Storie del compost

Storie del compost

di Isabella Pinto
Immagine in evidenza: Marina Zurkof, Slurb (2009).

L’Atelier Narrazioni inaugura “Storie del Compost”, una sezione che ospita gli esercizi di scrittura dell* partecipant* ai corsi dedicati al close-reading del libro di Donna Haraway, Chthulucene. Sopravvivere su un pianeta infetto (2016), Nero edizioni, Roma 2019.

Adottando la pratica della “narrazione multispecie” proposta da Donna Haraway, e denominata altresì “scrittura compost”, l’obiettivo di questi esercizi è la creazione di “Sim-storie” e “Sim-biografie”.
La “narrazione multispecie” è una pratica che, lungi dal chiudere nuovamente i soggetti all’interno dei propri confini corporei e mentali, dona strumenti per detronizzare la narrazione dell’Eroe, e metterlo – insieme alle patate, ai semi, ai ruscelli, alle lotte, ai conflitti – dentro la sporta di impavid* narratric*, nel tentativo, imperfetto e in divenire, di rendere visibili i poteri e le responsabilità che circolano all’interno delle collettività. Collettività finalmente costrette a relazionarsi con l’alterità inappropriata/inappropriabile che è la forza intrusiva di Gaia, i legami affettivi tra umani e non-umani, i mondi feriti e pieni di guai con cui divenire-con in paesaggi più-che-umani.

Sulla scia della “pratica della nominazione”, il presupposto che anima questo inedito spazio laboratoriale vede “leggere” e “scrivere “come “tecnologie del sé” neomaterialiste profondamente correlate: strumenti che possono dar vita a pratiche di assoggettamento, quanto a pratiche di soggettivazione, due elementi che non si autoescludono a vicenda, e che anzi spesso convivono, contraddittoriamente e complementariamente. 

All’interno di questo ampio spettro di possibilità, la lettura e la scrittura – gesti simbolici e materiali – sono state orientate grazie al close-reading della traduzione italiana di Staying with the Trouble, unito alla lettura/scrittura affettiva e diffrattiva di genealogie narrative singolari, generando così una tecnologia capace di mettere in gioco elementi esterni alle soggettività scriventi.

In questo modo è possibile visualizzare apticamente lo spazio impersonale come spazio denso di forze e relazioni umane, non-umane e più-che-umane, ovvero i loro concatenamenti, assemblaggi e grovigli, laddove il toccarsi è una pratica rischiosa, che rende capaci/incapaci di response-ability, capaci/incapaci di vivere e morire bene su questo nostro pianeta infetto.