Sofia Scatenata: noi, filosofe femministe vogliamo uscire dall’Accademia

Intervista di Giovanna Pezzuoli a Federica Giardini,

già pubblicata su il Corriere La 27ora il 09/06/2015.

 

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«Sofia è scatenata perché vuole uscire dai luoghi accademici, muoversi in piazza, nelle strade, entrare nelle case e nelle librerie…». Una metafora un po’ scherzosa per delineare gli intenti di IAPh Italia, il ramo italiano dell’Associazione internazionale delle filosofe. Ma chi è questa Sofia Scatenata? Un nuovo sito, innanzitutto, ma anche un percorso iniziato cinque anni fa che si articola in una miriade di progetti, attività editoriali, atelier di approfondimento su lavoro, corpo, educazione, arte, intercultura.Un luogo reale e virtuale dove si incontrano accademia ed esperienza, ricerca e femminismo, studio e politica. L’obiettivo è diffondere e comunicare la passione per la filosofia, a partire dal pensiero di donne, quel «pensiero dell’esperienza» che va oltre la sfera d’azione delle sole pensatrici di professione. Parliamo con Federica Giardini, docente all’Università di Roma Tre, una delle fondatrici di IAPh Italia e delle ideatrici del portale rinnovato che viene presentato oggi alle ore 19, a Roma, alla libreria Tuba, via del Pigneto 39/a.

«Il pensiero dell’esperienza» era il titolo scelto per l’incontro tenutosi a Roma nel 2006, dal quale poi è nata anche IAPh Italia. Un titolo che è una presa di posizione, un programma. Che cosa significa esattamente?

«Esprime la possibilità di pensare a partire da ciò che ci capita tutti i giorni, perché la teoria non è mai staccata dalla realtà, anche la più quotidiana. Una caratteristica del femminismo italiano dove non c’è stata separazione tra l’università e i luoghi delle donne. Al contrario dei Paesi anglosassoni: lo sviluppo dei women’s studies ha spesso allontanato l’elaborazione teorica dal movimento delle donne, con la conseguenza di relazioni ispirate alla competizione in una ricerca di successo che dà valore alla singola donna anziché alla collettività. La nostra intenzione è proprio salvare la modalità femminista del sapere relazionale vicino all’esperienza e insieme far restare questo sapere nei luoghi dove si origina».

Riguardo al sito, tu parli del rilancio, imprevisto, che le donne più giovani fanno delle istanze femministe. Femminismo è in questo momento una parola molto controversa, un po’ maledetta, non trovi?

«Io ho 50 anni, dunque non sono giovane, ma nemmeno una femminista storica. E questo, nei confronti delle donne in redazione, tutte fra i 20 e i 30 anni, mi ha facilitato. Nella mia assunzione di responsabilità non ho avanzato la richiesta di riprendere alla lettera tutto quello che era stato detto/fatto, avevo un margine di manovra che mi portava a guardare le donne più giovani con un atteggiamento di scoperta anziché dell’“io avevo fatto”. Del resto che le più giovani siano costrette per una malintesa forma di rispetto a ripetere quello che è stato detto in decenni precedenti non mi sembra nemmeno femminista. Il femminismo non coltiva forse la libertà, il desiderio, la potenza delle donne? Per capire le differenze con le generazioni passate, basta pensare alla inedita questione della precarietà del lavoro».

Tra i propositi di IAPh e del sito c’è quello di uscire dall’Accademia…

«Deriva da un dato biografico e politico del gruppo redazionale. La maggior parte di loro si è incontrata tra il 2007 e il 2010, anni di pienezza politica, era una meraviglia, penso al movimento dell’Onda… È rimasto l’amore per l’aperto. In realtà, la scommessa è tenere insieme tutti i luoghi dove accade qualcosa. L’università è una realtà bistrattata, eppure nei giovani di 20/30 anni c’è un desiderio molto forte di sapere e sono velocissimi ad apprendere. Devono essere messi in condizione di farlo, l’università deve restare un luogo dove questo desiderio può esprimersi e crescere».

Dunque anche istituzioni come l’università vanno riaperte a un sapere collettivo?

«Organizziamo seminari dentro e fuori l’università. Al primo, dedicato al tema della sessualità, che si è svolto nel 2012 alla Casa Internazionale delle donne, è seguito un secondo ciclo di incontri all’università su Il secondo sesso di Simone De Beauvoir, un classico discusso in rapporto con il presente. Pubblicato per la prima volta nel 1949, è un’opera a 360 gradi, che fa leggere e rileggere vita, cultura, politica: dalla storia ai miti, dalla sessualità alla maternità fino al lavoro. E qui si è posta anche la questione di come comunicare, di quale linguaggio e di quali strumenti usare con giovani a volte del tutto a digiuno dei saperi femministi».

Progetti per il futuro?

«Tra le novità del sito ci sono l’avvio dell’attività editoriale con testi attorno ai nodi della politica femminista maturati nel corso di un anno, come il rapporto fra donne e neoliberismo, e con i Dossier IACPh Italia, sul cibo, su Milano Expo, sulla città… E poi, la pubblicazione di tesi che dimostrano un livello di stupefacente intelligenza delle giovani donne. A breve, partirà anche un bando per nuove tesi. Infine, ci sarà un’intensificazione dei seminari di formazione: a settembre si svolgerà un seminario sulla pensatrice napoletana Angela Putino mentre a novembre un altro ciclo di incontri sui lineamenti del pensiero femminista si articolerà in alcune parole chiave per offrire gli strumenti di base. Seminari che si svolgono all’università ma sono aperti a tutti».

L’obiettivo finale?

«La mia ambizione è creare un centro di ricerca attivo, a cavallo fa università e società, per rispondere ai bisogni materiali, mangiare, dormire, e al tempo stesso al desiderio di sapere».

Quali sono le filosofe a cui fate riferimento?

«Inizialmente ci siamo rivolte ai classici francesi e italiani, da Luce Irigaray e Françoise Collin a Luisa Muraro e Adriana Cavarero. Più di recente, insieme alla collega Anna Simone, ho lavorato sull’idea che sia finita la contrapposizione fra liberazione simbolica e materiale delle donne. Si è aperto così un dialogo con gruppi come i Quaderni viola torinesi, che fanno una critica femminista al pensiero della differenza, o come i collettivi padovani che sono partiti dalla critica al lavoro di cura, ispirandosi all’insegnamento della filosofa Silvia Federici. Poi c’è tutto il capitolo della teoria del gender dell’americana Judith Butler. Non a caso uno dei tre o quattro maschi che sono in redazione è Federico Zappino, proprio il curatore delle opere di Judith Butler».

Dunque di femminismi non ce n’è uno solo?

«Non semplifichiamo confondendo il pluralismo con la democrazia. Occorre pendere posizione, mantenendo la capacità di dialogare».

Progettate anche interventi sul territorio?

«Alcune componenti della redazione cominciano ad avviare nuovi luoghi di pensiero e d’azione; e il sito rafforza la propria vocazione ad essere un laboratorio fisico-virtuale per concepire una giustizia che, pensata da donne, è ricerca di giustizia per tutte e tutti. Come scriveva Clarice Lispector “tutto il mondo deve cambiare, perché io possa esservi inclusa”».

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