La risata del barbaro di Sema Kaygusuz

La risata del barbaro di Sema Kaygusuz

di Ilaria Nassa

Questo romanzo tragicomico è un racconto corale che ritrae alcuni/e vacanzierə estivi al Colombia Blu Hotel. Eppure, tra tutti i personaggi che si muovono all’interno di essi, è la risata del barbaro a essere protagonista indiscussa. Ma chi è questo barbaro? E perché sta ridendo?

Per comprenderlo, bisogna partire dall’inizio, da quella notte del 18 agosto che apre il concatenarsi di vicende e fatti insoliti. Sema Kayguz, infatti, non ci dà una risposta immediata: lancia qua e là indizi, come se il/la lettorə fosse unə investigatorə alla ricerca della risoluzione dell’enigma a cui spetta il compito di costruire un disegno coerente.

La notte del 18 agosto Turgay, uscito di notte per fare una passeggiata, preso da chissà quale pensiero, urina nel mare, anche se poco più in là alcune donne dell’hotel sono sedute sotto un gazebo a giocare a okey. La mattina dopo, Faruk, marito di Dilek, una delle giocatrici di okey, prenderà a pugni Turgay per l’offesa arrecata alle donne nel suo atto di urinare. Alcune donne in spiaggia, commentando la scazzottata dei due uomini, parleranno male di Dilek. Soprattutto Serpil si scaglierà con voce tagliente nei confronti di Dilek.

“Hai visto cos’ha combinato la nostra Dilek? Ci ha rovinato la vacanza. Fa sempre così quella donna, sempre!” […] Serpil insisteva: “E dimmi, vediamo un po’, come nascono queste risse? Perché l’anno scorso ha picchiato l’agente di polizia che aveva ritirato la patente a Dilek? Per colpa di ci si è trascinato per mesi in tribunale? […] Allora dimmi, come nascono tutte queste risse? Sempre a causa delle provocazioni di Dilek. Mi ha guardato così, mi ha toccata di qua, deve avermi spinto, non ne sono sicura ma in ascensore si è avvicinato troppo… Sono cose sa dire a un marito del genere? Se ti sposi l’uomo più irascibile del mondo, non ti metti a raccontargli ogni stronzata, tesoro. […]”

È colpa della donna se accade la violenza, questo è quello che ci è stato tramandato dalla cultura patriarcale. La donna instilla e aizza l’uomo, corrompendone il carattere tranquillo. È ancora pensiero comune che sia a causa delle donne che accadono le guerre. È proprio in terra turca che si è svolta la prima e sanguinosa battaglia alle porte di Ilio, a causa di Elena, durata dieci anni e raccontata ai posteri ancora oggi. 

L’obbiettivo del femminismo è sempre stato quello di spostare il focus dell’attenzione della responsabilità dall’agire-passivo femminile all’agire-attivo maschile. Spostandoci sulle azioni dell’uomo, allora, viene da chiedersi, cosa stia cercando di proteggere davvero Faruk. È l’onore della moglie? E come fa a perdere l’onore questa donna se, senza il suo volere e casualmente, si ritrova vicino un uomo che urina in spiaggia? Cosa c’è, inoltre, di così disgustoso e perverso nell’urina?

Eppure, la Turchia, oggi, non sta realmente “proteggendo” le sue donne. È notizia recente che Erdogan abbia deciso di uscire dalla Convenzione di Istanbul contro la violenza delle donne del 2011. Unico strumento alla quale le donne turche potevano appellarsi in caso di violenza domestica, aggressioni verbali e sessuali, molestie e abusi, l’uscita dalla Convenzione sancisce un nuovo (dis)ordine sociale, in cui le donne turche non godranno di alcun diritto. Nel 2020 si contano 300 donne turche uccise per femminicidio, nel 2019 erano 474*. 

I motivi che hanno portato a questo terribile avvenimento sono da ricercarsi in primis nel partito di governo Akp, di destra, che ha lamentato il fatto che questa Convenzione danneggia l’unità familiare, incoraggia il divorzio e include riferimenti all’uguaglianza che possono essere strumentalizzati dalla comunità Lgbtqiap+. Oggi la Turchia è mossa da proteste di migliaia di donne che hanno invaso le piazze per andare contro questa decisione repressiva o oppressiva del governo. C’è da chiedersi, allora, cosa potrebbe mai fare Dilek nel caso in cui volesse denunciare violenza contro il marito. Ma l’importante, in questo momento, è godersi la vacanza e incolpare chi sta minacciando la nostra tranquillità.

