Spazi di genere, sessuati, queer *, note e riflessioni attorno a una giornata di studi

Spazi di genere, sessuati, queer *, note e riflessioni attorno a una giornata di studi

Pubblichiamo una riflessione sulle giornate di studi “Espaces Genrés Sexués Queer. Une exploration des dynamiques entre les espaces, les genres et les sexualités”, che si è tenuta a Parigi il 19 e 20 ottobre 2017. Un incontro partecipato e animato, che è diventato occasione per riflettere in maniera più ampia sull’intersezione tra studi di genere e queer e le discipline spaziali, dall’architettura agli studi urbani.


di Giulia Custodi, Serena Olcuire, Martina Silvi, Hakima El Kaddioui

 

* trad. dal francese Espaces genrés, sexués, queer.

L’asterisco allude a una posizione di apertura, fondativa della giornata, nei confronti delle molteplici e multiformi moltitudini di significazioni o accezioni che questi termini arrivano a spalancare.

 

Alimentare un dibattito latente

Il 19 e 20 ottobre si è tenuto a Parigi nelle sale di due scuole di architettura e, sabato 21 ottobre, nelle strade della città, il convegno internazionale Espaces | genrés, sexués, queer[1] che ci ha impegnate per circa un anno in quanto ideatrici e organizzatrici. Essere tre italiane che portano avanti le proprie ricerche altrove e in lingua straniera ci fa sentire l’importanza di riportare i discorsi costruiti anche in Italia, sperando che possano nutrire, seppur in minima parte, il dibattito e il confronto sulle stesse tematiche che vengono portati avanti nella penisola.

Nonostante percorsi personali e di ricerca diversi e geograficamente sparsi, ci siamo ritrovate con convinzione intorno ad un progetto comune. Giulia, che affronta le politiche urbane sensibili alla questione di genere in Europa, Serena, che si occupa di geografie delle sex workers e di forme di esclusione dallo spazio pubblico, Martina, che studia l’influenza della questione di genere e delle tematiche legate alla sessualità nel dibattito architettonico e Hakima, che si interessa alla produzione dell’ornamento nell’architettura domestica contemporanea.

La varietà delle nostre esperienze si è sviluppata, in parte, nella comune cornice delle facoltà e delle scuole di architettura tra Italia e Francia.
In questo contesto abbiamo sentito tutte la mancanza di un dibattito legittimato e diffuso, nonché di un quadro di riferimento riguardo alle tematiche legate al genere, al sesso e alla sessualità. Ci siamo dunque trovate attorno alla necessità di una discussione collettiva, che ha dato vita a un gruppo di riflessione condiviso con altre ricercatrici e ricercatori e, in seguito, alla volontà di ampliare il nostro gruppo di confronto e costruire un momento di diffusione e dialogo più ampio. Con Manola Antonioli, docente di filosofia estetica che ha incoraggiato e sostenuto questo progetto fin dal suo concepimento, ci siamo interrogate sulla necessità di questo convegno e sui contenuti, le forme e gli spazi che esso dovesse prendere.

La conferenza per noi rappresentava, e rappresenta tuttora, un necessario atto di affermazione della legittima presenza di queste tematiche nel contesto disciplinare della progettazione dello spazio. Portare fisicamente le nostre discussioni e i nostri corpi in due scuole di architettura è stato quindi per noi un gesto importante.
Abbiamo lavorato per far emergere le ricerche e le pratiche che da diversi anni affrontano tali tematiche, le loro connessioni e l’incrocio dei loro reciproci sguardi e, allo stesso tempo, per sviluppare uno spazio di condivisione con le studentesse e gli studenti, le ricercatrici e i ricercatori che iniziano a interrogarsi su questi temi.

