Julia Kristeva

Julia Kristeva

Introduzione all’opera di Julia Kristeva 

Il pensiero 

Gli interessi scientifici di Julia Kristeva, saggista poliedrica di origine bulgara, vanno dalla linguistica alla semiologia, alla psicoanalisi, alla letteratura del XIX secolo. Esponente di spicco della corrente strutturalista francese e in particolare del gruppo di Tel Quel, Julia Kristeva ritiene che la semiotica sia la scienza pilota nel campo delle cosiddette “scienze umane”. Il suo pensiero si determina come una delle riflessioni più ricche di questo secolo a livello interdisciplinare.

Sono qui proposte alcune delle opere più significative in cui possiamo rintracciare le linee fondamentali del suo pensiero.

Le opere 

 

La rivoluzione del linguaggio poetico (1974), Venezia: Marsilio, 1979.

Kristeva ci parla della letteratura come di una pratica del linguaggio che si costituisce come il campo in cui il soggetto non cessa di essere messo in processo. E non è quel che risulta dal lavoro di un autore, ma il lavoro in cui il soggetto si produce come effetto di una pratica significante. Kristeva parte dall’analisi della svolta verificatasi nella letteratura alla fine del XIX secolo, e in particolare dall’esperienza di Mallarmé e Lautréamont che sconvolge la fonetica, il lessico, la sintassi, le relazioni logiche, l’ego trascendentale. Attraverso questa analisi Kristeva giunge a mettere in relazione il campo marxiano (in cui è in questione la produzione) e il campo freudiano ( in cui è in questione il soggetto) in modo per niente complementare: le esperienze di Marx e di Freud non sono convergenti ma costituiscono articolazioni diverse di quanto la letteratura pratica come linguaggio poetico. La linguistica  cessa di essere una scienza costitutiva, universitaria, mentre in essa si profilano due tendenze inseparabili ma distinte: il simbolico, ordine dell’individuazione, dell’enunciazione, della significazione, e il semiotico, momento d’irruzione della pulsione del linguaggio, ritmo, senso. E nella dialettica di questi due momenti il linguaggio poetico compie la sua rivoluzione. Una rivoluzione non teologica, non risolutiva, in cui le grandi istituzioni occidentali, lo stato, il diritto, la religione, vengono erose da questo lavoro nella lingua.

 

Materia e senso. Pratiche significanti e teoria del linguaggio (traduzione parziale di Polylogue, 1980), Torino: Einaudi, 1980.

Kristeva definisce la “semanalisi” quella semiologia che stringe alleanze con la psicanalisi freudiana e con la sociologia. La semiotica si deve rivolgere alla psicoanalisi per rimettere in questione il soggetto senza di cui la lingua come sistema formale non si realizza nell’atto di parola. Essa deve inoltre indagare la diversità dei modi della significazione e le loro trasformazioni storiche per costituirsi infine come teoria generale della significazione, intesa non come semplice estensione del modello linguistico allo studio di ogni oggetto fornito di senso, ma come una critica del concetto stesso di semiosi.

 

Poteri dell’orrore. Saggio sull’abiezione (1980), Milano: Spirali, 1981.

Questo libro, al di là dell’esperienza psicanalitica che comporta, costituisce una riflessione sul nichilismo moderno e sul suo superamento effettuato dalla scrittura. Kristeva riformula in questo testo la tanto discussa questione della “crisi dei valori” a partire dal  microuniverso della soggettività da cui scaturisce la potenza che sfida il diritto e la ragione. Il recinto al di là della religione e della morale è rappresentato dagli artisti e in particolare dalla scrittura alle prese con l’inoggettivabile e con la pulsione: in altri termini, chi potrebbe parlare dell’abietto meglio di colui che strappa i segni al loro valore denotativo perché dicano l’intermedio, l’incerto, l’in- nominabile? Kristeva individua l’ origine di tali dinamiche attorno al luogo materno. Lo si costituisce separandoci da esso come un oggetto di desiderio e di rigetto: come un abietto. “Il disagio della civiltà non proverrebbe anche e soprattutto dal fatto che nessun codice solido (religioso o etico) ci separa ormai dall’abiezione?”

 

In principio era l’amore. Psicoanalisi e fede (1985), Bologna: Il mulino, 1987, n.ed. Milano: SE, 2001.

