Le lotte, assieme. Una bibliografia ragionata sull’intersezionalità

A cura di Bianca Marzolo, Irene Fermanelli e Silvia Peveri

Questa bibliografia nasce durante il primo modulo del Master “Studi e politiche di genere” dell’università di RomaTre. L’ordine scelto di presentazione dei volumi è cronologico per l’anno di pubblicazione.
Per costruire questa bibliografia abbiamo seguito l’urgenza di tracciare una guida, un percorso sull’intersezionalità con lo scopo di sfuggire allo svuotamento di senso e di conflittualità. Attraverso questa lente leggere ciò che ci circonda, proporre una postura ma anche una prospettiva di lotta con l’obiettivo di evidenziare convergenze e possibili alleanze.
Una cassetta degli attrezzi, una traccia, per guidare e guidarci attraverso la complessità. Riconoscere genealogie e appartenenze, fare luce su autrici e autorx che hanno pensato e costruito una trama di relazioni tra marcatori di oppressione e soggettività dissidenti, senza gerarchie e/o priorità, costruendo la base “teorica” per una lotta collettiva, condivisa, comune.

Angela Davis, Donne, razza e classe (1981), Edizioni Alegre, 2018.
Angela Davis, centrale attivista del movimento femminista nero degli anni Settanta. In questo volume, testo pioneristico sul tema dell’intersezionalità, ripercorre storicamente le violenze e le brutalità subite dal popolo Nero durante lo schiavismo, lo sfruttamento lavorativo, il linciaggio e la sterilizzazione forzata eugenetica, mostrandoci l’oppressione specifica vissuta dalle donne Nere. Oppressione caratterizzata dall’intreccio di più fattori: essere donna, Nera e domestica o operaia, sfruttata dallo schiavismo, dal sistema capitalista e discriminata dalla supremazia bianca e dal maschilismo. Oppressione che ha, quindi, influenzato in maniera deterministica le lotte di queste donne e che non è stata riconosciuta e appoggiata dai movimenti femministi americani: a partire dal movimento suffragista di fine ‘800 che guardava alla sola oppressione di genere e che presentava un “razzismo […] così radicato […] che le sue porte non furono mai veramente aperte alle donne Nere” nonostante quest’ultime “in quanto donne che subivano l’oppressione combinata di sesso, classe e razza, possedevano un potente argomento a sostegno del diritto di voto”; al movimento per il controllo delle nascite dei primi decenni del ‘900 il quale “iniziò a sostenere che le donne povere, Nere e immigrate avessero il dovere morale di ridurre la grandezza delle loro famiglie”; fino al movimento per il diritto all’aborto degli anni Settanta che, rivendicando la maternità consapevole per le donne bianche di classe media, “non riuscì a difendere più in generale i diritti riproduttivi, intercettando anche quelle donne (della classe lavoratrice) che dovevano rinunciare al loro diritto alla riproduzione per circostanze economiche”.
Questo volume offre una grande lezione, rinnovata dai recenti movimenti femministi come Non una di meno: occorre abbandonare l’idea di un soggetto “donna” contraddistinto universalmente da una storia di oppressione condivisa; al contrario, è necessario riconoscere le specificità e le complessità delle rivendicazioni, delle lotte e dei desideri delle diverse soggettività in movimento. Se intersezionale è l’oppressione subita, così devono essere i moti di liberazione.
Come fu per il movimento abolizionista della schiavitù che riconobbe “l’inseparabilità della lotta per la liberazione dei Neri e quella per la liberazione delle donne”, così oggi diventa necessario sostenere le rivendicazioni di tutti i gruppi oppressi. Per usare le parole di Davis: “senza cadere nel tranello ideologico di sostenere che una (lotta per la liberazione) sia più importante dell’altra, ma riconoscendo il carattere dialettico della relazione tra le due”, tra le tante.

