LIBERE DI DECIDERE SUI NOSTRI CORPI. Per un pieno diritto alla salute

LIBERE DI DECIDERE SUI NOSTRI CORPI. Per un pieno diritto alla salute

Consideriamo la salute come benessere psichico, fisico, sessuale e sociale e come espressione della libertà di autodeterminazione. La salute non è dunque rappresentata dalla semplice assenza di malattia e infermità. Nell’affrontare il tema della salute a partire da queste premesse, è per noi necessario rimettere al centro i corpi e i desideri, i bisogni e le condizioni materiali d’esistenza. Inoltre vogliamo valorizzare il piacere come cardine della salute sessuale. La salute sessuale deve perciò essere slegata dalla sola dimensione riproduttiva e medica; in quest’ottica riconosciamo la violenza istituzionalizzata che agisce sui corpi e le soggettività considerate “fuori dalla norma”, attraverso processi di patologizzazione e medicalizzazione forzata.
Denunciamo pertanto la pratica della rettificazione neonatale dei genitali per le persone intersex1 come una violenza e ne esigiamo l’abolizione, anche in un’ottica di superamento del binarismo di genere. La rettificazione neonatale avviene tramite un processo di operazioni chirurgiche e di pratiche mediche e farmacologiche messe in atto sui corpi di neonat@ e bambin@ intersex¹ per modificare i loro organi genitali (interni ed esterni) e renderli conformi alla norma. Queste operazioni avvengono senza il consenso delle persone interessate e hanno conseguenze molto gravi per la loro salute sessuale e riproduttiva, oltre che psicologica.
Altrettanto, le procedure e il trattamento dei percorsi di transizione devono essere ridefiniti fuori da ogni logica patologizzante: non dovrebbe essere necessario, infatti, sottostare a una diagnosi psichiatrica di disforia di genere per poter accedere ai percorsi di transizione, né doversi sottoporre a operazioni chirurgiche genitali per modificare i propri documenti. Allo stesso tempo, deve essere garantito l’accesso alle terapie ormonali, al sostegno e alle cure per le persone trans in maniera totalmente gratuita.
Il diritto alla salute, anche sessuale e riproduttiva, deve essere garantito pure in carcere, in luoghi di internamento e in tutte le condizioni di autonomia limitata. Questo significa, inoltre, che vanno garantite condizioni di dignità e l’accesso alle cure ormonali alle persone transessuali in ogni struttura limitativa della libertà personale.
Rivendichiamo il benessere dei nostri corpi e l’autodeterminazione degli spazi che attraversiamo contro i concetti dominanti di sicurezza e decoro. È necessario cominciare a costruire un territorio in cui le donne e tutte le soggettività possano vivere a partire dai propri desideri e dalla propria libertà.
Riteniamo inoltre che l’accesso ai servizi sociosanitari debba avere carattere universalistico: in questo senso crediamo che non sia più rimandabile un cambiamento dei servizi stessi, per raggiungere una piena inclusione di tutte le soggettività e non solo quelle bianche, giovani, abili, eterosessuali e native. Vogliamo, perciò, un accesso incondizionato al diritto alla salute e al welfare.
In particolare, si pone l’urgenza di svincolare l’accesso alla copertura sanitaria dall’obbligo di residenza per le e i migranti senza documenti e di superare il limite dei tre mesi di presenza certificata sul territorio per accedere ai servizi sanitari.
Pretendiamo che sia garantita la mediazione culturale e la traduzione in tutti i presidi sanitari, nei servizi sociali e nei rapporti con la pubblica amministrazione. Chiediamo l’introduzione in ogni presidio sanitario di figure di mediazione, che provengano da percorsi laici e femministi, volte al riconoscimento della violenza di genere nelle diverse forme in cui si manifesta. La mediazione deve avere il compito di contrastare ogni forma di infantilizzazione dell’utenza dei servizi assistenziali, dando spazio ai diversi modi in cui l’autodeterminazione prende forma e si realizza.
Inoltre la salute sessuale e riproduttiva deve essere garantita anche per i e le sex workers, a cui devono essere forniti strumenti di informazione, di prevenzione e di cura che sappiano tutelarne l’autodeterminazione e la libertà di scelta.
Leggiamo il rapporto tra diritto alla salute e autodeterminazione nel quadro di un progressivo smantellamento del sistema del welfare, di aziendalizzazione, privatizzazione e precarizzazione della sanità pubblica. Mettere in luce la relazione tra condizioni di lavoro delle operatrici e degli operatori e il benessere delle persone che accedono ai servizi è un passo necessario per risignificare il rapporto tra i soggetti coinvolti. L’autodeterminazione si afferma attraverso la riappropriazione e la condivisione di saperi e risorse su cui si fondano il potere medico e l’asimmetria tra persone in cura e personale specializzato, con l’intento dunque di abbattere le barriere che dividono queste due figure.
È necessario aprire terreni di conflitto sul sapere biomedico e sulle sue modalità di trasmissione alla luce dei saperi transfemministi, riconoscendo che ogni persona in cura è portatrice di un sapere, a partire da sé. A partire dal principio di autodeterminazione, contrastiamo il monopolio dei saperi e rompiamo l’asimmetria tra persone che erogano e persone che usufruiscono dei servizi sanitari.