 

Presupposti. Una proposta aperta, transdisciplinare e transcalare

La call che abbiamo diffuso ad aprile 2017 si rivolgeva alle ricerche che si proponessero di studiare le dinamiche tra gli spazi, i generi e le sessualità, sottolineando come lo spazio fosse inteso nelle sue dimensioni sociali e percettive e in quanto cornice materiale e formale.
Sulla scorta degli studi sociali e spaziali che hanno messo in evidenza come genere, sessualità e spazio stesso non possano essere considerati categorie cristallizzate ma processi in costante cambiamento e ridefinizione, ci siamo lungamente soffermate sulla capacità degli spazi, dei generi e delle sessualità di produrre e di (s)velare definizioni e pratiche. Si tratta di processi interconnessi e intrecciati poiché, se le costruzioni sociali delle identità di genere e delle sessualità producono degli spazi (progettati o costruiti, rappresentati o immaginati, collettivi o individuali, pubblici o privati…), allo stesso tempo gli spazi stessi producono identità, spesso incardinate su fondamenti eteronormativi, e quindi patriarcali. Abbiamo suggerito dunque di analizzare questi processi tenendo conto del fatto che il loro potenziale sovversivo è speculare alla forza normativa.

Nella call abbiamo proposto, tra l’altro, una chiave di lettura epistemologica e metodologica di una possibile trasposizione in campo architettonico delle ricerche, delle pratiche e delle esperienze prodotte dai femminismi, dai movimenti LGBTQ+ e dai cultural studies. Abbiamo ricordato il ruolo svolto da tali ricerche nella messa in discussione dei meccanismi di produzione di conoscenze, narrazioni e rappresentazioni, della pretesa di universalità e nel consequenziale sviluppo di metodi ed epistemologie che affrontano e abbracciano la componente soggettiva delle pratiche, tra cui la ricerca stessa. Abbiamo disegnato un possibile fil rouge tra queste esperienze e l’ambito della produzione spaziale: anche qui è da tempo in atto la messa in discussione della produzione e autorità di saperi e pratiche, per esempio nella sovversione delle dinamiche top-down e del ruolo dei diversi attori della progettazione.

L’analisi dei processi di produzione delle pratiche e degli spazi è stata quindi più volte richiamata come punto d’interesse nell’ottica di comprendere la dimensione sessuata e di genere degli spazi e della loro progettazione.
La transdisciplinarità e la transcalarità hanno costituito due dei presupposti cardine del convegno, chiaramente espressi a partire dalla call, insieme con la rinuncia a qualsiasi pretesa di esaustività.
Abbiamo esplicitamente rivolto un invito alla partecipazione a persone estranee al mondo dell’architettura: ricercatrici e ricercatori ma anche attiviste e attivisti e altre attrici e attori delle pratiche e delle progettazioni spaziali; abbiamo manifestato la volontà di confronto tra diversi campi disciplinari e tra strumenti e scale di analisi differenti.
L’orientamento transcalare proponeva di interessarsi alla scala del corpo come a quella transnazionale, passando attraverso la città, il quartiere e l’edificio, nella convinzione della pertinenza e della complementarità di questi livelli di lettura.
L’approccio transdisciplinare non ci ha distolto dalla messa a fuoco sull’architettura, che noi intendiamo come a sua volta intrinsecamente transdisciplinare. Abbiamo pensato il convegno anche come un’occasione di confronto aperto riguardo ad alcune peculiarità di questa disciplina: la progettazione, intesa come ideazione e disegno, costituisce secondo le nostre esperienze una specificità dell’architettura nel rapporto con il reale. Il confronto e la contaminazione delle riflessioni e delle pratiche riguardo questo punto costituivano per noi una delle scommesse più scivolose del convegno.

La call proponeva sei assi tematici, che consideravamo come proposte di orientamento, non esaustive né tanto meno ineludibili, e che riportiamo qui di seguito.

Gli assi proposti

1. Linguaggi e rappresentazioni
Gli studi di genere e queer, come i movimenti femministi e LGBTQ+, lavorano da molto tempo sul linguaggio come forma di rappresentazione e di normalizzazione sessuale e di genere. Come si può rapportare la questione del linguaggio e della rappresentazione ai caratteri sessuati dello spazio? Il linguaggio architettonico e le rappresentazioni dello spazio e nello spazio rivelano la stessa permanenza della mascolinità dominante e dell’eteronormatività?