Colette Guillaumin, Sesso, razza e pratica del potere (2016), ombre corte, Verona, 2020
Colette Guillamin, sociologa e antropologa francese, un’autrice poco tradotta e conosciuta in Italia. Il volume “Sesso, razza e pratica del potere. L’idea di natura” infatti pubblicato nel 2020 per le edizioni Ombre Corte raccoglie una serie di saggi e articoli scritti tra il 1977 e il 1992. Guillamin si inserisce nella corrente che si definisce femminismo materialista francese, insieme a Christine Delphy, Monique Wittig, Nicole-Claude Mathieu e Paola Tabet. L’intreccio di dialoghi e confronti fra queste si elabora in un insieme di “Conversazioni ininterrotte” in cui si riconosce l’origine collettiva e stratificata del pensiero di Guillamin. Filo rosso tra i vari saggi raccolti nel volume sono le categorie di sesso e razza, che Guillamin adopera in un’attenta operazione di decostruzione e di analisi delle relazioni di potere a esse collegate. Queste categorie sono tutt’altro che naturali, si tratta di fatti sociali. Nel corso della disamina individua “la natura specifica dell’oppressione delle donne nell’appropriazione” (p. 40), cioè la riduzione delle donne allo stato di oggetti materiali. Viene sottolineato anche l’aspetto dirimente dell’appartenenza delle donne alla classe di sesso. Guillamin introduce il concetto di sexage (tradotto come “sessaggio”) per spiegare le caratteristiche del rapporto di appropriazione delle donne da parte degli uomini. Il rimando chiaro è ai termini esclavage e servage per indicare il rapporto tra uomini e donne. All’interno dell’economia domestica moderna il sessaggio rappresenta i rapporti di classe di sesso in cui “a essere accaparrata è la stessa unità materiale che produce forza lavoro, e non la sola forza lavoro” (p. 43). La nozione di sessaggio illumina l’affinità fra la stessa e “l’istituzione schiavista (…) che risiede nell’appropriazione illimitata della forza lavoro” (p. 81).
“La riduzione allo stato di cosa […] persiste ancora oggi sotto i nostri occhi nelle metropoli industriali, nascosta e sovraesposta, nel caso del matrimonio, rapporto sociale istituzionalizzato come mai nessun altro”, ma l’opera di naturalizzazione a cui sono sottoposte le categorie e i rapporti sociali impedisce – talvolta – anche alla classe asservita di vedere ciò. L’appropriazione è un fatto inconsapevole quanto invisibile e che Guillamin definisce come “il legame dei servi con la terra e quello delle donne con gli
uomini sono in parte paragonabili” ma non basta lavorare per tracciare analogie, serve decostruire e raccontare i pezzi che compongono questo ordito complesso. Esistono diversi modi di appropriazione della classe delle donne e Guillamin li definisce tutti passo per passo: il mercato del lavoro, il confinamento spaziale, l’uso della forza, l’obbligo di prestazione sessuale, l’arsenale giuridico e il diritto consuetudinario. Nel testo non si rintraccia esplicitamente un riferimento al concetto di intersezionalità ma, l’urgenza e la necessità di inserirlo all’interno di questo insieme di riferimenti bibliografica al tema è dovuto al fatto che, questo volume fornisce strumenti fondamentali e ancora attuali per un’elaborazione che tenga conto degli assi sesso, razza e classe e di come questi operino nella costruzione di rapporti sociali di oppressione e dominio.

