III Incontro – La biologia – Relazione di Livia Geloso

Ho accolto con piacere l’invito di Claudia Bruno e di Federica Giardini a riprendere in mano il “Secondo sesso” di Simone de Beauvoir e a rileggere il capitolo sulla biologia. Questo testo, infatti, si intreccia in vari modi con la mia esperienza di vita, e le tematiche affrontate nel capitolo in questione, in particolare, sono al centro dei miei interessi dalla giovinezza ad oggi. Ho letto, per la prima volta, il “Secondo sesso” quando ero adolescente, nella seconda metà degli anni Sessanta, e quando mi sono laureata in Filosofia, all’Università “La Sapienza” di Roma, nella seconda metà degli anni Settanta, su di esso ho scritto la mia tesi di laurea: “Il concetto di natura nel Secondo Sesso di Simone de Beauvoir”. In quel periodo già facevo parte del Gruppo Femminista per la Salute della Donna (Gfds) di Roma. Il Gfsd ha praticato, insieme ad altri gruppi femministi negli USA, in Europa e in altri paesi occidentali, il self-help femminista, una pratica corporea originale, e lo ha fatto dal 1974 al 1985, anno dello scioglimento del gruppo, diventato nel frattempo anche cooperativa. La pratica del self-help, insieme alla pratica dell’autocoscienza, rappresentano i due apporti assolutamente originali del neofemminismo al campo delle pratiche politiche. Inoltre, ho intrapreso come professione quella di psicoterapeuta corporea, secondo l’approccio denominato Analisi bioenergetica, cosicché le questioni relative alla corporeità, al rapporto “natura/cultura” e alle pratiche corporee continuano a far parte della mia vita quotidiana. Negli ultimi anni, come consigliera di Archivia, il fondo documentale e biblioteca della Casa internazionale delle donne di Roma, sto coordinando l’iniziativaSelf-help riparliamone!, che ha tre finalità principali: la diffusione delle informazioni sulla pratica del self-help; il confronto sul self-help con le nuove generazioni; la ricostruzione della storia delself-help in Italia. La terza giornata d’incontro e di studio si terrà sabato 20 aprile alla Casa internazionale delle donne di Roma, in via della Lungara 19, col titolo: “Self-help, corporeità e generazioni”. Sull’esperienza del self-help vi ho portato un video di 10 minuti realizzato insieme a Marina Stella.

Ripartiamo, ora, dal testo di Beauvoir e, in particolare, dalle pagine dedicate alla biologia. Le citazioni che farò si riferiscono all’edizione de Il Saggiatore del 2002. L’impressione che ho avuto nel rileggere è dovuta anche a tutti i ricordi di situazioni e momenti di quegli anni. Dalla prima lettura nell’adolescenza a quella della giovinezza nel Gfsd molte cose erano cambiate per me. Durante l’adolescenza, avevo aderito completamente alla visione di Beauvoir, sintetizzata nella frase ben nota “Donne non si nasce si diventa”. Negli anni Settanta, attraverso la pratica delself-help nel Gfsd, avevo cominciato a sentire stretta la visione della natura solo come “tiranna”, come “schiavitù”, la contrapposizione insanabile tra individuo e specie, tra donna e specie. Vediamo alcune citazioni. A p. 58 leggiamo: “…si direbbe che il destino si faccia più pesante quanto più ella (la donna) si ribella affermandosi come individuo.” A p. 53: “La donna non permette che la specie prenda possesso di lei senza opporre resistenza, questo conflitto la indebolisce e la espone a molti pericoli (malattie)…”. Vediamo come Beauvoir parla del ciclo mestruale e delle mestruazioni: “Questo è il periodo in cui essa (la donna) sperimenta più penosamente il suo corpo come una cosa opaca, alienata, in preda a una vita ostinata ed estranea che in esso ogni mese fa e disfa una culla…”. A p. 58: “Questa è la conclusione che più colpisce del nostro esame: tra tutte le femmine mammifere la donna è quella che rifiuta più violentemente codesta alienazione…” E della menopausa dice, a p. 56: “Allora la donna è liberata dalla schiavitù della femmina…non è più preda di forze che la travolgono: coincide con se stessa.”

