Viola Lo Moro – Prove di Forza

da Leggendaria,”Donne al circo”, n. 96, nov 2012, pp.10-11

Prove di forza. Noi e loro.
Parto da un piccolo fatto di cui sono stata protagonista. Ero in motorino e tornavo a casa. Abito a Roma, al pigneto. Per arrivare a casa bisogna percorrere o una grande strada a senso unico, o una vietta che sbuca davanti al portone. Sulla strada converge un’uscita della tangenziale, le macchine si parcheggiano in fila in modo tale che tutte le volte per arrivare dalla piccola strada al portone devo fare 2 metri contromano. Oggi mi sono trovata, nell’affanno di un ritorno gonfio di buste della spesa, la guardia di finanza davanti alla visiera. La volante si è fermata bloccando il traffico e un agente dall’aria sicura di sé mi ha detto: “Adesso fai il giro dalla parte giusta.” E io: “ Guardi, abito qui, non sto facendo il giro.” E lui: “Ah, forse non parlo italiano?” E io: “ Abito qui, ho dovuto fare un pezzetto contromano perché le macchine sono parcheggiate così…” “Fai il giro oppure te lo scrivo sul verbale. Preferisci?” “ Va bene, faccio il giro”.  Sorrido, scavalletto il motorino, faccio 2 metri, e mi riparcheggio ridendo. L’agente stava per scendere dalla macchina ma il collega l’ha fermato. Ridevo ma mi tremavano le gambe. Ho pensato: andate a fare il lavoro vostro con chi ruba davvero (in romano stretto). Poi ho pensato: sono due anni che la guardia di finanza irrompe nell’appartamento abitato dai senegalesi qui vicino, sequestra loro un po’ di merce, li porta dentro, a volte li mena un po’, prende da loro il guadagno del mese. E sono due anni che appena arrivano le sirene, tanti e tante del quartiere scendono per strada e si mettono in mezzo, urlano, contrattano, fanno corpo unico. Ho pensato anche: è tutta la vita che mi danno del tu perché sono una donna giovane.
Cosa c’entra tutto questo con Paestum? Da un po’ mi risuonavano in testa due cose da dire. Uno: ho un problema con questo “noi”, l’ho sempre avuto – “noi giovani”, “noi precarie”, “noi donne”, “noi lesbiche” – e due, mi continuano a girare in testa le parole di Muraro, al di là dei conflitti e dei riconoscimenti, nel gruppo 9, che sembrava chiederci: chi sono poi loro? Quelli contro i quali lottare per avere condizioni di vita e di lavoro? Ho un problema con “noi” giovani così come ho un problema con questo “voi” femministe storiche perché annulla le differenze di percorsi individuali, generalizza e semplifica sia le diverse forme di femminismo storico che si sono articolate negli anni, sia le diverse forme di femminismi più recenti e, infine, cancella l’enorme difficoltà all’interno degli stessi gruppi generazionali di capirsi, di riconoscersi, di superare la frustrazione di non riuscire a cambiare niente. Eppure spesso c’è bisogno di un “noi”. C’è stato bisogno a Paestum di dire: noi giovani abbiamo l’urgenza di parlare di lavoro, di precariato; abbiamo bisogno (sottotesto forse che ho capito solo io) di trovare in voi una sponda per lottare, abbiamo bisogno della vostra autorità, delle vostre intelligenze per andare avanti, abbiamo bisogno che siate un “voi vicino a noi”. E se non ci sarete, forse andremo avanti da sole. Poco importa se questo ha portato per un attimo magicamente ad annullare che io non sia convinta del reddito di esistenza, che lo vogliamo chiamare già in quattro modi differenti; poco importa se facevamo riferimento ad associazioni, linee di pensiero politico-economico, partiti, gruppi, che passano tre quarti del loro tempo a smontarsi a vicenda, poco importa.
E qui mi viene spontaneo passare al loro. Loro esistono, non sono questa massa informe di “altri” che la retorica dominante ci propone solitamente come arabi/e, cinesi, transessuali, rom, clandestini, come le brutte, le grasse, le troppo belle, le rivoltose che spaccano le vetrine, non sono loro. E non sono neanche, e qui parlo alle mie coetanee che fanno tante lotte importanti ma che criticano Paestum, tutte quelle che sono un po’ più borghesi del dovuto, un po’ più bianche, un po’ troppo intellettuali, poco disposte a volte ad essere in prima linea, poco urlatrici.