Molto più di 194
In Italia su 94 ospedali con un reparto di ostetricia e ginecologia, solo 62 effettuano interruzioni volontarie di gravidanza; cioè solo il 65,5% del totale. L’obiezione di coscienza nel servizio sanitario nazionale è illegittima perché lede il diritto all’autodeterminazione delle donne, per questo vogliamo il pieno accesso a tutte le tecniche abortive (chirurgiche e farmacologiche) per tutte le donne (native e migranti) che ne fanno richiesta. A partire dalla priorità dell’autodeterminazione delle donne, vogliamo promuovere la de-ospedalizzazione dell’aborto attraverso l’incremento della somministrazione delle pillole abortive. Devono essere modificati e armonizzati a livello nazionale i protocolli di somministrazione: deve essere possibile accedere all’aborto farmacologico² fino a 63 giorni, senza ospedalizzazione, e attraverso una somministrazione che venga fatta anche dal personale ostetrico all’interno dei consultori.
Rivendichiamo l’abolizione delle sanzioni amministrative per le donne che ricorrono ad aborto autoprocurato fuori dai termini di legge, perché costituiscono un deterrente al ricorso a cure mediche in caso di complicazioni, andando dunque a minare la salute e il benessere delle stesse.
Il diritto all’autodeterminazione va garantito anche in caso di una scelta non riproduttiva irreversibile, come ad esempio la chiusura delle tube o la vasectomia.

Contro la violenza ostetrica
Negli ultimi quattordici anni, circa un milione di donne italiane (il 21%) ha dichiarato di aver vissuto esperienze di violenza ostetrica durante il travaglio o il parto.
Per violenza ostetrica si intende l’espropriazione del corpo e dei processi riproduttivi della donna da parte del sistema sanitario. Questa violenza si esprime in un trattamento disumano, nell’abuso di medicalizzazione e nella patologizzazione dei processi fisiologici e mina l’autonomia e la capacità di decidere liberamente del proprio corpo e della propria sessualità, impattando negativamente sulla qualità della vita delle donne. Esempi di violenza ostetrica sono la derisione che molte donne subiscono in sala parto o il giudizio in caso di aborto, l’imposizione della posizione supina per partorire, il taglio del perineo anche se non necessario, l’induzione al parto senza consenso. Anche l’insistenza sul parto ‘naturale’, senza epidurale, è da considerarsi una violenza ostetrica.
La violenza ostetrica deve essere riconosciuta, anche a livello giuridico, come una delle forme di violenza contro le donne che riguarda la salute riproduttiva e sessuale.
La libertà di scelta delle donne va garantita attraverso la promozione della cultura della fisiologia della gravidanza, del parto, del puerperio e dell’allattamento. Inoltre, i dati statistici su indicatori di violenza ostetrica vanno rilevati e pubblicati. Per garantire una piena autodeterminazione anche durante la gravidanza e il parto, vogliamo l’apertura di case maternità³ pubbliche e gestite dal personale ostetrico, nonché il rimborso per il parto in casa riconosciuto dal Sistema Sanitario Nazionale.

Contro le logiche securitarie nei presidi sanitari
Per scongiurare la medicalizzazione e l’istituzionalizzazione degli interventi a favore delle donne che subiscono violenza pretendiamo che nell’elaborazione di qualsiasi iniziativa di contrasto a quest’ultima vengano coinvolti attivamente i CAV laici e femministi. Riteniamo infatti inadeguati e dannosi interventi di stampo esclusivamente assistenziale, emergenziale e repressivo, che non tengono conto dell’analisi femminista della violenza come fenomeno strutturale.
Per questo esprimiamo contrarietà al cosiddetto “Codice Rosa” (codice di accesso al Pronto Soccorso riservato alle donne che subiscono violenza, coordinato da Procura, Regione e Azienda Sanitaria), e ne chiediamo la totale riorganizzazione al di fuori delle logiche securitarie che impongono percorsi obbligati, lesivi dell’autonomia e della libertà di scelta delle donne.