Come sapete, il “Secondo sesso” è stato fonte d’ispirazione per le donne che hanno dato vita al neofemminismo, e come diceva Federica Giardini, in un incontro precedente, Beauvoir, in qualche modo, ha ispirato la pratica dell’autocoscienza, quando auspicava che le donne si confrontassero tra loro per ridefinire in cosa consistesse la loro esperienza di vita. Certo, non poteva immaginare che il confronto e la condivisione prendessero anche una forma corporea, quella della pratica del self-help, di cui vi darò una descrizione in sintesi, anche perché se ne stava perdendo addirittura la memoria, essendoci poche testimonianze scritte. La pratica è iniziata nel 1971 a Los Angeles, da parte di un gruppo femminista, che si rifaceva alla visione postcoloniale delle donne come popolo colonizzato, il cui territorio, i loro corpi, era stato espropriato dal patriarcato e doveva essere riconquistato dalle donne stesse. Il gruppo femminista di Los Angeles si riallacciava, allo stesso tempo, ad una tradizione molto diffusa nei paesi anglosassoni, infatti, nel mondo anglosassone esistono vari gruppi di self-help, (in inglese “autoaiuto”), dei quali il più conosciuto è quello degli “Alcolisti Anonimi”. Questi gruppi affondano le loro radici nei gruppi di autoaiuto sviluppatisi tra le classi popolari durante l’industrializzazione nell’Ottocento. La pratica femminista prese il via con l’utilizzo di uno speculum in plastica, per uso personale, di uno specchietto con lente ingrandente e una torcia a pile. Con questi strumenti le donne del gruppo di Los Angeles, come Carol Downer e Debra Law, praticarono per la prima volta l’autovisita ginecologica, in gruppo e individualmente. Nel 1973 e nel 1974, Carol Downer e Debra Law vennero in Europa a dare dimostrazioni della pratica, invitate da vari gruppi femministi. Per quello che riguarda Roma, Alma Sabatini, del Collettivo femminista di Pompeo Magno, ebbe un ruolo importante nel fare da tramite, e scrisse anche un articolo sull’argomento per la rivista “Effe”. A Roma, la prima dimostrazione si svolse al Ridotto del Teatro Eliseo, e la seconda al Teatro femminista La Maddalena, vicino al Pantheon, e qui io ero presente. Fu un’epifania per me, veramente l’inizio della riappropriazione del mio corpo di donna, proprio perché il tutto si svolgeva insieme ad altre donne. La vagina mi apparve bella nel suo colorito roseo di mucosa, come l’interno della bocca. Volli al più presto rifare l’esperienza su di me, e tutto questo cambiò la percezione dei miei genitali e della mia corporeità sessuata, facendomi sentire orgogliosa e radicata in me stessa.

Attraverso questa pratica osservavamo i cambiamenti dell’apertura dell’utero, l’os (in latino, “bocca”), che quando è chiuso appare come un lineetta, quando comincia ad aprirsi, si stringe e diventa un punto, e quindi si allarga a formare una “o”, da cui esce il muco dell’ovulazione, durante il periodo ovulatorio, o il flusso mestruale, durante il periodo mestruale. Voglio dirvi qualcosa sul muco dell’ovulazione e sul flusso mestruale, qualcosa che ha a che fare con la “bellezza” e con la “riappropriazione”. Durante il picco degli estrogeni che determina l’ovulazione, se prendete tra il pollice e l’indice un po’ del muco che fuoriesce dall’utero e allontanate le dita, vedrete che il muco si dimostra “filante” fino a 15 cm; e se lo mettete su un vetrino e lo ponete sotto la lente di un microscopio, vedrete che cristallizza a felce, come i fiocchi di neve. Uno spettacolo di bellezza naturale! Ed ora qualcosa sul flusso mestruale. Nei gruppi di self-help facemmo pace con le mestruazioni, cercammo in esse qualcosa di positivo, così come nella ciclicità, e riscoprimmo il tempo ciclico, accanto a quello lineare. Anche il sangue mestruale ci apparve bello nel suo fluire, e cercammo modi di rapportarci ad esso, soprattutto, non ce ne vergognammo più. Ci facevamo l’autovisita quasi tutti i giorni per un anno così da seguire i cambiamenti nell’arco delle quattro stagioni e compilavamo schede. Ci impegnammo a demedicalizzare la fisiologia femminile, per smettere di sentirci eterne malate dal menarca alla menopausa, compresa la gravidanza e il parto. Ci occupammo di recuperare la conoscenza delle infezioni più comuni, come quelle dovute al trichomonas o alla monilia, e a curarle con metodi naturali come lavande di aceto e applicazioni di yogurt, di aglio, ecc. Tutto questo nell’ambito della visione di rimettere nelle mani delle persone la vita quotidiana, anche nel senso di una “sostenibilità” della cura della salute sociale. In questo ci rifacevamo anche alla dichiarazione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) di Alma Ata del 1978. Non abbiamo mai pensato di fare a meno della medicina per curare le malattie più serie. Un’altra attività importante consisteva nel raccogliere informazioni sulla salute delle donne da fonti ufficiali, e lo facevamo, per esempio, traducendo articoli dal “Lancet”, il famoso bollettino scientifico. Inoltre ricevevamo informazioni e rassegne stampa dalla Federazione americana dei gruppi per la salute della donna (FWHC), dal gruppo di Boston, che ha scritto “Noi e il nostro corpo”, e dagli altri gruppi per la salute della donna del mondo. La FWHC e il gruppo di Boston esistono ancora e sono presenti sul web. Nel 1977, organizzammo a Roma il primo Convegno internazionale sulla salute della donna, a cui parteciparono ben 70 gruppi da tutto il mondo. Il resoconto del Convegno fu riportato dal Gfsd nel numero 6/7 della rivistaDifferenze, edita autonomamente da alcuni collettivi romani. Nel mio gruppo tenevamo corsi di Inglese, perché tutte potessero leggere il materiale che raccoglievamo e contribuire alla sua traduzione in Italiano. Avevamo organizzato un Centro di documentazione e abbiamo prodotto pubblicazioni in tutte le forme, dai ciclostilati agli opuscoli. Abbiamo tenuto Corsi per insegnare a fare l’autovisita per gli altri Collettivi, e per le donne che venivano direttamente da noi. Tra il 1975 e il 1977, a Roma, quasi tutte le donne attive nel Movimento hanno fatto almeno una volta l’autovisita, si può dire che si trattasse di un’esperienza di appartenenza al Movimento, ed anche di una specie di “iniziazione” all’essere donna, come l’ha definita Luciana Percovich, durante la prima giornata di Self-help riparliamone!, tenutasi il 21 aprile 2012.

