SMAGLIATURE DIGITALI. Corpi, generi, tecnologie a cura di Carlotta Cossutta, Valentina Greco, Arianna Mainardi e Stefania Voli

SMAGLIATURE DIGITALI. Corpi, generi, tecnologie a cura di Carlotta Cossutta, Valentina Greco, Arianna Mainardi e Stefania Voli

Recensione di Anastasia Barone

Smagliature digitali raccoglie 11 interventi di autoru, artistu e include due schede tecniche relative a due esperienze di attivismo transfemminista digitale. Inoltre, la raccolta si apre con una densa introduzione delle curatrici Cossutta, Greco, Mainardi e Voli, che delineano la complessa trama, e i tanti nodi che legano i diversi saggi tra loro.

La prospettiva condivisa all’interno del saggio risulta evidente già a partire dalle prime righe dell’introduzione, in cui le curatrici, partendo dalle proprie esperienze personali, politiche, accademiche e relazionali, riconoscono che la scrittura a più mani del libro stesso sarebbe risultata impossibile senza le tecnologie a loro disposizione. Queste, infatti, garantiscono connessioni, scambi e incontri all’interno delle vite mobili e precarie di curatrici e autoru. Gli schermi dei computer connettono vite altrimenti distanti, producono tempi sincronizzati altrimenti impossibili. La riflessione su corpi, generi e tecnologie, dunque, non può che essere profondamente incarnata nelle vite di chi scrive, e di chi legge.

 

Tre punti focali: i corpi, i generi e le tecnologie. Dentro, attorno e tra questi tre nodi, gli spazi, i confini e i margini che li rendono così profondamente interconnessi, così continui e impensabili a prescindere gli uni dagli altri.

 

Innanzitutto il corpo è qui oggetto e soggetto della produzione di saperi, soggetto e oggetto della tecnica e delle tecnologie, ma anche punto di partenza per ripensare il nostro modo di conoscere, per attraversare contraddizioni complesse e intricati sistemi di potere. Il corpo è però anche lo spazio su cui si produce e riproduce differenza e disuguaglianza, su cui si àncora il dispositivo del genere.

 

Il punto di partenza principale delle riflessioni condivise nei saggi attorno al rapporto tra corpo e tecnologie, consiste proprio nell’affermare che non c’è niente di naturale nel corpo, anche a prescindere dal rapporto di questo con la “macchina”. Smagliature Digitali smaschera e smonta, in linea con Haraway, ogni binarismo, che sia quello di genere o quelli che vedono contrapposte natura/cultura – organismo/macchina – umano/animale. Il confine tra fisico e non fisico è per noi alquanto impreciso, affermano le curatrici, tracciando una chiara linea di connessione con Manifesto Cyborg.

 

Le smagliature quindi, traccia di un corpo che cambia, che si trasforma, che muta, segni considerati imperfezioni, piccoli incidenti su corpi presuntamente lisci e omogenei, diventano il simbolo della trasformazione possibile, di un corpo che è “progetto”, quindi costruito e sempre costruibile. Smagliature, quindi, ma digitali: così la trasformazione avviene dentro quel continuum ininterrotto che costituisce il nostro corpo all’interno dei flussi, delle macchine, delle reti, delle tecnologie che innervano le nostre vite.

 

Non c’è, nel testo, nessun rimpianto per un mondo in cui i corpi erano puri, disconnessi, naturali, perché quel mondo ovviamente non è mai esistito. Non vi è, però, nessun entusiasmo per l’idea di un avanzamento tecnologico lineare e senza fine che condurrà naturalmente verso il meglio. Profondamente situati e radicati in esperienze di lotta, i testi che compongono Smagliature Digitali condividono disincanto, sguardo profondamente critico, piedi per terra, e capacità di immaginare e quindi sovvertire la realtà.

 

Nell’ambito dei dibattiti sul possibile uso sovverisvo delle tecnologie da un punto di vista transfemminista o più semplicemente egalitario, si ha spesso la sensazione che questa possibilità rimanga un’ambizione astratta, un afflato teorico. Smagliature Digitali, invece, è un testo intriso di pratica e sperimentazioni, che vanno dall’attivismo di collettivi femministi alla pratica politico-artistica, all’intersezione tra attivismo, arte e accademia.

Così sono almeno quattro i testi che prendono le mosse direttamente dalle esperienze delle autoru, e da pratiche di sperimentazione politica che mettono in gioco i corpi, il genere e le tecnologie per sovvertire i meccanismi di potere che generalmente li legano.

 

Significativo da questo punto di vista il contributo di Obiezione Respinta, piattaforma digitale che nel combattere l’obiezione di coscienza da parte di medici e farmacisti è stata in grado di sovvertire l’uso di piattaforme quali facebook, per costruire reti di solidarietà e mutuo soccorso tra donne e per riappropriarsi non soltanto di dispositivi tecnologici ma anche di saperi e informazioni (p.75).

 

Altrettanto rilevante l’esperienza di Eva Kunin. Arigato, “performance-editoriale digitale” costituita da un e-book che sperimenta “la creazione di una cartografia del reale in formato digitale”; si tratta di una narrazione che sfrutta un ipertesto multimediale e interattivo e che permette una “geografia narrativa” senza centro né margini (p. 133). Se Obiezione Respinta e Eva Kunin rappresentano le due schede tecniche della raccolta, almeno altri due testi mostrano l’intreccio di teoria e attivismo transfemminista. La ricerca-performance di Zarra Bonheur che fa del proprio corpo il soggetto di una ricerca, sfidando i confini disciplinari di istituzioni accademiche conservatrici (p.141) e l’esperienza di Transcyborgllera, progetto di hacking del dispositivo dell’archivio, che raccoglie i materiali prodotti dai movimenti sociali transfemministi queer in Spagna, decostruendo però la struttura classica dell’archivio stesso (p.155).