2. Appropriazioni e riappropriazioni
I generi e le sessualità producono degli immaginari, delle pratiche e dei saperi contro-culturali che impregnano la produzione spaziale. Attraverso azioni o usi innovatori e ri-creativi, gli spazi pubblici vengono sovvertiti e appropriati da e per alcune sessualità. Dalla scala della città a quella dei corpi stessi, in che modo lo spazio diventa strumento performativo? Quali forme di presenza di genere, sessuata e queer nello spazio pubblico assumono un significato politico?

3. Intimità, domesticità e abitare
Il prisma di genere e delle sessualità permette di analizzare le pratiche individuali e collettive che inventano gli spazi dell’intimità ma che aspirano, allo stesso tempo, a poterne uscire. Distinguere l’abitare dagli spazi domestici permette di includere sia gli spazi concepiti per favorire l’intimità che quelli concepiti per favorire l’esteriorità, come per esempio quelli della sfera pubblica. Come viene concepita la nozione di intimità da coloro che progettano lo spazio? Come sono caratterizzati e distinti gli spazi a uso intimo (sia privati che pubblici) nella loro progettazione? In che modo sono tracciati i loro confini e a quali rivendicazioni corrispondono?

4. Transnazionalismo, espatri ed emigrazioni
L’esperienza migratoria può essere letta sotto il filtro del genere e delle sessualità a diverse scale: creando nuove spazialità di frontiera, ma anche attraverso i sistemi di adattamento espressi nelle spazialità del quotidiano. In che maniera la comunanza di genere o di orientamento sessuale diventa risorsa per la creazione di spazi e modi di utilizzarli, nel paese di destinazione o nel corso del tragitto migratorio? Come incide la sessualità sulla mobilità transnazionale e sulle sue conseguenze a scala locale?

5. Politiche istituzionali: al di là del gender mainstreaming
Le istituzioni di diverse aree metropolitane, soprattutto in Europa, cercano di fare eco alle rivendicazioni di genere attraverso politiche e misure normative o esecutive; ciò diventa problematico, per esempio, quando prende le forme di politiche gender mainstreaming. In questo contesto è cruciale la questione della sicurezza: parallelamente a una progettazione più consapevole, le politiche urbane propongono spesso un’idea securitaria basata sul concetto di ordine pubblico. Come possiamo superare una concezione binaria che strumentalizza e vittimizza le donne e che non tiene conto delle omosessualità, delle transessualità e di altre comunità stigmatizzate in ragione del loro genere o della loro sessualità? Come indagare l’impatto delle politiche urbane gender mainstreaming?

6. Professioni e spazialità: “femminilizzazione” e/o “queerizzazione”?
Diverse professioni legate alla progettazione degli spazi sono toccate dal processo denominato “femminilizzazione”: un numero crescente di donne sembra accedere a dei campi considerati fino ad oggi come “maschili”. Quali sono i limiti di questo fenomeno, in termini di rinnovamento delle pratiche (uscire da una visione sessista ed eteronormata degli spazi) ma anche in termini di riconoscimento (disuguaglianze occupazionali e di remunerazione)? Possiamo pensare un superamento di questa visione binaria per anticipare un divenire queer dello spazio?

 

Istituzioni e sovversioni, performance, progetto: una discussione corale in tre atti

Le proposte che abbiamo ricevuto sono andate al di là delle nostre attese e delle tracce che avevamo proposto. Nell’organizzazione degli interventi selezionati ci siamo quindi trovate a riflettere su nuovi inquadramenti teorici e tematici. Riconsiderando i contenuti e l’articolazione delle due giornate rispetto alle proposte effettivamente ricevute e selezionate, abbiamo strutturato la discussione su tre “atelier”, riguardanti approcci e scale differenti.

