Lo spazio pubblico di Federica Castelli

Lo spazio pubblico di Federica Castelli

Recensione a cura di Valentina Riolo

Lo spazio, il corpo, la politica. Anzi, diciamolo subito e partiamo proprio da questo: gli spazi, i corpi, le politiche. La riflessione di Federica Castelli (Lo spazio pubblico, Ediesse, Roma 2019) prende le mosse, si sviluppa e offre spunti per pensare e agire in una dimensione che è plurale e relazionale.

I corpi costituiscono il nesso che lega la dimensione spaziale a quella politica, intesa come insieme di pratiche che si danno in presenza e condivisione. Ogni soggetto è corporeo: la soggettività è incarnata e legata al contesto in cui vive, agli spazi che attraversa e a tutto ciò che la circonda, che si presenta come alterità e apertura.

Per questo, ogni soggetto, che è un corpo, è immediatamente politico, inserito in quello spazio «da condividere, da cambiare, da curare» (p. 41) che si presenta come elemento di alleanza tra esseri umani che cercano di costruire una visione alternativa a quella imposta dall’ossessione neoliberista per la quantificazione che costringe ogni individuo a essere soggetto e oggetto di valutazione continua e costante. In opposizione a uno spazio misurabile e gestibile, l’attraversamento operato dai corpi negli spazi scompagina la ripetitività e la cadenza dei controlli e crea forme e pratiche nuove e in divenire.

Il pubblico, nella ricostruzione dell’autrice, è un tema di interesse sia per il panorama accademico sia per lo scenario politico – intendendo, con esso, solo in parte il livello istituzionale a favore della dimensione della partecipazione, delle proteste, delle pratiche agite dai soggetti che quotidianamente abitano gli spazi pubblici. In questi spazi, gli individui, incontrandosi, si interrogano e li interrogano, ne fanno parte, stabiliscono nessi di interdipendenza, si legano reciprocamente in base alla contingenza e a partire dalla dimensione corporea che – come si è detto – è incarnata e materiale. Non, quindi, secondo una dinamica proprietaria, ma attraverso un processo di condivisione comunitario.

Nessuna pretesa enciclopedica e nemmeno di esaustività rispetto all’argomento, come sostiene chiaramente Castelli, ma la ricostruzione del tema sulla base dei dibattiti di fine Ottocento e la risignificazione di «un’idea che si radica profondamente nella nostra esperienza sociale […] e che spesso percepiamo come desiderio o mancanza, senza saperla definire oltre» (p. 12), a partire da un posizionamento femminista che non contempla il senso canonico di pubblico come correlato allo statuale, ma lo interroga a partire dai soggetti che ne animano gli spazi.

«La politica ha a che fare con i luoghi in cui nasce» (p.16) e il punto di vista assunto muove da quella prospettiva del conflitto e della differenza che si ritrova anche nelle altre opere dell’autrice.

Particolarmente interessante è il modo in cui Castelli propone e sviluppa le riflessioni offerte da Arendt in merito al senso della politica e dell’essere in comune (non, con questo, volendo accostare l’autrice tedesca al femminismo, ma intendendo che senza dubbio degli strumenti teorici utili al femminismo li ha forniti); dal femminismo della differenza che, diversamente da quello emancipazionista, non ha voluto un’inclusione rispetto al modello dominante, ma ha lottato per l’autodeterminazione e la possibilità di espressione della differenza e della specificità, prima di tutto quella sessuale; dalla prospettiva della gender theory che ha rivolto l’attenzione al modo in cui si sono date la costruzione, la normazione e la normalizzazione delle identità, a partire da quella performatività del genere che precede la formazione dell’io e che la determina, in relazione anche alla reiterazione dei comportamenti previsti nella dimensione sociale («le norme di genere esistono e persistono nella misura in cui vengono agite nella pratica sociale») (p. 112).

In riferimento alla città e alle modalità con cui in neoliberalismo rende accessibile o meno lo spazio urbano, la riflessione si concentra su come le politiche imposte dalla razionalità dominante (nelle particolari e inquietanti accezioni assunte soprattutto negli ultimi decenni) rendano visibili o invisibili alcuni individui e consentano, in altri casi, «l’aggregazione passiva dei soggetti in quanto utenti» (p. 121) che sono smaterializzati, resi oggetto di profilazione, misurazione e mercificazione.

La «miseria di posizione» (p. 137), intesa come impossibilità di realizzazione di esseri umani ridotti alla sensazione di inutilità data dall’impossibilità di adattamento allo standard, alla norma e al normale stabiliti, si presenta allora come ciò su cui è necessario agire, considerando gli spazi di espulsione non come «luoghi di assenza ma presenze tangibili» (p.139) in cui creare nuove appartenenze, attraversamenti, incontri, relazioni e rivolte per riaffermare quel diritto alla città che è stimolo alla formazione di nuove alleanze.

Un esempio in tal senso è fornito dai commons, che sono transitori, basati sul lavoro collettivo e capaci di garantire la riproduzione dei soggetti che ne fanno parte, sono esperienze prodotte dalla presenza, dalla partecipazione e dalle relazioni ivi stabilite e che «non vanno valutate a partire dai criteri classici di efficacia, durata, entità, frequenza, bensì tenendo conto della loro capacità di esprimere ribaltamento di valori e produrre uno scompaginamento delle chiusure e delle dicotomie che costituiscono lo spazio pubblico contemporaneo, l’accesso e la visibilità in esso» (p. 151).

Il testo, è importante sottolinearlo, è estremamente chiaro e accurato sia nella spiegazione dei termini – che spesso vengono utilizzati in maniera indistinta, generando non poca confusione nei dibattiti, ma che qui vengono ben definiti (si veda, ad esempio, la ricostruzione e la distinzione tra “sfera pubblica”, “pubblicità” e “spazio pubblico” a partire dal concetto di Öffentlichkeit di Habermas, quella tra “società civile” e “società politica” in base a come si intende il concetto di “pubblico”, o, ancora, quella tra “folla”, “massa” e “pluralità”) – sia nell’impianto argomentativo.

Ci si avvale, inoltre, di un Glossario composto da una serie di approfondimenti per ricostruire il significato di alcuni lemmi chiave per comprendere il testo e di alcuni suggerimenti bibliografici nella sezione Sentieri per approfondire molto utili per chi volesse continuare ad affrontare i temi trattati nel volume.

Tutto questo, in perfetta linea con lo spirito della collana Fondamenti della casa editrice Ediesse e la sua proposta di divulgazione critica, che ha come scopo quello di fornire elementi per analizzare e ripensare il contesto in cui ci troviamo attraverso una serie di opere che spaziano dalla sociologia alla filosofia, dalla letteratura all’architettura, dalla politica all’economia, mettendo a disposizione chiavi di lettura per orientarsi in un sapere situato e che prende posizione rispetto agli argomenti proposti.

Situate e di parte come, tra l’altro, sono queste righe di presentazione – certamente non esaustive dei temi trattati nel libro, il quale offre ancora molte altre analisi e approfondimenti – e che non avrebbe senso proporre come imparziali quando, invece, sono accompagnate da un forte senso di condivisione rispetto alle riflessioni proposte da Federica Castelli, che risultano sempre appassionanti e appassionate, come gli spazi pubblici che l’autrice quotidianamente attraversa, vive, sperimenta, partecipa e racconta.

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