Consultori e consultorie
I consultori vanno risignificati come spazi politici, culturali e sociali oltre che come servizi socio-sanitari, valorizzando la loro storia di luoghi delle donne per le donne. Questa ri-politicizzazione va agita attraverso forme di riappropriazione e autogestione del servizio che ne garantiscano l’apertura all’attraversamento di corpi differenti per età, cultura, provenienza, desideri, abilità e che promuovano il riconoscimento dei saperi transfemministi, prodotti e incarnati dai soggetti.
Promuoviamo la riqualificazione dei consultori pubblici attraverso l’assunzione di personale stabile con differenti competenze e professionalità, in numero tale da garantire la presenza di équipe multidisciplinari complete in ciascun consultorio. Chiediamo il potenziamento e il rifinanziamento della rete nazionale dei consultori nel rispetto del rapporto tra numero di consultori e numero di abitanti sul territorio urbano ed extraurbano, e che sia garantita l’apertura dei consultori in diverse fasce orarie per permettere l’accesso a più persone possibili.
I consultori pubblici devono assolvere al compito di garantire l’accesso alla contraccezione gratuita; all’informazione e alla prevenzione delle malattie sessualmente trasmissibili, garantendo test e screening gratuiti e inclusivi per tutte le soggettività; promuovendo una condivisione di saperi anche in relazione alle pratiche non riproduttive. Inoltre i consultori devono garantire servizi per le donne in menopausa, che evitino di patologizzarle e non trascurino il piacere sessuale.
A tal proposito riteniamo fondamentale che i consultori tornino a svolgere corsi di educazione sessuale ed educazione all’affettività – scomparsi con la riforma Moratti – in tutte le scuole di ogni ordine e grado, per restituire attenzione al corpo sessuato e per contrastare la costruzione di rapporti di potere e discriminazioni eteronormate.
Crediamo sia importante incoraggiare l’apertura di nuove e sempre più numerose consultorie4 femministe e transfemministe, intese come spazi di sperimentazione, autoinchiesta, mutualismo e ridefinizione del welfare, al fine di ripensare e ricostruire processi di circolarità tra nuove esperienze di autogestione e forme di riappropriazione dei servizi; luoghi in cui elaborare strategie di intervento collettivo rispetto all’autodeterminazione di tutt@, alla violenza di genere e dei generi, alla salute e al piacere sessuale.

Note:

1 Termine “ombrello” usato per descrivere persone che hanno caratteristiche sessuali che non rientrano pienamente nelle definizioni di maschile o di femminile. Il sesso biologico delle persone intersex viene considerato incerto a causa di variazioni che possono riguardare i cromosomi, le gonadi, gli ormoni, i genitali o i caratteri sessuali secondari (seno, peli, etc.). Nonostante queste variazioni generalmente non minaccino la salute fisica (solo in certe circostanze ci sono correlati problemi di salute), spesso le persone intersex subiscono, fin dalla nascita o nel corso del tempo, interventi chirurgici e una pesante medicalizzazione finalizzati a rendere i loro corpi conformi ai codici della mascolinità o femminilità e ad assegnare loro a uno dei due sessi. Secondo alcune stime, tra l’1% e il 4% della popolazione nasce con tratti intersessuati.

2 L’aborto farmacologico si ottiene con la combinazione di due pillole, quella abortiva RU486 che blocca la gravidanza e una seconda pillola che aiuta l’espulsione degli ultimi tessuti che si sviluppano nel corso della gravidanza. L’intero processo dura circa una settimana/nove giorni dopo i quali si torna lentamente alla normalità del ciclo. L’aborto farmacologico funziona con una percentuale tra il 92 e il 99 per cento. In Italia può essere praticato fino al 49esimo giorno di gravidanza (mentre nel resto d’Europa è consentito fino al 63esimo) e la somministrazione avviene in ospedale, solitamente con un ricovero di tre giorni. L’aborto farmacologico non va confuso con le pillole del giorno dopo e dei 5 giorni dopo che sono anticoncezionali di emergenza e non farmaci abortivi.

3 Strutture extra-ospedaliere per l’assistenza alla gravidanza, al parto e al puerperio fisiologici. Le case maternità hanno la struttura di una casa e sono interamente gestite dalle ostetriche per garantire non solo una continuità assistenziale, ma anche per offrire possibilità di incontro e di formazione, sia alle ostetriche che alle donne e alle famiglie.

4 Le consultorie sono luoghi dell’autodeterminazione e della scelta libera e consapevole su salute, corpi e sessualità. Nati dalla rielaborazione in chiave transfemminista dell’esperienza dei consultori degli anni Settanta, non vogliono essere un presidio sanitario o un semplice servizio, ma un luogo di autorganizzazione e riappropriazione di sé a partire dalla conoscenza del proprio corpo, dalla condivisione dei saperi. Quindi luoghi in cui socializzare pratiche diffuse sul consenso e sulla condivisione di responsabilità rispetto alla violenza maschile e alle molestie, e dove discutere in modo orizzontale di sesso, di emozioni, delle relazioni fra i generi e praticare il diritto alla trasformazione personale e politica.