L. Muraro, Non è da tutti. L’indicibile fortuna di nascere donna, Carocci, Roma 2011

L. Muraro, Non è da tutti. L’indicibile fortuna di nascere donna, Carocci, Roma 2011

Come un surfista sulla cresta dell’onda

Recensione di Giuliana Giulietti

Ci sono gesti che le donne compiono dai primordi della vita umana e che tra mille peripezie e difficoltà  passano, una generazione dopo l’altra, di madre in figlia : spendersi per i viventi, rendere abitabile la terra, ricreare incessantemente le possibilità dell’esistenza contro le forze disgregatrici del caos sempre all’opera per sconvolgere il mondo. Nel suo ultimo libro, il bellissimo Non è da tutti: l’indicibile fortuna di nascere donna, Luisa Muraro rende omaggio alla grandezza femminile; una grandezza che  non ha nulla a che vedere con il prestigio personale, la carriera, il denaro, che non si specchia nelle graduatorie della società, ma che si “gode specialmente nell’intimo di sé”, che assomiglia a “un’avventura segreta” o “ a un abito di tutti i giorni ma disegnato da Valentino”; e nel rendere un tale omaggio lei ripete nella scrittura i medesimi gesti : mettersi dalla parte dei viventi
e fare ordine, perché lo si possa abitare con agio, in un presente sempre più caotico, buio, disperante.
 Il “privilegio di essere donna” – un privilegio che Luisa Muraro ha accettato e messo in gioco nella sua vita personale e pubblica –  è ciò che le consente di  “accendere una luce” sulla  realtà che non è, nel  suo pensiero, un qualcosa di dato, di toccabile, vedibile, verificabile ( quell’oggetto, quell’idea, quel fatto ), ma relazione tra ciò che è e ciò che non è, tra quello che conosciamo e l’imprevisto che d’un tratto, in una sorta di epifania, diventa visibile e si mostra.
Come la libertà femminile, inaudita fino alla seconda metà del Novecento e il cui orizzonte si è aperto – oltrepassando l’ordine patriarcale che di certo non la prevedeva  –  quando le donne sono uscite con una schivata ( come gli animali inseguiti dai predatori ) dalla traiettoria del potere e  si sono presentate sulla scena del mondo come soggetti desideranti e parlanti in autonomia. La felicità di esistere e di esserci – qui, sulla terra – è scaturita allora  per Luisa e per le tante altre con le quali ha condiviso l’esperienza del femminismo, dalla sensazione di una vita non più imprigionata in se stessa, ma libera di significarsi per se stessa, con le proprie parole, i propri desideri.
La scoperta di sé, frutto della relazione tra donne, è stata al tempo stesso la scoperta di quello che lei chiama il privilegio di essere donna anche se, essere donna, è una condizione umana difficile. Per tutte: le belle e le brutte, le giovani e le vecchie, le ricche e le povere, le venerate e le umiliate. Ma essere donna  – ed è questa la fortuna  che ci è toccata in sorte-  significa guadagnare un modo unico e insostituibile di intimità con il genere umano e, dunque, un “di più” rispetto alla condizione maschile. Un “di più” che in società diventa visibile solo a sprazzi, ma che non sfugge agli sguardi ammirati di certi artisti che lo hanno scorto proprio là dove esso si manifesta, “fra le cose ordinarie della vita”, come è appunto il caso del pittore olandese Jan Vermeer.

 

Le donne di Vermeer versano il latte, ricamano sedute sulla soglia di casa, scrivono o leggono una lettera, pesano gioielli su una bilancia, reggono una brocca, indossano collane di perle davanti a uno specchio. Rappresentate nella loro potenza luminosa (come la Lattaia  che figura sulla copertina del libro), esse sono un mondo a sé, inviolato, riservato, indipendente e del quale il pittore  ha colto, fissandolo sulla tela, l’ineffabile riflesso di quel  “di più” il cui godimento è specialmente interiore e che assomiglia a “un’avventura segreta”.
Per riconoscere anche nella società la grandezza femminile e farle posto è necessario – scrive Luisa Muraro – sgombrare il campo dalla commedia falsamente femminista della  parità fra sessi, una commedia che mette in circolazione una rappresentazione diminuita e caotica delle donne, che sottovaluta la loro autonomia personale, la loro capacità di muoversi da sole per i loro progetti e che ancora le vuole – nonostante la rivoluzione femminista degli anni 60 e 70 del Novecento e il pensiero della differenza sessuale – uguali all’uomo.
 L’uguaglianza è un bene irrinunciabile, verissimo. Ma è altrettanto vero che la libera realizzazione di sé si gioca – come è stato annunciato e praticato nella seconda metà del Novecento dalle donne in rivolta- su un piano affatto diverso. Un piano dove il desiderio di politica non si confonde con la rincorsa al sempre più potere e dove l’esigenza non è di spartire il potere ( come invece comanda la politica delle quote),  ma di uscire dalla sua logica di contrapposizione e di complicità e dove quel che si guadagna è “ un poter essere e  un far essere” e le capacità ricevute insieme alla vita, “ di godere, soffrire, amare, desiderare e, in caso, amare”.
Certamente – Luisa Muraro ne è consapevole – ai cambiamenti realizzati dal movimento delle donne sono venuti a mancare negli ultimi due decenni, un contesto e un seguito che li avrebbero dotati di un credito più esteso. Ci sono oggi – lei dice – molti motivi per disperare e che “ si frappongono tra l’umanità e ogni possibile voler bene”: le guerre, per quello che sono le guerre da sempre e per le caratteristiche che hanno assunto oggi;  mai dichiarate, croniche, micidiali per la popolazione civile e il territorio;   la crisi economica e lo sgomento delle persone giovani sradicate sia dal futuro che dal passato. Ma Luisa Muraro non è donna da perdersi d’animo e sa perfettamente che la grandezza femminile – che in lei risplende meravigliosamente –  non sparisce neppure nelle circostanze più difficili, talvolta perfino si accentua. E così, con la stessa pazienza, tenacia  e “ colpo d’occhio”( e forse con un sospiro di sgomento) con i quali una donna affronta, per riportarvi ordine, pulizia e luce, la confusione brutale di una stanza dove è appena entrata, lei ci invita con le sue parole che appunto fanno ordine e luce, a rilanciare la scommessa del femminismo, a uscire ancora una volta, con una schivata, dalla traiettoria del “sempre più potere” e a rimettere in gioco, facendoli uscire dall’invisibilità e dal silenzio, la nostra esperienza, i nostri desideri. La libertà femminile sta oggi sul crinale che emerge tra due alternative mutilanti: la richiesta di una muta dedizione di sé da una parte, e “l’offerta crescente di vie d’uscita verso un’autoaffermazione in termini di parità, cioè ricalcata su modelli ed esigenze maschili dall’altra”. Nonostante i tempi bui e l’assordante e insensato proliferare di discorsi sulle donne ( quote, dignità offesa, veline, salvatrici della nazione ecc. ) Luisa Muraro continua a sentire tra le donne, “ un filo di quell’umore felice del surfista che corre sulla cresta dell’onda”. Sì perché lei, con il suo sguardo profondissimo e limpido come la sua mente, ancora scorge all’orizzonte della sua e delle nostre esistenze, un barlume di felicità. Una felicità che comanda di essere annunciata e condivisa con altre, con altri. Del resto, certe rivoluzioni ( e quella femminista lo è stata) sono scoppiate così –  scrive Luisa – “solo perché la felicità si è mostrata all’orizzonte”.