N. Power, La donna a una dimensione, DeriveApprodi, Roma 2011

N. Power, La donna a una dimensione, DeriveApprodi, Roma 2011

Che cos’è liberazione – femminismo e neoliberismo

di Federica Giardini

 

E’ un testo segnato dalla grazia della brevità, che qui è sapienza nell’individuare quel che stride nelle retoriche sulla piena libertà femminile in Occidente e che genera anche un linguaggio felice nelle sue invenzioni: dal “curriculum ambulante” che siamo alla “donna-capitale”, dal “femminismo™” alla “legge del velo come legge del puro capitalismo”. Nina Power offre un vademecum provocatorio per la lettura del presente. La domanda suona: le rappresentazioni glam della femminilità sono sinonimo di una vittoria del “femminismo”?
Le risposte passano attraverso l’analisi di testi e paratesti di cantrici e cantori di una civiltà a misura dell’autoaffermazione delle donne: borsette, tacchi, modelle, protagoniste di film tutti femminili, donne manager e donne politiche – nell’inquietante triade Thatcher, Rice e Palin. Tutto questo ha a che vedere con le lotte e i saperi dei femminismi del secolo scorso? La risposta non ha l’ovvietà di un sì o di un no. Come Nina Power invita in chiusura a “collocare le proprie esigenze vitali al centro della scena politica”, la posta in gioco sta nel ricentrare, politicamente, quel che si intende per libertà femminile.
La prefazione all’edizione italiana avverte che molte considerazioni sono legate al contesto anglosassone, eppure il testo mantiene la sua capacità di interpellare la situazione italiana, per due motivi almeno: da una parte, tanta retorica globale sulla libertà delle donne in Occidente ha colonizzato l’opinione pubblica italiana – e opinione è qui intesa in senso forte, cioè come quell’ordine del discorso che si esonera dal legame con la materialità dell’esperienza, che si produce nell’assimilare le rappresentazioni mainstreaming – e, d’altra parte, l’autrice dichiara di interloquire con quella parte del pensiero italiano che può essere messo sotto il titolo di “differenza politica”.
Quel che sembra trionfare, in accordo con i principi del neoliberismo, è l’idea dell’emancipazione femminile come inclusione efficace entro l’ordine vigente: le donne appaiono così come una risorsa, se non la risorsa per eccellenza, del nuovo ordine economico, sociale e lavorativo: sono più duttili, pragmatiche e – incredibile a dirsi – “più razionali” (p. 54). Insomma, il “fattore D” individuato dalla Bocconi. Molte, come ad esempio la blogger e pamphlettista Jessica Valenti, etichettano questa vicenda di successo con il nome di femminismo. Ma abbiamo esempi anche nazionali di questo cortocircuito, basti pensare alla giovane donna che definiva la sua partecipazione ai festini sesso e potere nostrani come la piena realizzazione del femminista “io sono mia”.
Non sono solo le donne delle nuove generazioni a sostenere l’equivalenza successo-libertà. Esiste anche una retorica tutta al maschile che designa le donne d’Occidente – e dunque la relativa way of life – come il paradigma della libertà. Ritorna infatti l’esempio dell’uso delle donne per giustificare la guerra contro il Medio Oriente che, invece, le donne le opprime, a cui si aggiunge l’esempio paradigmatico di Sarah Palin, donne che “vuole tutto”: maternità, carriera, trucchi e look, passando per feticci un tempo maschili come le armi.
Il libro non si limita a porre l’interrogativo, se questo è il femminismo, ma costituisce un vero e proprio rilancio della sfida. Desiderate, vezzeggiate, sedotte e seduttrici, le donne sono al centro della scena. E’ dal centro di questa scena che riparte il conflitto sul cosa voglio, o meglio, sul cosa vogliamo.
Volere la liberazione, non è voler essere libere nei modi correnti, tanto meno quando si presenta nella versione markettizzata del volere individuale rivolto alle merci, anche quando la merce è il proprio corpo, lisciato, levigato, svelato – questa è la donna a una dimensione. E’ questo il nodo, mi pare, dell’eterogenesi delle istanze femministe: oggi sembra che la libertà femminile coincida senza resti con le possibilità di scelta offerte alle, e assunte dalle, donne stesse. Il desiderio e le sue rappresentazioni sembrano andare in uno.
E’ vero, in Italia, abbiamo avuto il grido che si è posto sul terreno delle rappresentazioni dominanti, con il movimento partito dalle donne di “Se non ora quando”. Eppure, il testo ci mette in guardia dal pensare che questa lotta possa risolversi nello stabilire un immaginario buono e uno cattivo: la lotta è sui criteri stessi del desiderio e della materialità delle vite.
Il desiderio, che non è l’imperativo “godi!” della pornografia – su questo tema è interessante svilupparne la lettura con i testi di Beatriz Preciado – che non è il dispiegamento di una logica del consumo 1+1+1+…, ma che è eccedenza, un non essere “mai tutte”, mai funzionali, mai rispondenti alle rappresentazioni del “femminile”, come le femministe della differenza leggevano il seminario XX di J. Lacan,Ancora.
Eccedenza del godimento femminile che rende il corpo materno mostruoso – come ce lo raccontava anni fa Rosi Braidotti – inassimilabile, e infatti ancora fa scandalo rispetto alla richiesta di totale disponibilità avanzata dalle nuove forme del lavoro (pp. 32-37). Eccedenza che non si acquieta nel conseguimento di una parcella di potere, e che nemmeno lì si rappresenta: cosa rimane dell’eccedenza femminile in figure che esibiscono la dimensione fallica del potere conseguito? Forse rimane il sapore di un che di parodistico, di un eccesso di mascheramento: a una donna è concesso di delirare, dato che non deve mediare tra il fantasma del fallo e il sesso anatomico nella sua fragilità (di nuovo Palin, ma torna anche in mente Lynndie England che riesce a trasgredire la stessa tortura, quasi fosse qualcosa che ha delle regole che lei invece ha infranto).
La questione allora è tornare a quel nesso dirompente che si è costituito attraverso un certo femminismo, quello che ha messo in questione l’uguaglianza come meccanismo di inclusione e assimilazione entro un quadro di principi e valori già dati, a cominciare da quello per eccellenza del potere.
Dicono Carla Lonzi e Rivolta femminile in Sputiamo su Hegel:
“non c’è dubbio che la liberazione della donna non può rientrare negli stessi schemi (…) si vanifica il traguardo della presa del potere”.
 La liberazione secondo differenza ha significato, e torna a significare, una postura di radicale e incarnata incredulità, da cui generare un’altra idea di libertà, consistente di relazioni, resistente nei corpi, sempre più estesa di una mera affermazione egotista.