 

Analizzando le coincidenze cruciali tra psicoanalisi e fede da un punto di vista laico, Kristeva auspica una condizione esistenziale rinnovata dall’ interesse per l’altro motivato dall’amore e dal dialogo libero da pregiudizi.  Attraverso le possibilità aperte dal lavoro analitico – sperimentando l’insensatezza di tutte le divisioni, di tutte le false fedi che ci allontanano da quell’apertura originaria che noi siamo – possiamo conquistare una natura finalmente sottratta alla chiusura che è tipica di ogni forma di psicosi, di idealizzazione dell’esistente sottratta per quanto è possibile alle inevitabili ferite narcisistiche. Non bisogna dimenticare, infatti, che nella “forma mentis” che appartiene all’uomo arcaico è ancora presente quel “sentimento oceanico” dell’esistenza, quel bisogno insopprimibile di fusionalità che non ha ancora saputo elaborare ma che, secondo Kristeva, è rintracciabile tanto nell’ universo religioso quanto nella pratica analitica.

 

Stranieri a sé stessi (1988), Milano: Feltrinelli, 1990.

Il volume costituisce un classico della letteratura sull’interculturalità. Kristeva, analizza la figura dello straniero nella storia passando in rassegna le principali posizioni assunte dall’uomo occidentale nei confronti dello straniero. Il saggio si conclude con l’analisi dedicata da Sigmund Freud al perturbante (unheimlich). Discutendo di Freud la Kristeva sottolinea come ognuno di noi sia, in fin dei conti, “straniero a se stesso” e che da ciò derivi la necessità di assumere come propria l’etica dell’improprio e la leggerezza costituzionalmente cosmopolita che essa suggerisce, così da facilitare una maggiore permeabilità delle istituzioni allo straniero.

 

La testa senza il corpo. Il viso e l’invisibile nell’immaginario dell’Occidente (1989), Roma: Donzelli, 2009.

Con una prosa a metà tra il letterario e il filosofico, e un ricchissimo apparato iconografico, il libro ripercorre una storia per immagini del visibile in Occidente, e diventa l’occasione per un ripensamento di alcune sue specificità, come l’importanza delle icone, che per i bizantini equivalevano non solo a una forma d’arte visuale ma anche a una forma di scrittura. Quel che infatti vediamo in un’icona è l’economia di ciò che non vediamo; essa è uno stimolo tanto a vedere quanto a pensare ciò che non è visibile. L’icona possiede dunque in sé una dimensione realmente minimalista: la sua essenza è assente da ciò che mostra. Da qui il rimando alla crisi dell’arte contemporanea che, dice Julia Kristeva, «è visivamente povera». Ecco perché stabilire una correlazione tra la testa narrata e il corpo assente, tra il visibile e l’invisibile, apre un nuovo spazio per la teoria, a sua volta rimasta celata dietro il visibile. La grande intellettuale francese sostiene con forza «la necessità dello sguardo, la necessità di guardare alla raffigurazione in sé, ma anche la necessità di vedere ciò che non viene raffigurato, per esempio la violenza della morte, la depressione, la castrazione e i tanti altri aspetti correlati alla mutilazione».

 

Le nuove malattie dell’anima (1993), Roma: Borla, 1998.

La pratica psicoanalitica recente scopre dei “nuovi pazienti”. Al di là delle apparenze classiche, isteria o nevrosi ossessive, le ferite narcisistiche, i rischi di psicosi, i sintomi psicosomatici mostrano tutti una particolare difficoltà a rappresentare. Lo spazio psichico, questa camera oscura della nostra identità dove si riflettono nello stesso tempo il male di vivere, la gioia e la libertà dell’uomo occidentale, sta sul punto di scomparire? L’insieme di questi studi pone una domanda allarmante che rivela non soltanto un’urgenza terapeutica, ma anche un problema di civilizzazione.

 

Il rischio del pensare (intervista a Marie-Christine Navarro, 1998), Genova: Il melangolo, 2006.