Sara Carnovali, Il corpo delle donne con disabilità. Analisi giuridica intersezionale su violenza, sessualità e diritti riproduttivi, Aracne editrice, 2018.
Sara Carnovali è dottoressa di Ricerca in Diritto costituzionale autrice di diverse pubblicazioni sul tema dei diritti umani delle persone con disabilità. Il presente volume intreccia e analizza tali diritti con le tematiche di genere nei contesti internazionale, europeo e italiano, ponendo particolare attenzione a ciò che afferisce alla dimensione del corpo delle donne con disabilità indagando i temi della sessualità, della violenza e dei diritti riproduttivi. L’ottica adottata è quella di una discriminazione multipla intersezionale, che risulta essere “particolarmente odiosa perché quasi sempre invisibile e sommersa, instaurandosi in contesti di (presunta) cura e assistenza alla donna o all’interno di ambienti relazionali per cui la donna con disabilità viene ritenuta ‘incapace’ di decidere autonomamente”.
La varietà delle disabilità esistenti unite agli stereotipi e i pregiudizi che colpiscono le donne con disabilità, come il ‘mito dell’asessualità’ e quello ‘dell’ipersessualità’, determinano discriminazioni e fragilità specifiche quali la difficoltà di accesso ai servizi socio-sanitari legati a sessualità e riproduzione, l’accoglienza in rifugi per vittime violenza, e l’interruzione di gravidanza, la contraccezione e le sterilizzazioni forzate. Così facendo Cornovali ci ricorda la necessità di un mutamento culturale e di una assunzione di responsabilità collettiva nella lotta alla società patriarcale. Le donne con disabilità sono “considerate soggetti nuovi nella riflessione politica […] e a lungo escluse […] dalla riflessione femminista sull’intersezione tra genere e disabilità”, probabilmente perché “le tematiche che il femminismo vede quali “luoghi di oppressione” – ad esempio il paradigma della donna quale madre che si occupa dell’accudimento dei figli – sono ambiti di lotta […] da parte delle donne con disabilità”. Alcuni dei movimenti femministi di oggi, vicini ad una concezione della disabilità come “prodotto culturale del predominio del ‘paradigma abilista’ a lungo rivendicato dalle associazioni per i diritti delle persone con disabilità”, rivendicano i diritti civili, politici e sociali e riconoscono l’intersezionalità delle discriminazioni subite dalle donne con disabilità.
Questa analisi giuridica intersezionale è un ottimo strumento per gli operatori del diritto e per le istituzioni, le associazioni e i professionisti che incontrano donne e persone con disabilità nel loro lavoro, anche e soprattutto nell’ottica, a più riprese ribadita dall’autrice, della sostanziale necessità di una formazione specifica per queste figure lavorative. Carnovali fornisce un quadro delle normative vigenti e delle lacune esistenti nel trattare, a livello giuridico, l’intersezione tra genere e disabilità e ci ricorda, infine, l’importanza di un Legislatore che sia sensibile alle problematiche sottese alla disabilità e consapevole della complessità di ricercare un equilibrio tra protezione e autonomia, tutela e libertà.

AA. VV., Introduzione ai femminismi, DeriveApprodi, Roma, 2019
Sin dalle prime righe della prefazione si evince quale sia l’intento del presente volume, curato da Anna Curcio, quello che si ha tra le mani è infatti un vademecum. Un manuale che racchiude un excursus della critica femminista della cosiddetta seconda ondata. Ogni saggio che lo compone è espressione del sentire e del posizionamento dell’autrice/dell’autorx, da qui la possibilità, leggendoli tutti, di scovare dissonanze e divergenze.
Il secondo capitolo nella fattispecie risponde all’esigenza di questa bibliografia, tratta infatti il tema del Femminismo Nero con il pensiero e le parole di Marie Moise. Una disamina quella di Moise ricca di riferimenti a figure pioniere, la ribellione delle donne dalla violenza della schiavitù, tra cui Milla Granson nata schiava, imparò a leggere e scrivere dai figli del padrone e che organizzò ‘la scuola di mezzanotte’, un corso clandestino di alfabetizzazione per schiavi e schiave, o ancora Harriet Tubman che dopo essere fuggita riesce a portare in salvo centinaia di schiavi attraverso la rete Underground Railroad; Moise dunque sottolinea come “la lotta per aver salva la vita è la prima forma del progetto femminista Nero di trasformazione e giustizia sociale” (p. 28). L’origine, le radici del femminismo nero stanno nella storia delle donne della diaspora africana. In un’opera di decostruzione di categorie e costruzioni sociali, collegata in parallelo a un’attenta ricostruzione delle genealogie del pensiero femminista Nero, Moise traccia un percorso costellato di voci e collettività dove a emergere è una struttura complessa di oppressioni intercornesse. Moise inserisce anche un paragrafo dedicato al concetto di ‘Intersezionalità’ partendo dalla definizione di chi lo ha coniato, Kimberle Crenshaw nel 1989. Applicare la lente dell’ intersezionalità “non si significa rafforzare le linee di frammentazione sociale, ma renderle visibili, insieme all’eterogeneità degli orizzonti di liberazione”. Efficace e utile ai fini della trattazione, il riferimento al concetto di ‘sbiancamento dell’intersezionalità’ di Sirma Bilge (2014), il processo cioè a cui sovente assistiamo di depoliticizzazione dello strumento, soprattutto in seguito al suo approdo nel mondo accademico, processo impiegato generalmente in un contesto bianco. Un contributo quello di Moise che all’interno del volume a cura di Anna Curcio, apre una faglia, crea uno spazio di riflessione sull’attuale e sull’urgenza e si chiude con le parole di Fanny Lou Harmer “Nessuna persona sarà libera fino a che non lo saranno tutte” (p. 42).


