Maria Luisa Boccia. Con Carla Lonzi. La mia vita è la mia opera, Ediesse, Roma 2014

Maria Luisa Boccia. Con Carla Lonzi. La mia vita è la mia opera, Ediesse, Roma 2014

di Gaia Leiss

 

L’ultima cosa che Maria Luisa Boccia desidera, si legge nell’introduzione di questo testo, è essere considerata una “specialista lonziana”: perché allora scrivere ancora su Carla Lonzi? Nel 1990 Boccia ha già pubblicato una monografia sul vissuto e sul pensiero di Lonzi, L’io in rivolta (1) ne era il titolo. Per quanto anche allora – come viene raccontato nelle prime pagine – l’interesse per quella donna ormai scomparsa originasse da accadimenti di vita personale,  all’epoca si era trattato di un testo pensato per gli altri, per riportare Lonzi a un’attenzione più ampia: l’intento insomma era divulgativo. Con Carla Lonzi nasce invece da una necessità più interiore, un lavoro – ho sentito l’autrice affermare recentemente – compiuto in primo luogo per sé. Si potrebbe dire per focalizzare l’attenzione su alcuni punti centrali, da lei vivamente sentiti e la cui elaborazione si è compiuta nel dialogo serrato con il testo dell’altra donna. L’augurio è che questa operazione possa funzionare come “tramite per il riconoscimento tra pratiche di donne differenti” (p.11), nella convinzione che le donne del presente vivano “la stessa sfida” di Lonzi. Una speranza che si radica in primo luogo nel convincimento che  sia “possibile trovarsi coinvolta in un rapporto tra donne, serrato e fecondo, affidandosi solo alla parola scritta. E ritrovare nel pensiero di una donna una fonte da cui far sgorgare il proprio pensiero.” (p.7) Ed è proprio la peculiarità stessa del testo di Lonzi a presentarsi come prova di quella possibilità: nella sua capacità di non separare mai pensiero ed esperienza, di mostrare nella scrittura quella non separazione che è sempre così difficile da nominare; cosicché chi legge è sollecitato a “intraprendere la stessa strada”, e tutto ciò senza che mai si attivi un dispositivo di esemplarità. Questo della scrittura, e in particolar modo della scrittura autocoscienziale di Lonzi come modo altro di trascendere il vissuto, capace di dare vita a un pensiero per tutti che però sfugga alle trappole di un universalismo neutro, è uno dei punti molto insistiti nel testo. Lo è insieme ad altri due, fra loro connessi: uno riguarda l’idea che il fulcro stesso del pensiero della differenza sia l’aver posto una trascendenza femminile autonoma, l’altro riguarda il rapporto con l’uomo.

