Denaturalizzare il pensiero: il femminismo materialista francese

Una bibliografia ragionata a cura di Vera Sibilio, Federica Peluso, Nicoletta Paci, Cinzia Brunati

Il progetto di creare questa bibliografia nasce all’interno del Master di Studi e Politiche di Genere dell’Università Roma Tre. Confrontandoci, abbiamo scoperto un interesse e una curiosità condivisa ad approfondire le teorie del femminismo materialista francese. In particolare, il punto comune che costituisce il nostro interesse principale in questo ambito teorico risiede nella contestazione avanzata dalle materialiste all’idea di una natura essenziale e immutabile. Troviamo che la portata teorica del femminismo materialista francese sia di fondamentale importanza per costituire alleanze femministe non essenzialiste e rivoluzionarie. I testi sono stati scelti – considerando alcune limitazioni relative alla reperibilità di alcune autrici meno tradotte in italiano – con l’intento di presentare una panoramica quanto più comprensiva possibile sul pensiero materialista francese.

Monique Wittig. Il pensiero straight e altri saggi. Collettivo della Lacuna (traduzione e a cura di), 2019. https://pensierostraight.home.blog
“Il pensiero straight e altri saggi” è una raccolta di saggi scritti da Monique Wittig a partire dal 1976 fino agli anni Novanta. L’operato di Wittig si inserisce nella teoria femminista materialista con la particolarità di adottare un punto di vista lesbico all’interno della sua analisi. Tale approccio è, per Wittig, imprescindibile in quanto, secondo l’autrice, è proprio l’esperienza lesbica a realizzare nella pratica quello che il femminismo materialista ha prodotto nella teoria. Come le altre materialiste, considera il sesso come una classe politica e il femminismo come una lotta per l’abbattimento di tali classi di sesso. In particolare, Wittig chiama “sistema eterosessuale” o “economia eterosessuale” il regime politico all’interno di cui i soggetti sessuati sono prodotti e naturalizzati. E in particolare, spiega Wittig, la donna all’interno di tale sistema è ridotta puramente all’incarnare, nella sua totalità, la sua classe di sesso – “donna” –; le è impossibile, nella società eterosessuale, sfuggire a tale destino.
Un’altra tematica che emerge all’interno della raccolta è relativa al fattore linguistico; tale questione attraversa con forza i diversi saggi all’interno de “Il pensiero straight” per poi essere ripresa anche in altri testi. Per Wittig, “Il linguaggio proietta fasci di realtà sul corpo sociale, marcandolo e plasmandolo violentemente” (Il marchio del genere, p. 64). Ne consegue, dunque, che anche la lingua è materialità e in quanto tale concorre alla produzione e riproduzione dell’oppressione di determinate soggettività. Nominare e categorizzare, fissare identità nella lingua, significa, appunto, costituire i corpi e assegnarvi un referente fisso e apparentemente reale che ne legittima la sua presunta “naturalità”.
Le analisi di Wittig contenute in questa raccolta offrono degli spunti che risultano ancora molto attuali e che, in alcuni casi, troviamo ripresi anche in altre tradizioni femministe oltre il materialismo francese. Monique Wittig nella sua produzione teorica ci dà una serie di strumenti con cui noi possiamo interagire, che possiamo riadattare e ricontestualizzare, cercando di fare anche nostra la sua capacità di pensare al di fuori dei parametri prestabiliti dalla società patriarcale.

Monique Wittig e Sande Zeig. Appunti per un dizionario delle amanti. Editore Meltemi, 2020.
Nel 1975 la casa editrice Grasset chiese a Wittig di scrivere un dizionario femminista e lei decise di produrlo insieme alla compagna Sande Zeig, capovolgendone il significato, interpretando a modo suo il compito che le era stato assegnato. Infatti, afferma: “A causa di tutti i cambiamenti di senso, slittamenti di senso, perdite di senso che le parole tendono a subire, arriva un momento in cui esse non agiscono più sulla o sulle realtà. È necessario allora riattivarle”.
Ed è esattamente quello che fa, riscrivendo un testo in cui le parole conosciute assumono nuovo senso; il dizionario di un mondo scomparso, quello delle amazzoni, in cui il linguaggio non veniva usato con l’intento di dominare. Ecco la critica più puntuale alla tradizione patriarcale che usa il linguaggio per dominare altri essere umani, e, pertanto, il tentativo di disgregare tale assetto per costruire una realtà diversa. Le parole diventano quindi elemento vivo con cui forgiare un mondo differente, fornirgli una consuetudine, renderlo autorevole attraverso una bibliografia, con grande ironia e irriverenza verso la filologia.
Le protagoniste del libro sono le Amanti, volutamente al plurale perché vivono e amano insieme, “spinte da un violento desiderio delle une per le altre”. Al contrario, la figura della donna è descritta come colei che ha deciso di riconoscersi nella sola funzione di generatrice, di madre, rifiutando di identificarsi nelle amazzoni, da cui discendono tutte le amanti.
Il Dizionario, visto tradizionalmente come raccolta autorevole e sistematica di parole, viene qui invece costruito proprio attraverso le assenze di alcune parole; le mancanze servono ad ottenere una conoscenza differente, quella di un mondo dove l’oppressione esercitata dagli uomini non esiste. Anzi sono proprio questi ultimi a mancare totalmente dal dizionario, a non essere citati, e questa assenza evidenzia il raccontare di un mondo nuovo, al di fuori della dicotomia uomo-donna, atto ad innescare un mutamento politico della realtà. L’eterosessualità è vista come un sistema di oppressione da cui liberarsi attraverso una stretta relazione fra teoria e politica, considerate non come entità separate ma come due ambiti indissolubilmente legati e base di qualsiasi cambiamento.