Il primo, Les institutions et la construction de légitimités dans l’espace hétéronormé, ha raccolto i contributi riguardanti i differenti modi in cui le istituzioni delimitano la legittimità dei gruppi e degli individui alla luce dei loro generi o le loro sessualità, nello spazio e attraverso esso. Il fil rouge dell’atelier, l’esplicitazione della normatività espressa e imposta dallo spazio e dal suo governo, ha aperto la porta al paradosso per cui tale imposizione rinforza allo stesso tempo la carica sovversiva e il potenziale rivendicativo degli spazi in questione, concetto che ha trovato ampio spazio la discussione verso il secondo atelier: La performance, outil politique des corps dans l’espace. In questo tavolo si è sollevata la questione di come lo spazio, materiale o immateriale, sia sottomesso alla prova della performance, e come essa costituisca uno strumento che permette di rivelare il carattere politicizzato dei corpi e le costruzioni sociali di generi e sessualità.
Il terzo atelier, La conception à l’épreuve des genres et des sexualités, ha provato a mettere a sistema gli interventi che più interrogavano l’ambito specifico della progettazione, in architettura, nel design e nella ricerca; l’atelier rifletteva sulla possibilità di una rimessa in discussione delle norme dei generi e delle sessualità da parte delle progettiste e dei progettisti, e si interrogava sui possibili approcci e strumenti di e per tale sovversione.

Abbiamo cercato di raccordare i tre atelier con degli interventi mirati ad arricchire e coordinare il flusso della riflessione comune: associando gli autori degli interventi abbiamo cercato di avere un confronto dialogico su ampie tematiche condivise, affrontate con approcci disciplinari differenti. In apertura delle giornate, Manola Antonioli (filosofa) e Fabrice Bourlez (psicanalista e filosofo) hanno discusso del disfacimento di categorie e identità e delle sue conseguenze su design e progettazione. Catherine Deschamps (socio-antropologa) e Claire Hancock (geografa) hanno condotto la transizione fra il primo e il secondo atelier, con una riflessione sulla strumentalizzazione delle rappresentazioni della differenza, in primo luogo di genere, da parte di promotori immobiliari e amministrazioni locali. A conclusione della prima giornata, Luca Greco (socio-linguista) e Rachele Borghi (geografa) hanno focalizzato il loro dialogo sui corpi, presentando rispettivamente una ricerca sui laboratori di deambulazione drag e una riflessione su diversi tentativi, da parte di corpi sovversivi, di contaminazione degli spazi urbani e universitari.

La seconda giornata si è aperta con un dialogo sugli spazi delle sessualità extra-normative, durante il quale Laurent Gaissad (antropologo) e Jean-Didier Bergilez (architetto) hanno intrecciato le loro ricerche su spazi e pratiche del cruising e dei club privé (club libertins).
Le ricercatrici del gruppo “Art et Société” hanno condiviso l’esperienza del programma di ricerca “Fuck Patriarcat”, durante il quale si sono interrogate sulle direzioni da prendere per un divenire femminista e queer delle scuole d’arte. Joana Maso ci ha parlato dei rapporti fra la filosofia della decostruzione di Derrida e l’architettura, seguita dalle conclusioni di Pierre Chabard, che ha tirato le fila dei discorsi costruiti nelle due giornate, sottolineandone le possibili prospettive architettoniche ed esplicitando le molte domande sorte a livello disciplinare.

Considerata la centralità che gli studi di genere e queer conferiscono al corpo (compreso quello della ricercatrice e ricercatore stesso nel suo rapporto con l’oggetto di ricerca), nonché il loro ruolo nella critica al meccanismo di produzione della conoscenza, abbiamo chiesto ad alcune artiste di partecipare alla costruzione del discorso collettivo: ci è sembrato importante provare a spingere i limiti di un evento universitario al di là del quadro strettamente accademico e di didattica frontale.
La sala della conferenza si è così riempita virtualmente di acqua clorata per la conferenza/performance del collettivo Aquagymologie, e l’atrio della scuola ha accolto il lavoro di ricerca dell’artista Carole Douillard, con una performance che indagava il corpo maschile nell’universo socio-culturale algerino.