Quella stessa sera, durante la cena, il personale dell’hotel trova tutta la biancheria imbrattata di urina. Ci si domanda chi sia mai il colpevole di tale misfatto disgustoso. Si fanno supposizioni, ci si incolpa a vicenda. La direttrice Ferhan, tuttavia, cerca di far dimenticare presto questo avvenimento agli ospiti, dando loro omaggi e facendo sconti extra. Una famiglia numerosa si troverà ad approfittare di tali omaggi, chiedendo sempre di più.

È la classe media che è così: avara, dispotica, classista, dimentica presto in cambio di un dono. La classe media, quel mondo artefatto che si trastulla nelle sue idea e illusione di benessere e tratta i problemi, i crimini e le guerre come qualcosa che non la toccherà mai.

Alla povera signora Serpil bisogna mettere in bocca un chiodo di garofano. Non solo perché l’alito non abbia un cattivo odore, ma per salvare le parole che le escono di bocca dal lezzo del suo cuore e renderle ragionevoli. […] lei crede che nel parlare dalla bocca le coli miele. […]

A dire, anzi, a scrivere queste parole è una voce fuori campo, che tuttavia non è la voce narrante, ma è la voce di un qualche personaggio nascosto che sta osservando la vicenda (forse il barbaro che ride di noi?). Serpil, infatti, mal sopporta la voglia di avventure che il figlio Ozan, appena adolescente, si appresta a vivere allontanandosi dalla madre. Serpil non fa altro che prevedere scenari nefasti per il bambino, mentre pronuncia parole pungenti nei confronti di Dilek. 

Serpil è la donna-madre che non riesce a sganciarsi da questa dualità, perché l’è stato insegnato che il suo valore è nel binomio moglie-madre: copre in tutti i modi le marachelle del figlio (nonostante lui continui a portarle animali morti) e appoggia le idee complottiste del marito Okan, nonostante la disapprovazione della stessa sorella della donna.

Serpil è l’esatto contrario di Eda, la donna clitoridea. Eda, infatti, rivendica a gran voce il suo desiderio sessuale e il suo orgasmo dopo che suo marito Ufuk confessa di sentirsi solo mentre i due fanno sesso. Questa solitudine, a detta dell’uomo, trova la sua ragione d’esistere nelle capacità di Eda di “sentire troppo”. Eda descrive nei minimi dettagli, a voce alta, in uno spazio pubblico che il suo clitoride ride, che la sua vagina e il suo ano si bagnano, che trema, si contrae, si rilassa in ogni angolo del corpo ed esplode dal piacere.

“Hai finito?”
“Nossignore, non finisce mai! E poi cosa vedo? Il mio clitoride, come una regina seduta sul trono, protegge il mio regno, con uno strascico fino a terra e le braccia aperte, mi osserva planare.”

Eda rivendica questo piacere e ribalta la teoria dell’invidia del pene freudiana: sono loro, gli uomini, a essere gelosi del piacere femminile, del loro corpo, della loro capacità di sentire e godere; è da questa gelosia che si scatenano gli scontri, le aggressioni, le violenze.

Eda, ci viene detto dalla stessa voce esterna che vede tutto, significa “maniera” ma anche “portare a compimento”. Ecco che essere guardata attraverso l’occhio maschile che la desidera, esistere per via di questo sguardo che non mostra ma riflette, rende Eda inevitabilmente schiava, prigioniera. Eda sta combattendo per la propria esistenza, per la propria emancipazione, ma non è consapevole del potere del proprio sguardo. Quello sguardo che guarda dentro e dà valore. 

Eda scuote, infatti, solo il desiderio che il cameriere Selçuk prova per lei. Trovandosi a fumare hashis con un collega, questi non farà altro che parlare del desiderio che ha nei confronti della donna.