Paola Tabet. La grande beffa. Sessualità delle donne e scambio sessuo-economico. Rubettino Editore, 2004.
Ne “La Grande Beffa”, Paola Tabet riunisce alcuni saggi scritti dagli anni Ottanta in poi in cui vengono poste in esame le diverse forme di scambio sessuo-economico, i modi in cui la sessualità delle donne è fatta oggetto di scambio da parte degli uomini e tra gli uomini. All’interno del testo si dimostra come questo scambio non riguardi esclusivamente quella che viene chiamata comunemente prostituzione. Il concetto di scambio sessuo-economico indica un fenomeno ben più vasto, ossia l’insieme delle relazioni tra uomini e donne che coinvolgono una transazione economica in cui sono le donne a fornire servizi sessuali e gli uomini a dare un compenso più o meno esplicito per questi servizi. Questo compenso può prendere varie forme e avere valori diversi: lo status sociale, il prestigio, regali o il pagamento diretto in denaro. In questo saggio Paola Tabet si domanda come e perché all’interno di questo scambio siano sempre gli uomini a offrire un compenso economico e le donne delle prestazioni sessuali, e non viceversa. Quindi, nel continuum degli scambi sessuo-economici si riuniscono una serie di relazioni che vanno dal matrimonio alla prostituzione e che sono comprese all’interno di questi due estremi. Per Paola Tabet non vi è un’opposizione binaria tra matrimonio e prostituzione, ma piuttosto una serie complessa di relazioni differenti, con tratti in comune e differenze che riguardano la modalità della relazione, la forma di contratto, le persone, la durata, i servizi forniti. Il problema messo in luce all’interno di questo saggio non è se il matrimonio sia da considerare come più oppressivo della prostituzione, né sottolineare un’opposizione tra matrimonio e sex work. Piuttosto si è trattato di mettere in luce l’esistenza di un continuum dai molteplici aspetti.  Non si delinea un’opposizione tra matrimonio a vita e rapporto sessuale rapido di pochi minuti, né l’opposizione tra sposa e prostituta, ma si profilano una serie di relazioni varie, di durata differente e la possibilità che una stessa donna possa passare da una forma di servizio sessuale (compreso quello del matrimonio) a un’altra in una stessa vita, in un continuo passaggio.

Colette Guillaumin. Sesso, razza e pratica del potere. Ombre Corte ed., 2020.
Il volume di Colette Guillaumin dal titolo “Sesso, razza e pratica del potere” si inserisce nel filone del femminismo materialista francese, di cui Guillaumin stessa è esponente fondamentale, estendendo l’analisi al concetto di “razza” e mettendolo in relazione con quella di “sesso” (oggi noi diremmo di “genere”). Guillaumin infatti, nell’analizzare entrambe le nozioni da una visuale radicalmente antiessenzialista, ne rifiuta la supposta origine naturale e vi attribuisce invece il carattere – politico – di dispositivi di oppressione.
In particolare, nel saggio iniziale “Pratica del potere e idea di Natura” che costituisce il fulcro del volume, Guillaumin svela come la natura specifica dell’oppressione delle donne consista nella loro appropriazione come classe ad opera di una classe antagonista – quella degli uomini. I rapporti di potere, quindi, si strutturano sull’asse del sesso (rectius: del genere) in senso meramente unidirezionale. Tale appropriazione non potrebbe però funzionare se non fosse sorretta da un dispositivo ideologico-discorsivo che la giustifichi: tale è appunto, per Guillaumin, l’idea di natura.
Secondo l’Autrice, infatti, i gruppi oggetto di appropriazione non preesistono a quest’ultima ma, al contrario, è l’appropriazione stessa a farli emergere e a raggruppare alcuni individui in base a caratteristiche del tutto arbitrarie. Tale deliberata arbitrarietà, non potendo trovare concreta legittimazione, viene oscurata e il rapporto di appropriazione ammantato di una naturalità (perciò indiscutibile e immutabile) che invece è prettamente politica e culturale. Tale processo ideologico di “naturalizzazione” vale tanto per la nozione di genere che per quella di “razza”. “Razza” e “sesso” infatti esistono solo e soltanto in quanto funzionali all’esercizio della completa proprietà di un gruppo dominante sugli altri. Proprio a partire da questa argomentazione, con espressione icastica, Guillaumin parla di “sessaggio” per intendere il rapporto di appropriazione tra classi di sesso, così come “schiavitù” e “servaggio” indicano il rapporto di dominio a danno dei gruppi razzizzati. In conclusione, il testo di Guillaumin, partendo da presupposti materialisti e antiessenzialisti, giunge a mettere in discussione l’esistenza stessa delle “donne” e dei “neri” come gruppi naturali e biologici per svelare la natura intrinsecamente politica di tali nozioni. Il volume di Gullaumin ha quindi un enorme portato trasformativo: se non vi è naturalità nel dominio esercitato, i rapporti di forza possono essere sovvertiti.

Redazione

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