In ultimo, la necessità di uscire dalla spazio accademico convenzionale si è espressa anche letteralmente, con la camminata di sabato mattina organizzata in collaborazione con il collettivo Polychrome, nel tentativo di riportare alcune riflessioni nello spazio fisico della città.
L’azione del camminare, intesa come strumento della disciplina architettonica e urbanistica, viene scelta come mezzo di sperimentazione diretta e sensibile dell’ambiente urbano, coinvolgendo il corpo stesso della ricercatrice e del ricercatore, nella sua dimensione personale e collettiva. Parigi è una delle città europee che più stanno assimilando le retoriche legate al gender mainstreaming, dichiarandosi sensibili alla formula della “presa in conto del genere” e promuovendo una lettura dello spazio urbano e una progettazione attenta alle tematiche di genere, aprendo anche implicitamente la strada a una serie di conseguenze controverse e legate al diritto di accesso allo spazio pubblico e a politiche di carattere insidiosamente securitario. Attraversare insieme alcune delle piazze parigine investite dal progetto “Réinventons nos places”, dichiaratamente sensibile ad una analisi di genere, ha permesso di interrogarsi insieme su alcune questioni e decostruire collettivamente alcuni dei discorsi proposti dalle amministrazioni, ma anche dai collettivi e dagli studi di progettazione che partecipano a tale progetto.

 

 

Autocritica: nodi, conflittualità e nuove piste

La portata della conferenza ha superato di gran lunga le nostre aspettative: l’evento ha riscosso sui social network un successo inatteso, raggiungendo un sorprendente numero di persone interessate. Se all’inizio abbiamo interpretato tale successo associandolo alla popolarità e al fascino dell’argomento in molti ambienti culturali (genere e queer tirano a Parigi), ci siamo dovute ricredere sulla superficialità di tale interesse: quella che era nata come una giornata di studi rivolta a un (solitamente contenuto) numero di giovani ricercatrici e ricercatori, si è convertita effettivamente in un evento di dibattito e confronto pubblico sinceramente partecipato e nutrito dall’apporto delle e dei presenti.
La risposta alla conferenza è stata quindi talmente ampia che ci siamo ritrovate a non avere strumenti adeguati per esserne all’altezza. Ad esempio, considerando la vicinanza dei queer e gender studies agli studi postcoloniali, e dunque anche alla critica all’egemonia culturale imposta dal mondo anglofono in ambito accademico (e non), avremmo voluto essere in grado di garantire la traduzione degli interventi per il pubblico presente. Il servizio, che era ovviamente fuori dalle nostre disponibilità logistico-economiche, tarate su un evento di ben minore entità, e la sua necessità ha aperto comunque una domanda sull’organizzazione dei prossimi eventi, dibattiti o confronti: un incontro che non si pone la questione non è inclusivo.

Tra le e i partecipanti, provenienti dai più disparati ambiti disciplinari, le e i meno rappresentati erano proprio le studentesse e gli studenti delle scuole di architettura. Tale assenza sembra andare di pari passo con la scarsa rappresentanza di cui godono le tematiche della conferenza all’interno delle scuole in questione, a Parigi e in Francia come anche in Italia; in entrambi i Paesi, con l’eccezione di alcuni gruppi di ricerca a stampo dichiaratamente femminista (pensiamo al Gruppo Vanda del Politecnico di Milano), le tematiche di genere e sessualità riscontrano molte difficoltà a inserirsi nel dibattito accademico.

Ne abbiamo avuto prova anche durante la conferenza stessa: un disguido con l’amministrazione della scuola ha generato una sovrapposizione fra la fine dell’incontro e la lezione di un professore di teoria dell’architettura. Il docente in questione si è sentito così autorizzato a salire sul palco durante una pausa fra i vari interventi e ad attaccarci direttamente, lamentando ad alta voce (e con un atteggiamento esplicitamente violento e autoritario) la sua impossibilità a fare lezione perché delle ragazzine potessero venire ad ascoltare delle robe che interessano loro.
La sua azione, chiaramente finalizzata a delegittimare brutalmente l’incontro in corso e le tematiche a cui era legato, ha strumentalizzato a tal fine il genere delle organizzatrici (siamo quattro donne) e della maggior parte delle presenti, arrivando a sostenere che se si poteva cancellare la sua lezione per permettere un simile evento, tanto valeva bruciare tutti i libri.
Le sue espressioni si sono rivelate un ottimo stimolo di riflessione collettiva, che ha sottolineato come l’episodio dimostrasse ancora una volta la necessità e l’urgenza di tali discorsi all’interno delle scuole di architettura, dei pregiudizi ancora da demolire e dei conflitti ancora da scatenare.