 

Altrettanto rilevante, da questo punto di vista, è il racconto che Ludovico Virtù offre della propria ricerca nel campo dell’autoproduzione di sex toys in una prospettiva trans. Qui il Do It Yourself diventa occasione per sperimentare non soltanto modi alternativi di pensare la sessualità, ma anche forme di trans-organizzazione.che ripensano l’uso del corpo, del linguaggio e dei saperi in modo trans e non binario.

 

Spazio, confini e margini

Un tema chiaramente centrale della raccolta è lo spazio, filo rosso tra molti dei testi in questione, e cardine della prospettiva metodologica ed epistemologica. All’interno dei vari saggi, lo spazio è infatti spazio pubblico e privato, quindi, ovviamente spazio di confine e attraversato da molteplici confini; lo spazio è centro e margine, distanza e intersezione tra questi. Lo spazio è prospettiva da cui si parla, territorio di cui si parla, prodotto del discorso e delle pratiche dei corpi. Terreno senza dubbio di conflitti.

Così, tra le righe del testo ritroviamo lo spazio virtuale, il cyberspazio, che come un noto slogan femminista degli ultimi anni afferma per lo spazio materiale, deve essere anch’esso reso “safe” dai soggetti non-conformi che lo attraversano. Lo spazio quindi, come luogo su cui si innestano meccanismi di controllo e sorveglianza, che possono essere sovvertiti, insieme ai relativi dispositivi di visibilità/invisibilità, dalle performance come quella del gruppo..di cui parlano in coda al libro Cossutta e Mainardi (p.169). Ma lo spazio è anche al centro della ricerca di interstizi, di una pratica teorica e politica che porta i margini dentro al centro, come nel caso di Rachele Borghi/Zarra Bonnheur, già citato, e del tentativo di mettere al centro della ricerca accademica (e di un’università fortemente conservatrice) un sapere che parli non del corpo come oggetto, ma del proprio corpo come soggetto e laboratorio della ricerca stessa. Lo spazio è poi quello materiale del confine tra Messico e Stati Uniti, che pure si fa terreno di rappresentazione mediatica nella pornografia che sfrutta l’immaginario delle donne migranti arrestate dall’esercito di frontiera, come raccontato da Anna Casaglia (p.119). Dove i margini non sono confini è appunto il titolo dell’intensa introduzione delle curatrici. Margini contro confini. Margini come spazi da cui è possibile osservare, analizzare e immaginare futuri alternativi, conoscere diversamente, come ci insegna bell hooks. Confini come moltiplicazione di barriere e strumenti di controllo, come luoghi della produzione e riproduzione di disuguaglianza.

È proprio attraverso questa riflessione che le curatrici e le/gli autoru fanno emergere una prospettiva intersezionale e profondamente attenta alle disparità che la tecnologia stessa produce, e all’accesso differenziale che essa mantiene. Da questo punto di vista i saggi condividono una tensione critica nei confronti delle tecnologie, ricordandoci che “Nella Silicon Valley la banda larga sorvola i tetti delle maquilladoras” (Lucía Egaña Rojas, p.37).

 

Leggiamo, poi, delle contraddizioni relative alla riproduzione biotech, illustrate da Angela Balzano che ci guida attraverso i siti che vendono “l’esperienza della maternità”, garantita o rimborsata, riproducendo di fatto un’immagine di donna e della maternità stessa che, dentro le maglie larghe del mercato, non lascia invece dubbio alcuno su quale sia la norma di riferimento (p.65).

 

Elisa Virgili ci guida invece nell’analisi di tre manifesti che guardano al futuro: il Manifesto Cyborg di Haraway, il Manifesto per una politica Accelerazionista di Williams e Sricnek e il Manifesto Xenofemminista di Laboria Kubonics, riportato per intero nel libro grazie alla traduzione del collettivo Les Bitches. L’autrice sottolinea la comune tendenza a guardare al futuro che unisce i tre manifesti, ma fa emergere anche le differenze, tra cui senza dubbio l’assenza di una prospettiva femminista nel manifesto di Williams e Sricnek (p.81).

 

Ma è forse il saggio di Lucia Egana Rojas che meglio sintetizza le ambizioni della raccolta:

“Chiedo di esplorare le tecnologie artigianali, senza brevetti, le tecnologie dell’errore, l’hacking, le tecnologie dissidenti, di basso profilo. Le tecnologie sociali, dei generi abietti e della controcultura. Chiedo, con un grido disperato illuminato dai led di Haraway, di estrarre senza paura i codici di scrittura, di aprire le macchine e di non versare mai più una lacrima per un computer morto.” (p. 46).

 

Come le stesse curatrici affermano nell’introduzione, i testi che costituiscono la raccolta, condividono molto, ma non rappresentano affatto una posizione unitaria. Al contrario essi si incontrano e si scontrano, manifestano quel posizionamento radicale nei confronti delle tecnologie che incarna uno sguardo profondamente critico insieme all’ambizione di un uso sovversivo.

L’obiettivo senz’altro comune è “smascherare i dispositivi di potere e i loro complicati intrecci”.

Redazione

Del comitato di redazione fanno parte le responsabili dei contenuti del sito, che ricercano, selezionano e compongono i materiali. Sono anche quelle da contattare, insieme alle coordinatrici, per segnalazioni e proposte negli ambiti di loro competenz (...) Maggiori informazioni