolinea Borghi nella prefazione, “trans/materialista”, Barad vuole indagare le intra-relazioni materiali-discorsive tra generi, specie, spazi, saperi, sessualità, soggettività e temporalità. Partendo dall’ottica fisica, afferma un approccio filosofico che si basa sulla lettura diffrattiva di spunti che vengono dal femminismo, dal marxismo, dalla teoria queer e dagli Science Studies – e incrociandone le prospettive – evidenzia la relazione tra il sociale e lo scientifico praticando così un “realismo agenziale”.

Basandosi su un suggerimento di Donna Haraway, propone dunque, in modo creativo e visionario, la pratica della diffrazione nel leggere/legare varie intuizioni l’una con l’altra per produrre qualcosa di nuovo. La diffrazione, intesa usando la fisica quantistica, non è solo una questione di interferenza, ma di entanglement (“traccia aggrovigliata di alterità”), dove i tagli fanno violenza, ma anche aprono e rielaborano le condizioni di possibilità. Si può praticare leggendo testi l’uno attraverso l’altro, e riscrivendoli in modo da disturbare la temporalità di uno scritto, “attraversare confini disciplinari e modificare contestualmente testi diversi aprendone il significato” (Borghi 2016).

Il neomaterialismo è dunque un campo vasto e complesso in divenire che si occupa del rapporto tra vita organica e in/organica e dialoga con la scienza occupandosi del nostro coinvolgimento femminista con la materia, criticando ogni dualismo: la costruzione di oggetti scientifici, le culture epistemiche, l’accesso al mondo naturale. Così Barad propone un’elaborazione del concetto di performatività (in senso materialista, naturalista e post-umano) che riconosca alla materia di “essere parte attiva nel divenire del mondo”. Invita a ripensare la natura della differenziazione emancipandola da nozioni identitarie o spaziali fisse: secondo il suo approccio realista agenziale, tutti i corpi, non solo i corpi umani, contano nel divenire performativo del mondo.

Nella complessità dei temi trattati mi soffermo su alcuni aspetti che, anche narrativamente, mi hanno coinvolta, come l’uso del dramma Copenhagen di Michael Frayn , un testo “spettrale” che parla di scienza, politica, etica, intorno a cui Barad intreccia figure e momenti diversi della Storia, giocando su “avviluppamenti” spazio-temporali. Così ad esempio, nell’anno 1941 ricorda la misteriosa visita del fisico tedesco Heisemberg al fisco danese Bohr/ diffratto attraverso il 1998 con Copenahagen/diffratto attraverso il 1927, anno chiave della fisica quantistica/ diffratto attraverso il 1945 con Hiroshima, mentre aleggia una domanda ossessiva: “perché Heisenberg andò – durante la guerra – a trovare il suo vecchio amico?” E ancora: “Un fisico è moralmente legittimato a lavorare allo sfruttamento pratico dell’energia atomica?”. La temporalità dei quanti si basa su una indeterminatezza ontologica, una superposizione di possibilità: lo spaziotempo si produce intra-attivamente; il tempo è liquido: Barad continua così con altri accostamenti di scene riconfigurate e intrecciate, a testimoniare che il tempo è “fuori sesto”, “disperso”, “infestato”, “diffratto” fra “entanglement multipli, differenze che disgiungono e reciprocamente riassemblano”. Il passato, il presente e il futuro sono “imbricati in un viluppo non lineare di materializzazione spaziotemporale”, mentre Copenhagen appare “perseguitato dalle sue fratture/disgiunzioni interne che smentiscono la presunta unità di luoghi, spazi, tempi ed esseri viventi”. La traccia di tutte le riconfigurazioni è “impressa nelle trame materializzate di ciò che è stato/è/sarà”. Parlare con gli spettri significa assumersi la responsabilità di ciò che “ereditiamo (dal passato e dal futuro)”, delle “aggrovigliate relazioni di eredità” che siamo ‘noi’, aprirsi all’indeterminazione “andando incontro all’a-venire”.

Nel saggio sulla queerness della causalità, della materia, dello spazio e del tempo, cita un articolo del 2009 su una colonia di miliardi di amebe nel suolo del Texas da cui emana “un sentore di paura, se non di vago moralismo” e dove la giornalista rivela la presenza di un fantasma, il classico dell’horror del 1958 The Blob, un film da guerra fredda sull’insidiosa minaccia del comunismo. Il Blob, una creatura proteiforme inarrestabile che fagocita tutto sul suo cammino esprime del resto il panico xenofobo per la proliferazione dello straniero, continuato dopo il maccartismo fino ad assumere anche altre forme, ad esempio con  l’epidemia di AIDS e la sindrome della mucca pazza: panico che ha determinato il sacrificio colpevole dai gay ai residenti nell’Africa sub-sahariana, fino ai bovini e così via. La paura per il Blob è “ viva e vegeta” sulla scena politica contemporanea, perché – sottolinea giustamente – la paura e il moralismo formano una “miscela caustica”.

Anzi più la paura e il moralismo sono usati per difendere la divisione tra natura e cultura, più si producono “crepe” in quella stessa divisione. Il concetto di “crimini contro la Natura” riguarda gli atti sessuali considerati contro natura, come gli atti omosessuali. Tutto ciò non solo è illogico ma non considera che la natura possa essere “comunista, pervertita o queer”, tenendo conto che – come sostiene il biologo Bruce Bagemihil – il mondo “trabocca di creature omosessuali, bisessuali e transgender di ogni risma”. Così si considerano immorali le pratiche sessuali mentre lo sterminio di massa degli animali viene reso accettabile. Se la logica vacilla, quale “falla del binarismo natura/cultura viene messa in evidenza dalla congiunzione della teoria queer ed ecocritica”, domanda Barad? L’approccio alla materializzazione per Barad non implica infatti una evasione dall’etica che è parte integrante dello schema di diffrazione, di continua differenziazione, del divenire del mondo. Un’etica dell’entaglement comporta infatti “possibilità e vincoli etici nel rielaborare gli effetti materiali del passato e del futuro”, sedimentati nelle stesse riconfigurazioni.

Per Barad le questioni di etica e di giustizia sono già nel tessuto del mondo, non un’aggiunta, e l’etica implica il tener conto di nuove configurazioni, nuove soggettività, nuove possibilità nelle materializzazioni entagled dato che “noi siamo parte del mondo nella sua continua intra-attività”. Credo che la diffrazione – usata da Barad come fondamento del suo metodo di lettura scientifica, epistemologica, storica, letteraria – possa stimolare a leggere intra-attivamente fenomeni, eventi, concetti e testi, ed a considerare inusuali configurazioni del tempo spazio, fino a inquietare modelli cristallizzati di società e di politica in un’etica dell’entaglement.

Karen Barad, Performatività della natura. Quanto e queer. A cura di Elena Bougleux. Premessa di Liana Borghi, ETS 2017, pp.168, euro15,00.

Karen Barad, “La materia sente, conversa, soffre, desidera, ricorda”. Intervista in Rick Dolphijn, New Materialism: openhumanitiespress.org/

Liana Borghi, “Percorso per diffrazione”, Scuola estiva IAPH 2016

Federica Giardini
Federica Giardini

Federica Giardini insegna Filosofia politica all'Università Roma Tre. Ha lavorato sulla relazione corporea tra filosofia e psicoanalisi, sulle genealogie femministe, a partire dal pensiero della differenza, sui beni comuni. Attualmente lavora, insie (...) Maggiori informazioni