In un memorabile passo di Sputiamo su Hegel Lonzi afferma: “La donna deve solo porre la sua trascendenza. I filosofi hanno davvero parlato troppo: su quale base hanno riconosciuto la trascendenza maschile, su quale base l’hanno negata alla donna? È di fronte all’efficacia dei fatti che si risale a una trascendenza e la si considera come atto d’origine, mentre la si nega ove non ne esista la conferma nel costituirsi di un potere.” (2)  La civiltà patriarcale secondo Lonzi non ha voluto (o forse saputo?) riconoscere nell’atteggiamento esistenziale della donna un diverso tipo di trascendenza, e ha affermato invece il proprio attraverso una dinamica prevaricatoria. La donna deve quindi “solo porre la sua trascendenza”. Come sottolinea Boccia il “solo” non è ovviamente messo lì a sminuire l’impresa, ma a sottolineare che quello “e non altro, è il mutamento da produrre se si vuole davvero risolvere la gerarchia tra i sessi” (p.87). Il punto di vista dell’autrice, più volte ripreso nel testo, è che questa diversa trascendenza possa ricondursi principalmente all’affermazione di “un differente principio di piacere e di realtà” (p.15), il cui risvolto cruciale sta nel rifiutare che questi due principi siano condannati a un conflitto eterno e irrimediabile. Scrive Boccia: “Per Lonzi, qui la radicalità, non c’è principio di realtà senza principio di piacere. Detto altrimenti, se per avere presa sulla realtà una donna deve rinunciare al proprio piacere, al proprio desiderio, una donna avrà un’esistenza non libera, non compensata da alcuna realizzazione.” (p.67) Tanto è cruciale questo punto per l’autrice che di esso si sostanzia la risposta soggettiva alla domanda “perché Lonzi oggi?”: perché in lei si trovano “uno stimolo e una promessa”. Stimolo a essere esigenti con sé stesse tanto nella vita pubblica che in quella privata, promessa che questo impegno venga premiato trovando il modo di coniugare principio di piacere e principio di realtà (p.70).
Ma è proprio la questione del principio di piacere che ci riporta a quella della relazione con l’uomo. Fare il femminismo come Lonzi lo ha inteso ha significato affermare un principio di piacere in proprio, separato da quello maschile: spezzare tanto la gabbia della complementarietà quanto quella dell’opposizione lineare. E’ il venir meno della “necessità di affermarsi con o contro l’altro, comunque in costante riferimento all’uomo.” (p.89) Questo passaggio, necessario al porsi della donna come soggetto, non rappresenta tuttavia l’esclusione dell’uomo dagli orizzonti dell’esperienza femminile. Secondo la visione di Boccia, se Lonzi nel separatismo ha scoperto e inventato le relazioni di riconoscimento fra donne come fondamento della libera soggettivazione femminile, come modo “per trovare una mediazione appropriata fra sé e il mondo”, ella tuttavia non ha mai rinunciato all’aspirazione “ad ottenere riconoscimento anche dagli uomini” (p.90). Testimonianza incontestabile di questo atteggiamento è Vai Pure, testo a due voci in cui Lonzi si confronta con il compagno Pietro Consagra proprio sul punto della “duplicazione della coscienza sul mondo”. Ed è appunto, nota Boccia, anche e soprattutto dopo aver detto “Vai pure..” che si può aprire lo spazio della libera relazione fra coscienze basata sul riconoscimento della reciproca differenza; e ancora, è proprio su questo punto che il femminismo continua a correre il rischio di arenarsi. Secondo l’autrice infatti  la mancanza di una parola autentica sulle relazioni – di qualunque natura esse siano – che intratteniamo con gli uomini può rappresentare un serio ostacolo al pieno dispiegarsi della libertà femminile nel mondo: la messa in guardia rispetto a questo pericolo è un elemento presente nel pensiero di Lonzi che non ha ricevuto l’ascolto meritato.
Ma perché il pensiero di questa femminista delle origini non  ha avuto mai più di tanto successo? L’ipotesi che questo testo ci propone suona così: quello di Lonzi è un pensiero che richiede troppo. “E’ infatti incredibilmente faticoso – scrive Boccia – corrispondere alla sua pretesa costante di smantellare ogni acquisizione in nome dell’autenticità. Non potersi mai acquietare, mai poggiare su una verità conquistata.” (p.80) Io non so se sia questo il motivo della diffusione in fondo limitata del pensiero di Lonzi, sicuramente però è uno degli elementi che suscitano la passione per lei in chi è disposto a lasciarsi coinvolgere. La grande libertà che il testo di Lonzi mostra, più che teorizzare, fa sì che valga ancora la pena scrivere e pensare con lei come l’autrice fa. E credo anche che questo scrivere e pensare possa essere davvero occasione di incontro fra donne che hanno presenti esperienze differenti. Forse il testo di Lonzi, che mostra con vividezza e racconta con precisione l’esperienza di una donna che aveva presente l’essenziale, che è così fertile e vivo, ma che tuttavia rimane un testo – fatto quindi di mediazioni scelte e ragionate –, può essere a sua volta mediazione nelle relazioni che abbiamo con altre donne in carne e ossa. Relazioni nelle quali, esattamente per la loro natura incarnata, non mancano mai elementi di opacità. Può cioè forse aiutare a porci reciprocamente le domande giuste, a rispondervi con autenticità, ad ascoltare le risposte della altre con mente sufficientemente sgombra. Rileggendo Lonzi insieme a Boccia, di domande me ne sono venute in mente almeno due. Per certi versi sono ovvie, ma le risposte, anche nel circolo delle mie relazioni più strette, improvvisamente mi sono apparse più sottointese che esplicite. Lonzi ci ha dato conto di cosa è stato per lei il riconoscimento fra coscienze femminili e che ruolo ha avuto nel suo nascere a soggetto: che cosa è per noi oggi il riconoscimento fra coscienze femminili? E che ruolo ha nel nostro essere soggetti? Lonzi ci ha dato conto della sua relazione con un uomo che amava, e del riconoscimento che da essa si aspettava: come sono oggi le nostre relazioni con gli uomini? E che tipo di riconoscimento ci aspettiamo?

 

1). Maria Luisa Boccia, L’io in rivolta. Vissuto e pensiero di Carla Lonzi, La tartaruga Edizioni, Milano, 1990
2). Carla Lonzi, Sputiamo su Hegel, La donna clitoridea e la donna vaginale e altri scritti, Scritti di Rivolta Femminile, Milano 1974, p. 59.