Un’ulteriore considerazione va dedicata agli spazi materiali che hanno ospitato la conferenza, aule pensate per una canonica didattica frontale, con le sedie bloccate e disposte per ascoltare passivamente gli interventi presentati ex cathedra. Spazi che non incoraggiano la costruzione di un dibattito orizzontale e collaborativo, testimoniando essi stessi la riproduzione spaziale di una gerarchia dei saperi. Questo pone un’ulteriore questione di metodo: se da una parte la radicale soluzione sembra essere l’uscita materiale dall’accademia, prediligendo spazi altri per l’organizzazione di dibattiti e confronti, dall’altra sembra invece emergere l’urgenza di lavorare sulla contaminazione ed erosione di tali spazi, reinventandoli o sovvertendone l’uso.
Nonostante il carattere intrinsecamente accademico dello spazio che ci ha accolto, il contesto universitario e la focalizzazione disciplinare della conferenza non costituivano, per noi, una volontà di ridurre la portata politica delle questioni affrontate e delle parole utilizzate. Allo stesso tempo, speravamo che l’impegno politico che sottintendeva tali tematiche potesse suggerire una maniera altra di fare ricerca e di produrre saperi. Nell’immaginare questo incontro, ci siamo posizionate in continuità e nel confronto con gli studi femministi e postcoloniali che hanno, forse fra i primi, innescato la caduta del concetto di universalismo del sapere. Tali studi hanno messo in evidenza l’importanza del posizionamento delle ricercatrici e dei ricercatori, sottolineando l’intreccio fra produzione dei saperi e impegno politico. Gli studi di genere e queer ci obbligano, fortunatamente, a un confronto continuo e diretto con attivismo e militanza.

A questo proposito, siamo coscienti che l’ingresso stesso -e le sue modalità – di questo dibattito in una sala universitaria possa e debba essere oggetto di una viva controversia[2]. Non ci sembra possibile affrontare queste tematiche senza tenere in conto la presenza dei separatismi e degli approcci politici altri, che rifiutano di performare lo spazio accademico o che non si riconoscono in una call come quella che abbiamo proposto all’inizio di questo percorso: per questo motivo ci è sembrato importante sottolineare ogni qualvolta ci sembrasse opportuno come fossimo ben lontane dall’avere alcuna pretesa di esaustività, e come anzi scegliessimo uno sguardo critico sul concetto stesso di esaustività.

Il dibattito che abbiamo proposto si iscrive in un discorso di cui percepiamo la varietà e la diversità, e di cui non vogliamo ignorare i conflitti in corso. In quanto organizzatrici dell’evento ci siamo confrontate in più di un’occasione con il fermento e la tensione che aleggiavano intorno alla discussione: all’interno del comitato di organizzazione stesso, abbiamo lavorato a partire da sensibilità e posizionamenti differenti, da un’attenzione a percorsi e tracce di ricerca multiple e da approcci, metodi e posture diverse.
A poche ore dalla pubblicazione on-line, il programma delle giornate è stato oggetto di critiche da parte di un gruppo che lamentava la mancata rappresentazione delle istanze/tematiche/identità lesbiche al suo interno. Nonostante avessimo pensato la questione del pluralismo e dell’inclusività sin dall’inizio della preparazione dell’incontro, queste critiche e l’acceso dibattito sollevato hanno prepotentemente riproposto le difficoltà di creare tutte le condizioni necessarie alla costruzione di un dibattito realmente plurale; questo è stato particolarmente evidente di fronte al timore, espresso da alcune, di incorrere in momenti di violenza. Monitorare la vicenda ci ha confermato le particolari tensioni che si generano intorno alle questioni, le posture e i termini stessi utilizzati in quest’ambito, dando però anche prova della loro vibrante portata.
Abbiamo ripetutamente ricordato, prima e durante la conferenza, la ferma volontà di costruire uno spazio “bienveillant”, aperto alla discussione e alla differenza. Il principio fondatore della conferenza risiedeva, per noi, nell’incontro e nella discussione comune, per questo abbiamo auspicato e incentivato le critiche e la partecipazione al dibattito.

