Secondo incontro – Intervento di Alessandra Chiricosta

La prima riflessione mi è sorta nella lettura dei “miti”. La nostra Simone decide, come ahimè molte e molti altri, di prendere per buona la visione Hegeliana del cosiddetto “Oriente”, considerando tutta la tradizione asiatica come immobile…è più forte di me, non riesco a non vedere in questo processo di “Alterizzazione” dell’Asia la stessa dinamica che consegna la donna al suo “destino” di equiparazione alla natura. Ed è un peccato, perché in Asia, nonostante il pervicace patriarchismo che contraddistingue molte delle sue culture, avrebbe trovato miti interessanti, soprattutto perché non solo parlano di donne, ma sono creati in lignaggi femminili…quello che mi viene da pensare è che forse ci sia una stratificazione diversa, anche all’interno dei miti nostrani – è quello che suggeriscono alcune ricerche in campo storico religioso. Ovvero: di immagini di donne ce n’erano di più, e di diverso tipo, che sono state poi modificate e piegate dal e per l’immaginario maschile. Mi viene in mente l’esempio della statuetta cretese bollata come  “magna mater”  e in realtà rappresentante una Dea guaritrice….insomma, le interpretazioni successive hanno ignorato che i fiori di cui era adorna la sua corona erano papaveri da oppio e che stringeva in mano due serpenti, perché la sua stessa presenza veniva a negare l’assunto che ciò che in una donna si potesse anticamente venerare era unicamente la sua funzione riproduttiva.
La seconda riflessione concerne il rapporto con il ciclo mestruale. Come Claudia (ciao brù) accennava, la concezione medica cinese, daoista soprattutto, assegna un ruolo diverso al sangue mestruale. In esso viene vista l’energia propria del corpo femminile, così come quella del corpo maschile è rappresentata dallo sperma. Alcune scuole daoiste, fondate da donne, hanno sviluppato sistemi di “alchimia interiore” atti a modificare il flusso mestruale in modo naturale, per non perdere energia vitale. Così come l’uomo doveva sublimare la sua energia spermatica, attraverso una pratica meditativa e psicofisica chiamata “cavalcare la tigre bianca”, così le donne (ne abbiamo attestazione dal 900 d.c. in poi, ma forse è una pratica anche precedente) dovevano “decapitare il drago rosso”, ovvero sublimare il sangue mestruale. L’idea era che le donne durante il ciclo perdono energia: rigirando il processo al contrario, le energie vengono riguadagnate al corpo femminile, e messe a disposizione per qualcos altro – in questo caso la ricerca dell’immortalità, ma questa è un’altra storia.
Questo è quanto più interessante quanto più contrasta con il pilastro “generativo” che regge la cultura confuciana (opposta, sotto molti aspetti al daoismo ma dominante nella politica e nell’etica cinese classica). La genealogia, il lignaggio è ciò che regge il sistema statale e familiare confuciano, che, per questo, condanna la donna ad una schiavitù perenne al maschile. Avere un erede maschio è la conditio sine qua non dell’esistenza di una famiglia e di ogni suo membro. Per questo, l’idea che una donna possa decidere di dedicare la sua propria energia generativa a se stessa mi sembra particolarmente significativa. Mi sembra una buona chiave di lettura anche per leggere diversamente l’idea di De Beauvoir della “schiavitù” della specie. Ovvero: se si esce dal solco cartesiano della dicotomia pensiero/ materia, natura/cultura, si può anche arrivare a pensare e praticare un modo creativo di incarnare la propria “naturalità”. La pratica della decapitazione del drago rosso, poi, è reversibile…porta la donna a poter decidere quando essere fertile. Il tutto tramite una consapevolezza corporea che crea cultura e lignaggio…
Alessandra Chiricosta
Alessandra Chiricosta

Alessandra Chiricosta, filosofa, storica delle religioni specializzata in culture del Sudest asiatico continentale dell’Asia Orientale, ha compiuto studi e ricerche sul campo in queste aree. In particolare, si occupa di questioni relative alla filo (...) Maggiori informazioni