Sofia e la generazione trans-sim

Sofia e la generazione trans-sim

di Dani Martiri

Nell’Europa meridionale, le Comunità del Compost arrivarono più tardi rispetto a quelle nate negli Stati Uniti. I canali di informazione, dopotutto, erano rimasti gli stessi del Capitalocene e dell’Antropocene ancora a lungo dopo la diffusione della visione compostista del mondo.
Le esperienze delle prime comunità erano state essenziali ma poi ognuna si era adattata al luogo in cui era nata, sviluppandosi a velocità variabili, anche in territori molto più ristretti di quelli nordamericani.

Sofia nacque a Roma nel 2100, incarnando la terza generazione compostista della città. Sofia fece un percorso diverso dallə suə antenatə sim-, lə qualə erano statə legatə geneticamente dalla nascita alla Psittacula krameri, il pappagallino verde che ormai popolava Roma da almeno un secolo, ma che aveva iniziato ad essere soffocato dallo smog.
Sofia decise, compiuti 15 anni, di cambiare simbionte. Non si riconosceva in quello assegnatole alla nascita, inserendosi così in una genealogia quasi dimenticata, quella delle persone transgender, che avevano lottato per i propri diritti ad essere riconosciute con un’identità di genere scelta da loro. Il genere era ormai impercettibile nella società, ma le lotte transfemministe avevano nutrito Sofia di idee rivoluzionarie.

Piuttosto che creare alleanze basate sulla sua conformità con il simbionte che era già stato dellə suə antenatə, Sofia si impegnò affinché non fosse impedito né a lei, né allə suə coetaneə, di affermare il proprio sentire e compiere le proprie scelte autonomamente. Sofia non intendeva sacrificare lo scopo della comunità ai propri interessi ma affermare quelli di compostistə romanə che erano emersə ed avevano espresso necessità simili. D’altronde, anche chi ancora ai suoi tempi trovava rifugio nella comunità, e aggiungeva nuove complessità, spesso rifiutava alcune pratiche; non tuttə abbracciavano la genitorialità al di fuori della coppia e non tuttə amavano l’idea di legare ə neonatə ad un simbionte non umano.

Sofia si impegnò affinché lei e lə suə compagnə potessero intraprendere un percorso di transizione entro i loro termini e senza forzature da parte dellə scienziatə che, come era successo per le persone transgender, si occupavano del loro percorso ma non erano coinvoltə in prima persona, oppure imponevano le loro visioni. Scienziatə delle comunità compostiste e persone trans-sim, come si erano ribatezzate, immaginarono insieme un nuovo ventaglio di opzioni chirurgico-estetico-genetiche e portarono avanti un’ampia opera di informazione per tutti i membri della comunità. Oltre a Sofia, moltə suə compagnə avevano seguito una strada simile, alcunə sentendosi di integrare due o più specie, alcunə riducendo il numero di tratti che ci si sarebbe aspettatə acquisisse in quanto sim-.
Alle invadenti preoccupazioni dellə adultə, Sofia opponeva la spiegazione che ci si sarebbe dedicatə alla propria specie compagna molto più facilmente se la si fosse scelta e che non c’era bisogno di essere legatə dalla nascita a una specie per empatizzare con essa. Non sarebbe mai rimasta una sola specie locale in pericolo senza un sim- umano ora che le popolazioni compostiste erano cresciute di numero in tutto il mondo.

La costruzione del rapporto simpoietico, della comunicazione e della nuova comprensione profonda dei rifugi e dei corridoi della specie scelta erano nelle mani della persona. Per Sofia si era trattato del Thunnus thynnus, il tonno rosso, la specie ittica più ambita al mondo e concentrata nel Mediterraneo, considerato il mare più sfruttato del pianeta già prima dell’avvento delle proto-comunità compostiste. Grazie ad una riduzione nel consumo di pesce avviata da attivistə prima che le comunità del compost si diffondessero, molte specie marine erano sopravvissute alle più oscure previsioni, secondo cui gli oceani sarebbero rimasti vuoti entro il 2048.

Sofia iniziò la sua transizione facendosi sostituire le piume verdi che le erano cresciute su schiena e braccia con protesi simili alle caratteristiche pinne blu del suo simbionte non umano, ed aumentando le proprie capacità di apnea attraverso espansori polmonari. Sofia e lə suə compagnə simbionti legatə al mare si impegnarono dapprima ostacolando l’uso delle reti da pesca a strascico, ancora una minaccia concreta, sabotando i pescherecci di ultimissima generazione, mentre qualche alleatə aiutava a riportare in superficie le reti di nylon, rimaste sui fondali per centinaia di anni, e usandole per installazioni artistiche in cui interi palazzi del centro storico di Roma venivano ricoperti da queste fitte trappole, per mostrarne il macabro potenziale.

Nel corso di anni di queste attività, Sofia non smise di domandarsi cosa e come avrebbe insegnato alla prossima generazione. Aveva imparato a conoscere due specie come suoi simbionti, cosa e quale avrebbe trasmesso alla prossima Sofia?

*Immagine in evidenza tratta dal documentario Seaspiracy di Ali Tabrizi