Loro sono quelli/e che stanno al governo di questo paese, nelle dirigenze dei partiti, che strillano in parlamento, loro sono quelli che continuano a tagliare i costi del lavoro, loro sono i/le dirigenti sindacali che millantano scioperi generali e non ne fanno mai uno perché aspettano che hanno da dire i partiti, loro sono quelli che se vuoi abortire ti rendono la vita impossibile, e forse sono gli stessi che se vuoi invece avercelo un figlio non ti sanno dire come cavolo fare con le spese, i servizi, la scuola, la mensa, se poi sei lesbica o single lasciamo proprio stare. Loro sono i leader di confindustria che parlano d’imprenditoria e se si prova poco poco ad aprire un’impresa piccola e onesta ti mangiano in faccia, anzi ti mangiano la faccia, sono quelli che guadagnano troppo e che non sono disposti a rinunciare a niente, loro sono quelli che sostengono che la testimonianza di una prostituta su una violenza sessuale non vale niente perché è una prostituta, sono quelli che condannano quelle che esagerano perché non hanno decoro e poi dicono che va bene molestare una sottoposta a lavoro perché aveva i tacchi alti e la gonna troppo corta, loro sono quelli che raccontano questa crisi nei giornali, che ci rincoglioniscono di distrazioni, di parassiti (come se il problema fossero i finti ciechi) e non che tutti gli appalti statali sono infestati di mafia, camorra,  ‘ndrangheta. Loro che non vogliono spostare di una virgola quello che c’è. Loro che da questa crisi stanno continuando a guadagnare.
E le femministe cosa c’entrano? Le femministe, noi, c’entriamo sempre. Perché siamo state spettatrici dello sfacelo, ma non ci siamo per niente arrese. Perché proviamo ad avere delle pratiche che spostano sempre l’attenzione dal dialogo alla relazione, perché sappiamo che c’è una disuguaglianza endemica nella civiltà, e qualcuna di noi sa anche che soprattutto non è l’unica. Che se non continuiamo a fare un lavoro serio d’intersezione tra sessismo, classismo e razzismo in questo paese non ci si capisce più niente. Che non basta essere donne per essere migliori, ma che proprio perché si è donne bisogna sempre dimostrare di essere migliori. Io mi sento stroncata a volte ma non mi sento arresa.
 E ora torniamo all’inizio: quando la volante è andata via, ho alzato gli occhi, avrei voluto che ci fosse stata una qualunque di voi a guardare, a rispondere. Perché è vero che poi magari avremmo discusso un’ora se urlare, se menare, se andare alla polizia o se rivolgerci ad un collettivo di compagne, di giornaliste, ma intanto ci sarebbe stata una risposta forte, immediata, comune. Penso che ci siano delle battaglie comuni anche se veniamo da percorsi diversi e anche se non cambieremo mai idea su alcune questioni di fondo. Anzi, questo l’ho sempre pensato. La differenza ora è che non solo possiamo, ma dobbiamo. Dobbiamo perché, come dicevamo con una compagna di Roma, abbiamo una responsabilità enorme; perché sappiamo che andrà sempre peggio. Abbiamo gli strumenti e la sensibilità per sentire l’orlo del baratro ma anche le piccolissime variazioni di corrente, i piccolissimi spostamenti positivi, le enormi lotte quotidiane. Pragmaticamente cosa bisogna fare? Organizzare incontri e assemblee trasversali, locali, nazionali e internazionali, continuare a discutere, a formarsi (ci sono economisti/e che propongono modelli diversi), e poi provare ad esserci tutte (in presentia o virtualmente) nelle lotte delle altre compagne. Non tutte possiamo fare tutto ma tutte possiamo fare da cassa di risonanza. Non esiste il punto zero nella storia, ma esiste sempre il punto subito dopo.
Viola Lo Moro
Abito a Roma, ho ventisei anni e mezzo, ho studiato tra la Sapienza e l’Università per Stranieri di Siena, Lettere, specializzandomi in letterature comparate. Dentro la Casa Internazionale delle donne di Roma sto nel gruppo Costituente. Faccio parte di Kespazio!per una ricerca queer e postcoloniale che, insieme ad altre compagne, organizza le attività del Caffè Letterario della Casa Internazionale.
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