Terzo incontro – Intervento di Gaia Leiss

L’aspetto del capitolo dedicato alla biologia che più mi ha colpito è la descrizione della “servitù” della donna rispetto alla specie. Della vita fisiologica della donna, nel periodo che va dall’accesso alla pubertà alla menopausa, viene data una descrizione costernante: il momento della pubertà è una “crisi”, in cui il l’individuo femminile esprime la resistenza a consegnarsi alla specie; il ciclo mestruale, un dramma mensile fatto di gravosi squilibri fisiologici e psichici, durante il quale la donna “sperimenta più penosamente il suo corpo come una cosa opaca, alienata, in preda a una vita ostinata ed estranea”[1]; della gravidanza non parliamone neanche; finalmente poi arriva la menopausa, anche qua i rischi paventati sono orrendi, ma in compenso se si ha la fortuna, e non è detto, che gli equilibri endocrini si ristabiliscano, “allora la donna è liberata dalla schiavitù della femmina; non è paragonabile ad un eunuco perché la sua vitalità è intatta; ciononostante non è più preda di forze che la travolgono: coincide con se stessa”.[2]

Per De Beauvoir questi sono un complesso di “fatti” in cui si riassume la sottomissione della donna alla specie, e la sua impossibilità ad accedere a una vita individuale ricca quanto quella dell’uomo. Rispetto a questo quadro l’apertura fondamentale, come nota anche Angela, è nel sottolineare come tali “dati di fatto” non devono rappresentare per la donna un “rigido destino”: infatti “se accettiamo un punto di vista umano, e definiamo il corpo attraverso l’esistenza, la biologia diventa una scienza astratta”[3], come a dire che non esistono “dati fisiologici” nudi, il significato ad essi attribuito dipende dal complesso dei valori sociali e culturali dati.

Ora a me sembra che si possa dire che De Beauvoir in qualche modo non riesca ad applicare questa acquisizione al suo stesso approccio alla questione della biologia. Voglio dire che l’autrice finisce per valorizzare come pienamente umana una forma di soggettività, basata sulla trascendenza dell’individuo, che è  espressione del suo contesto culturale di riferimento, e non, ovviamente, l’unica possibile.

Ad esempio nella mia esperienza mi è sembrato di constatare che donne cresciute in ambienti meno repressivi rispetto ai fatti del corpo, tendenzialmente affrontino il ciclo mestruale con meno disagio fisico e psicologico. Oggi peraltro, come giustamente notava Federica, alla repressione sessuale si aggiunge la richiesta di disponibilità ed efficienza costante dei corpi, che è un modo diverso ma altrettanto potente di negarne la dimensione reale e concreta.

Per quel che mi riguarda, una breve esperienza avuta nell’uso della pillola anticoncezionale,  ha confermato l’idea che la percezione diretta degli cambiamenti fisiologici che avvengono nel corso del ciclo mestruale, sono un elemento di vitalità e di presenza a me stessa, ai quali non credo vorrò più rinunciare. Mi sembra chiaro che se esiste una maggiore difficoltà femminile a fingere di non avere un corpo, o di non far parte di una specie animale, tale difficoltà potrebbe rappresentare un vantaggio piuttosto che una mancanza.

[1]    Simone De Beauvoir, Il secondo sesso, il Saggiatore, Milano 1999, p. 55

[2]    Ibidem, p. 57

[3]    Ibidem, p. 61

Redazione

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