Le figlie dell’acqua

Le figlie dell’acqua

di Eleonora Diamanti

Ho appena ricevuto un messaggio che non avrei voluto leggere. “È morta Cuca”

Fisso lo schermo per un po’. Cuca era una di quelle persone che pensavo immortali. Il nostro incontro era ancora vivido nella mia memoria, e ogni volta che tornavo a Cuba la andavo a trovare. Con l’arrivo dell’epidemia non ho potuto più viaggiare, e lei se n’è andata così, via messaggio.

Cuca mi ha letto l’anima, con delle conchiglie. Si narra che le conchiglie contengano misteri al loro interno. La prima cosa che mi ha detto: “tu sei accompagnata da Ochún.” Aveva ragione. 

Ci sono voluti degli anni di maturazione perché io prendessi veramente consapevolezza della mia parte simanimogenica e della potenza acquosa e torrenziale che mi accompagnava. Per anni l’ho ricacciata in un angolo, finché non ha cominciato a spingere, espandersi e prendere sempre più spazio in me. Non sono ancora arrivata a maturazione, ci vorrà tempo e chissà se ci arriverò mai.

Ochún fa parte del mondo delle divinità che a Cuba vengono chiamate Orishas. Figlie della colonizzazione e della contaminazione. Di quello che Paul Gilroy chiama the Black Atlantic. Gli Orishas hanno viaggiato attraverso corpi neri schiavizzati e sono arrivati a Cuba dalle coste occidentali dell’Africa. Si sono trovati bene sull’isola e hanno prosperato.

Vestita di giallo, sensuale, prorompente, Ochún è l’acqua torrenziale del fiume. Trasporta energia, amore, sensualità, fertilità e potenziale di relazione. Quando era giovane mia madre ascoltava sempre le canzoni di una cantante americana famosa. Vestita di giallo, nel mezzo di un fiume di acqua corrente e reminiscente delle sue radici africane e creole, cantava la sua tormentata storia d’amore romantico. Il marito la tradiva con altre donne e lei si sentiva messa da parte, sminuita, tradita nel corpo e nell’anima. Come se non ci fosse altra possibilità al di fuori di quella relazione. Perdonava e restava. Vestita da Ochún cantava: what’s worst, looking jealous or crazy?

La mia generazione ha molto discusso di amore romantico e le donne si sono liberate da alcune briglie patriarcali. Il matrimonio etero-monogamo è diventato illegale. Più le donne si dimenavano e si liberavano dai limiti del patriarcato, più l’acqua aumentava. Quando ho compiuto 25 anni i fumi, i laghi, i mari e gli oceani prosperavano. Il mio legame con l’acqua si rafforzava. Mi incuriosivano le mutazioni bizzarre di alcuni esseri viventi acquatici.

La remora per esempio. Curioso pesce dalla testa piatta che fa una vita simbiotica. Ha sviluppato una ventosa attraverso cui si attacca ad animali più grandi. Si fa trasportare e nutrire. Non fa né male né bene al suo animale ospite. Quando lo squalo o la tartaruga mangia, lei raccoglie le briciole del loro pasto. Quando nuota, lei li accompagna e viaggia.

***

“Pensa se sviluppassimo una modalità di vita simbiotica!” Dissi ad Alice. 

“Del tipo?” mi chiese lei corrugando la fronte. 

“Immagina, entriamo in simbiosi con delle nuove modalità di vita. Se imparassimo dalla remora?” Alice era un’entusiasta di natura, come me. Del resto ci eravamo trovate a lavorare a progetti di ricerca proprio grazie a questa similarità. Sentivo che anche lei era accompagnata dall’acqua. Un’acqua più accogliente e nutriente che prorompente come la mia. Vestita di blu, era Yemayá, l’Orisha di mare, oceani, acqua salata, protettrice di tutti gli esseri acquatici. Volubile come l’acqua del mare piatto o in tempesta, protegge e distrugge. Alice sorrise.

Mesi dopo questa conversazione eravamo in laboratorio con il prototipo di primo robot-simbionte che avevamo chiamato la Remoroide. L’idea era che il robot imparasse dalla remora le sue abitudini simbiotiche e di commensalismo. Di vita in connessione con altri esseri. La sperimentazione prevedeva che la Remoroide vivesse prima in simbiosi con i suoi ospiti acquatici. Dopo questa prima fase, la Remoroide avrebbe vissuto in simbiosi con me. Se l’acqua avesse continuato ad aumentare prima o poi avremmo dovuto adattarci a nuove modalità di vita, e questa era un’occasione imperdibile. Lei avrebbe imparato da loro, ed io da lei, in simbiosi.

La Remoriode è attaccata al mio braccio da oramai venti mesi e dodici giorni. Si nutre di quello che la mia pelle lascia andare, è cresciuta di cinque centimetri.

Chiamo Alice. “Sono agitata.” “Perché?” “La notte dormo male. Di giorno sento delle vibrazioni strane quando mi avvicino a determinate persone. Non mi era mai successo prima.”

Nelle notti sempre più insonni leggo tutto ciò che trovo sulla remora. Scopro che “avere una remora” veniva usato come metafora dalle generazioni passate per indicare un ostacolo, spesso futile, verso il progresso, l’efficacia, il successo, l’azione. La remora era insomma una figura anti-progresso, per futili motivi.

Leggo i diari di colonizzazione di Cristoforo Colombo e scopro che incontra la remora proprio a Cuba. Tutte queste connessioni mi esaltano. Giunto a Cuba, sulle coste della provincia orientale di Holguín, Colombo osserva delle tecniche di pesca locali a lui sconosciute. I pescatori utilizzano il potere simbiotico delle remore per catturare i loro ospiti. Attaccate a delle lenze, le remore si dirigono verso i loro ospiti preferiti: tartarughe, squali, pesci luna. Una volta che la loro ventosa fa presa sul loro corpo i pescatori tirano a sé la lenza, e con essa la remora e l’ospite. Quando l’ospite viene tirato fuori dall’acqua la remora lascia la presa per istinto di sopravvivenza, ricadendo nel mare. L’ospite viene catturato dai pescatori. Essi fanno esattamente ciò che la remora suggerisce loro di non fare e ne sfruttano le sue potenzialità simbiotiche. Sono spregiudicati, non hanno remore. Regalano a Colombo delle tartarughe marine.

Tra le letture notturne sulla remora, mi imbatto nel poeta e scrittore inglese John Milton e il suo breve trattato La Dottrina e Disciplina del Divorzio scritto 500 anni fa, nel 1644. Vi difende il diritto al divorzio etero-monogamo per entrambi i sessi. Milton scrive: Quale potente e invisibile Remora è cosi attaccata al matrimonio per opporsi strenuamente a tutte le possibilità di divorzio?

Il giorno dopo questa lettura stacchiamo la ventosa dal mio braccio. Il protocollo di sperimentazione prevedeva di dividere la Remoroide da me una volta compiuti i 24 mesi. Le sensazioni sono molteplici. Lei si è nutrita, ha viaggiato con me ed è cresciuta. Io sento dei cambiamenti. Non ci sono squame o ventose sulla mia pelle, ma un senso di attrazione verso determinati esseri animali che non so descrivere. È un’attrazione magnetica e chimica.