Laura Corradi, Il femminismo delle Zingare: intersezionalità, alleanze, attivismo di genere e queer (2018), Milano, Mimesis, 2022
Laura Corradi è ex operaia, traveller, attivista e studiosa, è impegnata nei
movimenti femministi, queer, antirazzisti ed ecologisti. Attualmente ricercatrice e docente presso l’Università della Calabria, si occupa di studi di genere e metodo intersezionale e di sociologia della salute e dell’ambiente. Nel 2018 pubblica “Il femminismo delle Zingare” che affronta un femminismo poco conosciuto in Europa. Attraverso questo saggio Corradi individua 3 caratteristiche cardine dell’azione femminista Zingara che ne rendono fondamentale il contributo. La prima è la capacità del femminismo delle Zingare di mantenere “la direzione del cambiamento verso il rispetto per le differenze, l’empowerment e la coesione sociale nelle comunità e insieme facilita la comunicazione con il mondo esterno sulle questioni di genere” (p.130). La seconda caratteristica che rende il femminismo delle Zingare così importante “riguarda la consapevolezza culturale della complessità dei processi alla base della formazione dell’identità. […] Le femministe zingare offrono utili strumenti di autoriflessione e forme decisionali partecipative” (p.130). Il terzo fattore che lo rende fondamentale è la consapevolezza che “nessuna comunità può superare un’oppressione secolare conservando forme di assoggettamento interne” (p.131). Il femminismo delle Zingare quindi “offre la possibilità di allargare le prospettive in termini di intersezionalità a coloro che hanno a cuore la lotta contro tutte le disuguaglianze sociali. È fonte di ispirazione per la sua capacità di costruire relazioni. […] Il femminismo delle Zingare trascende i confini, sfida i pregiudizi geografici occidentali e gli atteggiamenti eurocentrici partendo da un punto di vista molteplice e mutevole, quello di un “quarto mondo” recente ma con radici antiche” (p.131). Il lavoro di Corradi riesce a far coincidere rigore scientifico e spirito sovversivo in un’analisi che si espande tanto orizzontalmente quanto in profondità.