La scelta di chiedere una riflessione conclusiva a uno dei pochi uomini bianchi, cisgenere, eterosessuali (e docenti universitari) presenti, a sua volta, è stata una scelta generata dalla volontà di costruire un dialogo, cercando di interrogare una totalità sulle domande sollevate da alcune.
L’idea di fondo era quella di aprire un dialogo anche con il contesto in cui avevamo portato, e non solo fisicamente, la conferenza. Lasciare quindi la parola a un docente che ha sostenuto il nostro progetto fin dall’inizio, Pierre Chabard, uomo borghese bianco, cisgenere ed eterosessuale, è stato un atto importante quanto, ne siamo coscienti, discutibile. Solo dopo aver espresso coscienza del suo posizionamento privilegiato, Chabard ha tirato le fila di alcuni interventi e suggerito alcune riflessioni da riportare nell’ambito architettonico.

Le voci che si sono intrecciate durante la conferenza continuano a ricordare la trasversalità degli argomenti affrontati: il fatto che persone di ambiti disciplinari differenti, a diversi momenti del loro percorso di ricerca, riescano a ritrovarsi attorno a una tematica condivisa, con una nuvola di concetti, ricerche e persone di riferimento in comune, è una peculiarità di questo dibattito (fortemente caratterizzato dalla sua radice politica) che permette di interlacciare discorsi comuni e generarne di nuovi.

Rileggendo i contenuti discussi, è da ri-constatare il fatto che nei campi dell’architettura, del design e dell’urbanistica l’approfondimento degli studi di genere e queer sia ben lungi dall’avvicinarsi a quello delle altre discipline. Ci sembra di poter ascrivere buona parte della discussione a due riflessioni principali, che si declinano nei differenti approcci delle differenti ricerche o contributi proposti. La prima riguarda la lettura della dimensione spaziale di questioni di genere e queer o, in maniera speculare, l’utilizzo delle lenti interpretative di genere o queer come chiave di analisi di alcuni fenomeni spaziali. La seconda si addentra più nel ripensamento della progettazione (alle varie scale), spesso in termini formali: qual è il progetto queer, o al femminile? Quali forme propone? Quali regole stilistico-compositive rimette in discussione? Come può la forma esprimere soggettività altre, e incontrare altri bisogni e desideri?

Restano ancora da esplorare piste e tracce di ricerca, molte delle quali portano a nostro parere a un ripensamento ben più ampio -sia dal punto di vista metodologico che epistemologico- della disciplina e in generale del processo progettuale.

 

Il processo della progettazione costituisce sempre un quadro ordinatore e normalizzatore,
o una spazialità queer è invece possibile – e come?

Workshop Queer and the city
L’Aquila, marzo/aprile 2017

 

[1] La conferenza è stata organizzata con il sostegno logistico ed economico delle ENSA Paris La Villette e Paris Belleville, le scuole che lo hanno ospitato, dal BRAUP (l’ufficio del Ministero dell’educazione francese della ricerca per l’architettura, l’urbanistica e il paesaggio), la scuola dottorale di Geografia di Paris 1, i laboratori LAVUE (cnrs umr 7218) e AUSSER (umr cnrs 3329), e le équipes LAA e AHTTEP

[2] Pensiamo per esempio alla controversia scatenatasi alla conferenza “What’s new in Queer Studies?”, organizzata da CIRQUE ad aprile 2017. Uno dei punti del dibattito, acceso e complesso, problematizzava appunto l’ingresso delle teorie queer nel mondo accademico. Per seguire alcuni passaggi della controversia, vedi la Comunicata delle Transfemministe in sciopero, https://sommovimentonazioanale.noblogs.org/post/2017/05/26/sciopero-comunicata-delle-transfemministe-in-sciopero-dalla-conferenza-cirque-laquila-31-marzo-2-aprile-2017/ e il conseguente S-comunicato del consiglio del CIRQUE e degli organizzatori del primo congresso CIRQUE, http://cirque.unipi.it/s-comunicato/.