Ma ancora, chi può essere stato a urinare sulla biancheria e poi sulle poltrone dell’hotel? Alcuni vacanzierə, incolperanno il giardiniere dell’hotel. Taciturno, silenzioso, non riuscirà neanche a difendersi dal duro interrogatorio fatto dalla direttrice dell’hotel, Ferhan. Rimarrà in silenzio, il povero giardiniere, che non può nulla contro il potere e lo status quo, che non può agire da solo. Sarebbe comunque servito provare a difendersi? Il giardiniere verrà licenziato di punto in bianco, ma qualcuno continuerà a imbrattare d’urina la struttura.

Ma perché proprio con l’urina?

L’enigma viene risolto quasi alla fine. Nel bel mezzo di personaggi così convinti di essere nel giusto, così avari, così egoisti, così ipocriti, così presuntuosi, v’è bisogno di un farmaco, di un medicinale, di una sostanza che ripulisca tutto e che disinfetti via le brutture dell’umanità. Non basta imbrattare una sola volta la struttura di urina, perché il rimedio non sarebbe abbastanza efficace. È necessario che questa operazione si ripeti più volte, fino a far ingerire l’urina inserendola nella macchina da limonata presente nel bar. 

Che l’urina abbia virtù mirabolanti, ci viene rivelato quasi alla fine del libro, dalla stessa voce che guarda/scrive tutto e che è all’interno della vicenda. La pipì, infatti, nel momento in cui esce dal corpo è sterile. Possiede qualità antivirali e antibatteriche. Gli atzechi la utilizzavano per disinfettare le ferite, i romani per sbianche gli indumenti e i denti, i siberiani per entrare in contatto con gli spiriti. Nell’Asia l’urina viene utilizzata anche come base per impacchi e maschere di cosmetici.

Eppure, l’urina ci disgusta, ce ne vediamo bene da effettuare degli impacchi con questo materiale, da utilizzarla come rimedio. Tuttavia, l’urina è presente perfino nei nostri farmaci. Donna Haraway dedica un intero capitolo sull’urina in Chthulucene. Sopravvivere su un pianeta infetto. Dovendo somministrare il Premarin contro le perdite urinarie della sua vecchia cagna, Donna Haraway scopre come l’azienda che lo produce estrae l’estrogeno che serve come principio attivo dall’urina delle cavalle gravide. 

Seppur sia una sostanza disgustosa, che vediamo come elemento di scarto del nostro corpo, cosa succederebbe, ci si chiede alla fine, se qualcuno dell’hotel fosse improvvisamente punto da un’ape? Si chiederebbe a un bambino, probabilmente Ozan, il figlio avventuroso di Serpil, di abbassarsi il costume e di urinare sopra la ferita. Perché, se pur si vuole apparire come persone “rispettabili”, basta un po’ di caos per far emergere ciò che siamo davvero.

In conclusione, vorrei aggiungere che La risata del barbaro di Sema Kaygusuz è un testo leggero a una prima lettura, ma nasconde vari sottotesti, simboli, immagini e rimandi che è impossibile esaurire in un unico spazio e in una sola volta. (E in questo mi ha ricordato moltissimo la fabula speculativa di Haraway.)

Approcciandomi alla lettura la prima volta, ho pensato che fosse un bel romanzo da leggere sotto l’ombrellone. Errore. 
Come il giallo dell’urina che attraversa il Colombia Blu Hotel nei suoi vari spazi, così sono stata bagnata di urina, fino a trovarmi immersa in questa sostanza disagiante. Leggerlo di nuovo, mi ha portata a eliminare la bidimensionalità della pagina, per trovarmi in un mondo labirintico fatto di strade, bivi, immagini e specchi. 

Perché leggere la storia di molte persone, ci porta sempre a guardare noi stessə.

* Sempre nel 2020, 271.927 uomini sono stati soggetti a restrizioni imposte da autorità giudiziaria, 6.050 uomini sono stati condannati per violenza domestica o sono stati posti in centri di disintossicazione da droghe e alcool, 99 donne sono state costrette a cambiare identità e residenza, 409 donne hanno dovuto abbandonare il luogo di lavoro e sono stati applicati 333 braccialetti elettronici per controllare i movimenti di stalker.

Sema Kaygusuz, La risata del barbaro, trad. it. Giulia Ansaldo, Voland Edizioni (collana Amazzoni), Roma 2020.