bell hooks, Elogio del margine / Scrivere al buio, Napoli, Tamu Edizioni, 2020 – Trad. Maria Nadotti
Elogio del margine di bell hooks è una raccolta di saggi sulla resistenza delle
donne afroamericane all’intersezione violenta tra razzismo e sessismo. È una raccolta curata e tradotta da Maria Nadotti, integrata con un’intervista che Maria Nadotti fece a hooks nel 1997. bell hooks è stata una scrittrice, attivista e femminista statunitense cresciuta nel Kentucky dove vigeva un sistema di apartheid. Figlia delle due origini la scrittura di bell hooks si concentra su: intersezionalità tra razza, capitalismo, e genere. “Gran parte del mio lavoro nell’ambito della teoria femminista ha messo in rilievo quanto siano rilevanti i modi in cui status razziale e di classe determinano sino a che punto si possono affermare il dominio e il privilegio maschili e, ancor più, in che forma razzismo e sessismo sono sistemi interconnessi di dominio che si rafforzano e si sostengono a vicenda” (p.46). Ma la forza di bell hooks sta nella sua lucida capacità di trasferire questa complessa rete di oppressione al grande pubblico, con un linguaggio semplice e chiaro.
bell hooks analizza quello spazio limite in cui vive chi è oppresso, sfruttato e colonizzato. Elogia “il margine” e lo racconta come “posizione e luogo di resistenza […] cruciale. […] Voglio affermare che questi margini sono stati luoghi di repressione, ma anche di resistenza. Poiché siamo capaci di definire la natura di quella repressione, è evidente che sappiamo che il margine è un luogo di privazione. […] Quando si tratta di parlare del margine come luogo di resistenza, veniamo spesso ridotti al silenzio” (pp.130-131). È proprio in questo margine “eletto a luogo di resistenza” che bell hooks ci porta e ci mostra la capacità trasformativa che ha la “costruzione di uno spazio creativo radicale capace di affermare e sostenere la nostra soggettività, di assegnarci una posizione nuova da cui poter articolare il nostro senso del mondo” (p.134).


Tiburi Màrcia, Il contrario della solitudine. Manifesto per un femminismo in comune, effequ, Firenze, 2020
Màrcia Tiburi filosofa, artista, docente universitaria e scrittrice brasiliana è autrice del pamphlet pubblicato in Italia da effequ nella traduzione di Eloisa del Giudice. Durante il corso del libro Tiburi ci accompagna in una riflessione collettiva sul femminismo, partendo dal suo rapporto con il termine e il suo significato, partendo dunque da sé, tracciando una linea scura, di consapevolezza e autodeterminazione, coscienza, affetti e dolori della e nella politica; “Ho l’impressione che […] dobbiamo tutte il nostro femminismo alle nostre madri e alle nostre nonne, anche quando queste non si dicevano, e forse non erano neppure, femministe” (p. 43). La sua riflessione ha il sapore collettivo di una lotta trasversale, che intreccia identità e vissuti, che non determina gerarchie o priorità, una lotta femminista intersezionale. Il femminismo “[…] riunisce in sé i marcatori di oppressione della razza, del genere, della sessualità e della classe sociale” ed “è chiaramente una lotta contro le sofferenze accumulate” (p. 67).
Tiburi determina un prima e un dopo l’incontro con il femminismo e come
questa postura e prospettiva abbiano cambiato il suo modo di identificare sé stessa e lx altrx, “nel contesto del patriarcato l’identità è un parametro eterocostruito: nel femminismo l’identità è un elemento di costruzione di sé che passa necessariamente dall’autoriconoscimento” (pag. 33).
Il femminismo ci accompagna nella lotta dei diritti di tutte, tuttx e tutti,
“possiamo definirlo come il desiderio di una democrazia radicale rivolta alla lotta per i diritti di chi subisce ingiustizie sistematicamente disposte dal patriarcato […] Includiamo tutti gli esseri i cui corpi sono stati misurati per il loro valore d’uso. Corpi per il mestiere, per la procreazione, la cura, la salvaguardia della vita, per la riproduzione del piacere altrui […]” (pp. 22-23). Utilizzando il termine femminismo al singolare Tiburi non vuole assolutamente alludere a un’unità quanto piuttosto accompagnarci a svelare l’ordito complesso, una trama, una rete, che si riempie di desiderio, di saperi e volta alla costruzione del “comune”. Il titolo del volume ci guida nella scoperta di cosa sia nella teoria e nella pratica l’intersezionalità delle lotte: “ogni lotta è lotta quando è lotta insieme […] Lottare per dei diritti non significa lottare per i propri diritti in senso individuale” (p. 67); si tratta di una risposta collettiva alla solitudine.