Un refugium fatto di storie

Un refugium fatto di storie

di Martina Di Claudio


*Tutte le citazioni presenti sono tratte dal libro di Donna Haraway, “Chthulucene. Sopravvivere su un pianeta infetto”, Nero, 2019

“Anna Tsing suggerisce che il punto di flesso tra l’Olocene e l’Antropocene potrebbe essere la distruzione dei refugia a partire dai quali un giorno potranno riformarsi assemblaggi di specie diverse.” p.144 Qual è stato il mio refugium durante i mesi di lockdown? Verso quale spazio, luogo, dimensione ero tesa a protendere nella fase dell’attesa prima, diventando la frontiera da attraversare poi, quando è diventato sempre più evidente che la pandemia di Covid 19 avrà come improrogabile lascito quello di aver declinato a tutti i livelli la grande urgenza della contemporaneità, ovvero “la distruzione di luoghi e momenti per gli umani e tutte le creature” p.144,“in cui assistiamo non solo alla morte cruenta e superflua dell’esistere e del progredire, ma anche a una necessaria rinascita”. p.13?

Mi sono interrogata a lungo; ho attraversato immagini, intuizioni, ispirazioni. Il mio refugium altro non può essere che questo master. Questa realtà fatta di soggettività, storie, ricerca, studio, scambio…pensiero. Una ragnatela di alleanze che ha saputo trasformarsi per continuare a trasformare. “Per vivere e morire bene da creature mortali nello Chthulucene è necessario allearsi con le altre creature alfine di ricostruire luoghi di rifugio, solo così sarà possibile ottenere un recupero e una ricomposizione parziale e solida della Terra in termini biologici-culturali-politici-tecnologici.” p.146

Il mio percorso di decostruzione di paradigmi antropocentrici verso pratiche di mondeggiamenti sinctonici e simpoietici non so nemmeno se è cominciato; ma certamente si figura come una possibilità. La possibilità che questa ragnatela di alleanze – che ho scoperto attraverso il master e che è, a tutti gli effetti, la mia primissima esperienza di pratica femminista – costruisce e mi suggerisce. “Le femministe sono state le prime a sciogliere i presunti legami naturali e necessari tra sessualità e genere, razza e sesso, razza e nazione, classe e razza, genere e morfologia, sesso e riproduzione, persone che riproducono e persone che compongono. (…) è tempo che le femministe prendano le redini dell’immaginazione, della teoria e dell’azione per sciogliere ogni vincolo tra genealogia e parentela, e tra parentela e specie. (…) Dobbiamo generare parentele in sinctonia e simpoiesi.” p.147

“L’obiettivo è generare parentele – fare kin – attraverso delle connessioni inventive (…) e ricostruire luoghi di quiete.” p.13 “(…) generare parentele di natura imprevista. Questo significa aprirsi a collaborazioni inaspettate, essere pronti a far parte di caldi cumuli di compost.” p.17 Come già mi è capitato di esprimere in uno dei nostri incontri a distanza che segnano le tappe di un viaggio fatto comunque insieme, l’orizzonte entro il quale sviluppo le mie riflessioni e connessioni è ancora strettamente legato alla dimensione interumana. Ma se è vero che “(…) è importante capire quali storie raccontiamo per raccontare altre storie; è importante capire quali nodi annodano nodi, quali pensieri pensano pensieri, quali descrizioni descrivono descrizioni, quali legami intrecciano legami. È importante sapere quali storie creano mondi, quali mondi creano storie” p.27, sono pronta a lasciarmi attraversare da tutte le trasformazioni che potrebbero scaturire da questa pratica femminista “di pensiero e di creazione” p.30. che in questo spazio mondeggiante del master si compone anche di narrazioni. 

“Ci relazioniamo, conosciamo, pensiamo e mondeggiamo, raccontiamo storie attraverso altre storie e insieme ad altre storie, altri mondi, altre conoscenze, altri pensieri, altri desideri.” p.140 Raccontare storie, ricostruire le storie, sperimentare la conoscenza attraverso le storie, esplorare le storie attraverso il racconto sono pratiche che appartengono alla mia storia. La laurea magistrale in Storia, la passione verso la Storia orale scoperta attraverso i corsi universitari della professoressa Maria Rosaria Stabili e gli approfondimenti che ne sono scaturiti, costituiscono il retroterra che mi accompagna fin qui, nonché il nucleo costitutivo della mia personale “sporta del narratore”. 

“Ben presto i compostisti di New Gauley scoprirono che raccontare storie era la pratica più efficace per confortare, ispirare, incoraggiare la memoria, consigliare, compatire, compiangere e con-divenire insieme all’altro in tutte le sue differenze, speranze e paure. (…) L’arte di raccontare storie era quindi il seme migliore per i compostisti, e Camille 1 fu svezzata con i racconti” p.172