Ho nominato Luciana Percovich, e con lei desidero nominare anche Silvia Tozzi, perché è a loro che si deve l’aver intrapreso l’opera di informazione e di riflessione sull’esperienza dei gruppi sulla salute e sul self-help, opera a cui mi sto dedicando anch’io, negli ultimi anni. Percovich ha fatto esperienza del self-help a Milano e a Roma, e ha svolto un ruolo editoriale molto importante nella storia del neofemminismo italiano, curando la traduzione di testi fondamentali come “Le streghe siamo noi”, per la Casa editrice La Salamandra di Milano. Con i due saggi contenuti nel libro, le donne iniziavano la revisione della storia della medicina occidentale in relazione alla condizione femminile nel patriarcato. Si cominciava, allo stesso tempo, a recuperare i saperi delle donne, le streghe vennero così ridefinite come detentrici di un sapere sulla salute e sulla cura all’interno delle comunità agricole, eredi di una cultura che affondava le sue radici in una religiosità naturale. Le donne appartenenti ai gruppi sulla salute sentirono di aver trovato una genealogia. Percovich ha raccolto molto materiale sul “movimento nel movimento”, come ha definito l’area dei gruppi femministi che si occupavano di salute, e l’ha pubblicato nel libro intitolato “La coscienza nel corpo”, per la collana della Fondazione Badaracco di Milano (F. Angeli, 2005). Riporto due brani dall’Introduzione di Percovich che illustrano la posizione dell’area del self-help all’interno del Movimento in generale: “lavoravamo per allargare la nostra coscienza, tenendo uniti il corpo e la mente come altrove raramente accadde…” (p. 13); “il tratto caratteristico di questo ‘movimento nel movimento’ fu da un lato quello di uscire ‘vittorioso’ circa il raggiungimento degli obiettivi a breve termine, che volenti o nolenti, ci si erano configurati davanti nel corso degli anni Settanta (ossia accoglimento delle richieste di modifica delle condizioni materiali riguardanti l’accesso alla contraccezione e all’aborto), e dall’altro quello di essere stato considerato in qualche misura ‘altro’ rispetto alle correnti più teoriche del movimento stesso.” (p.13). Silvia Tozzi ha fatto parte del Collettivo che ha gestito il Consultorio femminista nel quartiere S. Lorenzo a Roma, in cui si praticava ilself-help. Ha, inoltre, contribuito a fondare l’Associazione Simonetta Tosi, dopo la chiusura del Consultorio, e a fondare Archivia. Riporto due brani dal suo intervento intitolato “Corpo e scienza nel movimento per la salute”, da lei tenuto ad un Seminario organizzato dall’UDI-La goccia nel 1989: “Ci sono stati molti gruppi per la salute negli anni Settanta, diversi fra loro e in osmosi col resto del movimento, ma anche segnati da aspetti specifici che ne fanno un’area a sé. Alla metà del decennio, questi gruppi si sono trovati al centro del femminismo che scendeva nelle piazze proprio sui temi della salute e della sessualità senza aver ancora potuto elaborare le intuizioni del self-help.” (p. 167). A questa elaborazione credo possa contribuire il confronto con le nuove generazioni, di cui questo nostro incontro di oggi è un esempio. Concludo con il secondo brano sempre di Tozzi, nel quale si evidenzia il contributo da parte delle donne dei gruppi per la salute che praticavano il self-help alla questione più ampia del rinnovamento del sapere (p. 170): “Il sapere deriva dunque dal ricomporre la scissione tra un corpo – che per noi stesse può essere diventato oggetto – e le condizioni quotidiane, il lavoro, i sentimenti.”

GUARDA IL VIDEO “L’ESPERIENZA DEL SELF-HELP: UN’ANALISI PER IMMAGINI”

Redazione

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