Kristeva ritorna con insistenza sul tema della rivolta nelle due interviste concesse a Marie-Christine Navarro, che compongono Au risque de la pensée. “La rivolta costituisce la nostra intimità psichica, la vita psichica, lo psichismo come vita”: si tratta di una ribellione in nome della libertà che non vuole ridurre l’individuo a un dis-adattato della produzione, quando il consumo spacciato per vita non è altro che il pallido simulacro di un’ingannevole sublimazione. Di fronte al rischio di non saper pensare la propria condizione disadattata di individuo omologato dal mercato, Julia Kristeva denuncia l’automatizzazione delle menti: “Nessuno sa più cosa siano il bene e il male, non ‘ci’ si interroga più, ‘ci’ si adatta semplicemente alla logica di causa ed effetto”. Ed è appunto la povertà di pensiero a spingere il soggetto verso le derive (pericolose e pretenziose) del nichilismo, oppure a rinchiuderlo nelle gabbie dei dogmi dove fondamentalismi religiosi, ideologie politiche, mentalità individualiste, culture narcisiste convivono nella grande krasis del moderno. Al pensiero, allora, il più grande rischio: quello di pensare! E con ciò di ri-darsi forma, di formarsi, di trasformarsi di porsi in discussione affrontando la “notte del senso” ora con l’analisi, ora con la scrittura, ora con le complessità simboliche delle culture che sanno spezzare il cerchio autoriflessivo di una comoda e insincera identità. Kristeva si pone nel solco della tradizione umanistica e antinichilista con la convinzione che soltanto il pensiero liberatosi dalle cecità del mondo possa scoprire nell’invisibile quello che è pensabile, radicando l’essere umano nell’unica possibilità per essere o diventare davvero se stesso.

 

Trilogia – Il genio femminile

1-Hannah Arendt. La vita le parole (1999), Roma: Donzelli, 2005.

2-Melanie Klein. La madre la follia (2000), Roma: Donzelli, 2006.

3-Colette. Vita d’una donna (2002), Roma: Donzelli, 2004.

 

L’ iperbole provocatoria di “genio” è stata il filo conduttore che ha aiutato Julia Kristeva a riconoscere il contributo di alcune donne straordinarie che hanno segnato la storia dell’ultimo secolo. È per affinità personale che Kristeva ha letto, amato e scelto Hannah Arendt (1906-1975), Melanie Klein (1882-1960) e Colette (1873-1954) valorizzando il superamento operato nei rispettivi campi di riferimento: la politica, la psicoanalisi e la letteratura. Chiedendosi se questi geni atipici sono dovuti alla femminilità, del resto assai diversa di queste tre persone, Kristeva sviluppa l’ idea che il loro genio affondi le radici in un vissuto psicoanalitico ben preciso che le differenzia dall’ uomo.  La difesa del legame, della vita del pensiero e di una temporalità che sempre ritorna, si fanno tratti indelebili dell’ opera del femminile che ha saputo rimettersi in contatto con l’ ordine arcaico – materno o meglio definito da Kristeva “semeiotico”.

 

Teresa, mon amour. Santa Teresa d’Ávila: l’estasi come un romanzo (2008), Roma: Donzelli, 2009.

Il romanzo costituisce una dettagliata ricostruzione dell’universo mentale e del malessere psicofisico della santa che diviene lo spunto per una profonda riflessione sul nostro attuale bisogno di credere. Teresa aveva riversato nella scrittura la propria esperienza per sublimare il possesso dell’Altro, dell’Amato, incorporandolo dentro di sé, fino a goderne in ogni parte del corpo. In altre parole, Teresa vive una fede soprannaturale che, secondo Kristeva, esalta il legame amoroso nascosto nella fede.

 

Il bisogno di credere. Un punto di vista laico, Roma: Donzelli, 2006.

In questo libro, che raccoglie assieme al testo della Conferenza di Notre-Dame un ampio saggio inedito scritto appositamente, Kristeva anticipa i termini delle sue nuove sfide intellettuali. Parlarne da laica non le preclude un’attenzione particolarmente sensibile a quel «bisogno di credere» e a quell’elaborazione del dolore che rappresentano uno degli apporti più originali del cristianesimo alla nostra civiltà. La disamina di Kristeva fa perno sulla convinzione che esista un bisogno pre-religioso di credere che nell’esperienza psicanalitica può essere ricercato attorno alla cosiddetta identificazione primaria del figlio col padre. Non si tratta del padre edipico, quello dei divieti. Ma del padre dell’amore, dato che l’autorità paterna è un connubio fra il padre della legge e questo padre che ama. L’acquisizione del linguaggio richiede già questa fiducia di sé che ci viene data dal padre che ama.

 Scheda a cura di Chiara Giacani